Giulio Salierno "Fuori margine"
Edizione Einaudi
Recensione
di Gabriella Bona
Il numero dei reati aumenta ogni anno.
Violenza, omicidi, furti, rapine, truffe, la maggior parte dei quali è
destinata a non avere un colpevole riconosciuto dalla legge. “La gente
chiede, dunque, leggi e carceri più duri” e lo Stato risponde con
un “profluvio contraddittorio di norme, regolamenti, leggine che, invece
di ottenere l’effetto sperato, complicano e vessano stupidamente la vita”.
Di tutti. “In realtà, tanta foga repressiva maschera la sostanziale
‘impotenza’ dell’assetto di potere di fronte all’aumento dei reati”.
Per far fronte ad una situazione realmente
difficile è importante capire dove e come nasce il reato e chi lo
compie. Due anni di lavoro, centinaia di interviste, hanno permesso a Giulio
Salierno di scrivere “Fuori margine”, edito da Einaudi, un libro in cui
sono contenute storie di “rapinatori, ladri, prostitute, camorristi, pornostar,
spacciatori, assassini e trans, italiani e stranieri”.
Attraverso le voci dei protagonisti
ascoltiamo storie di degrado, storie di borgate abbandonate: “tutti questi
abitati sono caratterizzati da un altissimo tasso di disoccupazione, da
un precoce abbandono della scuola dell’obbligo, da una diffusa illegalità
in tutti i settori della comune vita di relazione”. Sono zone in cui la
polizia ha paura a circolare e dove il carcere è vissuto in modo
particolare dai giovani: “assaggiarlo, per loro, è come riportare
una ferita in combattimento, una prova d’autore utile per la carriera”.
Un carcere che “incattivisce, indurisce e alimenta odi interetnici” e che
diventa scuola di crimine: “la prigione è incredibile. Un’istituzione
pazzesca. Entri delinquentello di mezza tacca, ed esci criminale”, una
prigione che è soltanto per qualcuno, perché “più
sei povero, più sei ignorante, più sei meridionale e più
è facile che finisci dentro”.
Diciassette storie, di donne e uomini,
provenienti da paesi e situazioni diverse, alcuni che hanno conosciuto
tribunali e carceri, altri che sono riusciti, per ora, a non finire nelle
maglie della giustizia. Raccontano le loro storie con semplicità,
raccontano i loro sogni, quelli che avevano e quelli che gli sono rimasti,
i progetti per il futuro.
Il libro, scritto da una persona che,
a diciotto anni è stata coinvolta in gravi episodi di violenza politica
e comune e che ha conosciuto le carceri algerine, francesi e italiane,
è un libro duro, che non concede nulla a quello che l’autore chiama
“umanitarismo astratto, riformismo parolaio, massimalismo rivoluzionario,
buonismo imbecille e occhiuta repressione”.
Un libro che colpisce e che aiuta a
capire, che cerca di buttare un ponte tra i “buoni” e i “cattivi”, che
cerca di frenare quell’allontanarsi continuo di una società “fortunata”
da una società “sfortunata”, perché si arrivi ad un momento
in cui tutti abbiano la possibilità di scegliere davvero come costruire
la propria vita.
gabriella bona
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