Pino Cacucci: "Ribelli!"
- editrice Feltrinelli
Recensione
di Gabriella Bona
Sono
contro la dittatura, contro ogni forma di ingiustizia, sopruso, colonialismo,
ma non riescono ad adeguarsi alle regole rigide, ai continui tentativi
di compromesso, alle forme di lotta deboli e vigliacche che spesso contraddistinguono
le opposizioni. Lottano soli o in piccoli gruppi, per seguire i loro ideali
di libertà e di giustizia, rischiando quotidianamente la vita e
spesso muoiono in una delle tante battaglie, senza che siano riusciti a
raggiungere il loro obiettivo.
Anarchici, sognatori, gente che non
può sottostare ad una disciplina che non sente sua, che ridurrebbe
la volontà di lotta in meschina burocrazia.
E la storia, queste persone, le ha castigate
rimuovendole, cancellandole dai testi ufficiali, tentando di ucciderle
una seconda volta.
Sono i personaggi di “Ribelli!” che
Pino Cacucci ha raccolto nel volume edito da Feltrinelli, ridandogli dignità
e visibilità. Donne e uomini coraggiosi e forti, utopici, eretici,
“perdenti ma non vinti”.
“I ribelli che ho sempre amato – scrive
Cacucci – sono inguaribili utopisti, animati da un’utopia con la minuscola:
non quella dei grandi ideali con cui cambiare il mondo […] ma l’utopia
dell’istintivo, insopprimibile bisogno di ribellarsi. […] Esseri consci
che in questo mondo non c’è possibilità di evadere non è
bastato a convincerli ad arrendersi”.
I ribelli di Cacucci “hanno in comune
l’essere considerati eretici da quanti si considerano ‘veri rivoluzionari’
o comunque depositari della ‘linea giusta’”.
Condannati, screditati, ridicolizzati
perché la loro vita e il loro esempio non possano far nascere in
altri la voglia e il bisogno di ribellarsi alla violenza e all’ingiustizia.
Per questo l’autore è convinto
che “sia utile mantenere sempre una sana diffidenza nei confronti di certe
rivelazioni su persone invise al sistema di potere dominante”.
Nelle pagine del libro incontriamo Silvano
Corbari, partigiano sulle colline romagnole: lotta contro il fascismo ma
non tra le fila delle organizzazioni di sinistra troppo inclini al compromesso.
“Corbari ebbe più amici tra i sacerdoti che tra i dirigenti politici”,
soprattutto don Luigi Piazza e don Antonio Vespignani. Morì nel
1944, prima di vedere l’Italia nuovamente libera.
Francisco Sabaté, detto Quico,
si batte contro un franchismo che, in Spagna e nel resto dell’Europa, era
spesso condannato soltanto a parole, perché “la politica repressiva
nei confronti degli operai non solo permetteva agli industriali spagnoli
di realizzare alti profitti, ma attirava capitali dall’estero”.
Eulalio Ferrer ha ottant’anni e, dal
Messico dove vive, ha chiesto le pubbliche scuse della Francia per il trattamento
riservato, nei campi di lavoro forzato, agli esuli spagnoli, la cui vita
fu salvata dal Presidente messicano Lázaro Cárdenas. Gli
esuli non hanno dimenticato e nel porto di Veracruz un monumento porta
la scritta “Gracias México”.
Irma Bandiera, ragazza della borghesia
bolognese, cresciuta in una città “sempre più ricca e sempre
meno sensibile” lotta e muore durante la resistenza. Tamara Bunke, cresciuta
in Argentina da famiglia tedesca, si unisce ai guerriglieri di Che Guevara,
lotta con coraggio e intelligenza, muore prima di compiere trent’anni,
lottando per la libertà dei popoli latinoamericani. Nella stessa
lotta morì Camino Cienfuegos, il temerario e sorridente amico del
Che.
Un personaggio particolare è
Alexandre-Marius Jacob che, con le sue rocambolesche rapine, cinquanta
soltanto tra il 1900 e il 1903 e il cui ricavato veniva devoluto al movimento
anarchico perché aiutasse le famiglie più povere, ispirò
allo scrittore Maurice Leblanc la figura di Arsenio Lupin.
Queste e altre le storie del libro,
belle e importanti, che escono dall’oblio e che aiutano a sperare perché,
come scrive ancora l’autore, “nella realtà è sempre Golia
a vincere. Ma non per questo Davide smetterà di guardarsi intorno,
cercando una nuova pietra da scagliare”.
gabriella bona
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