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    Mbacke Gadij: "Pap, Ngagne, Yatt e gli altri" - editrice dell'Arco
    Recensione di Gabriella Bona
        
       Emigrare: lasciare la propria terra, la propria cultura, la lingua con la quale abbiamo imparato a comunicare, le abitudini, i sapori e i paesaggi che sono diventati parte della nostra vita, è, per chiunque, doloroso e triste. Ma per coloro che devono abbandonare il loro paese per colpa della miseria, della guerra o delle dittature, la sofferenza è ancora più grande. Per coloro che giungono da questi paesi nell’Occidente ricco, le possibilità di inserimento sono molto poche e i rischi infiniti.  
      Mbacke Gadij, senegalese, ha lasciato l’Africa nel 1986, ha vissuto in Francia e in Spagna e dal 1994 vive a Milano dove lavora come giornalista pubblicista e scrittore e dove, dal ’96 al ’98, è stato consigliere di Rifondazione comunista nella Circoscrizione 3.  
      Nel suo libro “Pap, Ngagne, Yatt e gli altri” pubblicato dalle Edizioni dell’Arco, racconta le enormi difficoltà incontrate, la vita all’interno delle comunità di immigrati che si creano nelle città europee, i luoghi tipici per incontrarsi e conoscersi come “le discoteche ‘afro’, frutto dell’immigrazione e/o delle conseguenze come l’emarginazione e l’esclusione” con cui “gli stranieri aiutano il sistema a chiuderli in un mondo a parte”.  
      L’esclusione dalla società d’arrivo, il lento allontanamento da quella d’origine anche perché, racconta l’autore, “nessun parente o amico in Africa […] sa qualcosa sulla vita di noi immigrati in Europa. Laggiù credono o vogliono credere che tutto fila liscio e che si guadagnano fortune”.  
      I problemi di sopravvivenza si incrociano con quelli di identità, soprattutto per i bambini nati all’estero e, ancor più, da coppie miste, con i problemi dell’analfabetismo (“oggi solo il 20% della popolazione senegalese è alfabetizzato”), dei permessi di soggiorno, delle leggi sull’immigrazione che cambiano continuamente risentendo fortemente delle idee politiche di chi governa.  
      L’immigrazione è spesso assimilata, nell’opinione corrente, a delinquenza, droga, Aids; difficilmente si considerano lo sfruttamento che i paesi ricchi, dopo anni di colonialismo, continuano ad esercitare sui paesi poveri e sui loro abitanti residenti o emigrati: lo sfruttamento nel lavoro nero e l’affitto a prezzi altissimi di alloggi in pessime condizioni sono problemi comuni agli immigrati, soprattutto se clandestini.  
      Ma “nei confronti degli stranieri non si usa il termine uguaglianza, si parla solo di tolleranza e solidarietà, come se la nostra presenza fosse un reato, un’offesa”, così come quando si parla di diversità e di differenza ci si dimentica che anche gli immigrati sono portatori di differenze che possono essere preziose se messe in circolazione, non se richiuse nei ghetti e guardate con diffidenza e disprezzo.  
      Le pagine di Mbacke Gadij ci offrono un racconto pieno di vita e di dolore, di ricerca e di speranza, di amicizia e di solidarietà, ci aiutano a capire una cultura profondamente diversa dalla nostra e forse possono evitarci di cadere nella banalità dei giudizi che spesso derivano dal “paragone diretto tra l’Occidente e l’Africa [che] è un errore gravissimo che anche i più esperti studiosi tendono a fare”. 
      
    gabriella bona

 
 
 
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