Gianna Schelotto: "Per il tuo
bene" - editrice Mondadori
Recensione di Gabriella
Bona
“L’ho fatto per il tuo bene”, “l’ho
fatto per il suo bene”: frasi che abbiamo sentito infinite volte e dietro
le quali si nascondono sempre bugie, inganni, prepotenze di chi è
convinto che, soltanto così, potrà fare il bene dell’altra
persona, giudicata, anche se soltanto momentaneamente, più debole
e bisognosa di protezione.
Sono i “piccoli crimini in nome dell’affetto
“ che Gianna Schelotto descrive nel libro “Per il tuo bene” edito da Mondadori.
Piccoli crimini che creano attorno all’altro una rete appiccicosa dalla
quale è difficile difendersi soprattutto perché stesa dalle
persone che abbiamo più vicine: figli, genitori, coniugi, amici.
Dalla gabbia in cui veniamo rinchiusi, percepiamo stranezze, comportamenti
anomali, ai quali spesso tentiamo di dare un significato, spesso dando
a noi stessi colpe che non abbiamo, nel disperato tentativo di riportare
la nostra vita sui binari della normalità e della comprensibilità.
E’ così che Alfredo, nella prima
storia raccontata da Schelotto, adottato a tre anni e a cui i genitori,
“per il suo bene”, hanno nascosto la realtà, sente intorno a sé
un’atmosfera strana, la percepisce come odio, cerca nei propri comportamenti
la causa di tutto: “che i genitori non lo amassero Alfredo lo sapeva fin
da piccolo, ma per molto tempo si era affaticato a inventare spiegazioni
razionali di quella mancanza di amore, dando a se stesso la colpa”.
Andrea, il protagonista della seconda
parte del libro, nasce in una famiglia unita, ricca, formata da persone
belle e sicure di sé. Lui, invece, non è bello, è
timido, ma è anche l’unico che vuole emanciparsi e crescere fuori
dall’ombra famigliare. Cerca di realizzare i suoi sogni autonomamente ma,
“per il suo bene”, il padre lo pone violentemente di fronte ad una realtà
che lui vorrebbe ignorare cercando di riportarlo a casa. “Andrea continua
a dibattere dentro di sé sulle ragioni e sui torti, e di solito
arrivava alla conclusione di essere lui il colpevole; aveva nutrito
un’ambizione troppo grande: quella di essere felice”. Alla fine, forse,
riuscirà ad esserlo, ma quanta fatica per evadere dalla gabbia!
Fabio che troviamo nella terza e ultima
parte del libro, è un uomo di sessant’anni, affermato e affascinante
avvocato che nell’ultimo anno ha avuto alcuni episodi di amnesia e di confusione.
La moglie, con l’aiuto di figli, colleghi e amici, comincia a costruire
la rete che dovrà servire per rallentare i suoi movimenti e le sue
attività, perché non corra rischi, per tentare di evitargli
errori e brutte figure. “Una rete di sicurezza in studio e una in casa”
che non potrà che accelerare il decorso della malattia che lo ha
colpito. Ma lo fa “per il suo bene”.
Chi si sente dalla parte giusta, dalla
parte sana, difficilmente è sfiorato dall’idea di sbagliare o che
i suoi atteggiamenti possano essere dannosi e provocare equivoci, dolori,
disperazioni. Non si rende conto che “le ingerenze, la pretesa di sapere
ciò che serve all’altro, le manipolazioni, gli eccessi protettivi,
sono, molto spesso, la comoda copertura di angosce personali” e che “occupandosi
di curare e cambiare l’altro, si scavalcano e si dimenticano i propri disagi”.
Dietro la frase “lo faccio per il tuo
bene” si nascondono paure, egoismo e presunzione.
L’autrice ci ricorda, concludendo il
libro, che soltanto “all’interno delle relazioni ‘sane’ i cambiamenti e
la crescita avvengono non perché il più forte sia riuscito
a convincere il più debole, ma solo perché ci si è
modificati prendendo dall’altro, e donando di sé, spontaneamente,
esperienze, emozioni, sogni”.
gabriella bona
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