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    Rita Rutigliano: "Spunti e spuntini letterari" - GS Editrice 
    Recensione di Gabriella Bona
      
      Poche settimane fa abbiamo parlato di cibo e pittura, oggi possiamo buttare uno sguardo goloso sulla letteratura: la ricerca bibliografica “Spunti e spuntini letterari” della giornalista torinese Rita Rutigliano, pubblicata dalla GS Editrice, ci accompagna attraverso racconti, romanzi, poesie, diari e riflessioni, dall’antichità ai nostri giorni, un viaggio tra i cibi nato per festeggiare il decimo anno di lavoro del sodalizio “Ristoranti della tavolozza” costituito da “fior di ristoranti e di cuochi”. 
    Nato dalla “precisa e radicata convinzione – scrive Rutigliano – che il piacere del palato possa, e debba, andare di pari passo con quello della lettura” e indirizzato a lettori curiosi che desiderano “ripassare un po’ la storia della letteratura usando la lente del gastronomo”, il libro ci porta a scoprire o a ritrovare pagine che si intrecciano “tra principi e poveracci, tra virtuosismi del palato e regimi banali, tra miseria e tintinnar di cristalli”. 
    Troviamo il “cacio e presutti” dell’Ariosto e le “tenere fragole […] e le corniole autunnali” di Ovidio, lo sherry di Shakespeare e “le piccole susine gialle e le regine-claudie che mangiavano sull’albero, tutte calde di sole” di Simone De Beauvoir, i piemontesissimi biscotti di meliga e il ratafià di Francesca Duranti, il tacchino allo spiedo di James Joyce e il “vegetale armato che si chiama carciofo” di Pablo Neruda, la pizza di Matilde Serao e la pasta e fagioli di Eduardo De Filippo e di Clara Sereni, la marmellata di anemoni di mare di Jules Verne e il cavolo, vegetale che Auguste Bierce definisce “grosso e saggio all’incirca quanto la testa di un uomo”. 
    Non mancano le pagine sulla mancanza di cibo: il disgusto di Giulio Bedeschi di fronte ai residui marciti di crauti che soltanto la volontà di sopravvivere trasforma in cibo; la guerra di Carlo Cassola: “Macché generale Cadorna! Il generale Fame, dovete dire. E’ lui che vincerà la guerra. Le guerre, le ha vinte sempre il generale Fame”; la “fame regolamentare, la fame cronica sconosciuta agli uomini liberi” di Primo Levi; la prigionia in Giappone durante la quale “si parlava di cibi […] per soddisfare con la fantasia quella fame” di Dacia Maraini. 
    Troviamo, tra i trecentododici frammenti catalogati dall’autrice, massime preziose: “Meglio un piatto d’erbe, dov’è amore, che un bue ingrassato, dov’è odio” recita la Bibbia. E Francesco Redi ci ricorda che “la sanità degli uomini sta più nell’aggiustato uso della cucina, che nelle scatole e negli albarelli degli speziali”. Tommaso Landolfi ci spiega che “gli unici rimedi contro il dolore e la tristezza […] sono la cioccolata e il tempo”. 
    Tra scrittori più o meno conosciuti, tra cibi più o meno amati, scopriamo quanti cibi e quanta cucina ci siano nei libri che leggiamo, un particolare che forse abbiamo colpevolmente trascurato e al quale, dopo la lettura di questo libro, dedicheremo sicuramente maggiore attenzione. 
      
    gabriella bona

 
 
 
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