Quando cade una dittatura,
esplode la gioia, rinasce la speranza. Non soltanto nel paese che si è
liberato della paura, della morte, delle torture e della censura ma in
tutto il mondo, tra le persone che credono nella libertà e nella
democrazia.
Poi, però, incomincia il dopo:
i giorni, i mesi, gli anni necessari per superare gli orrori vissuti. Un
processo lento, doloroso, difficile, pieno di insidie, tra richieste di
giustizia che spesso rimangono inascoltate.
Italo Moretti, per lunghi anni inviato
della televisione nei paesi dell’America Latina, ha conosciuto molto bene,
rischiando spesso la propria incolumità, guerre, dittature e processi
di ricostruzione.
Nel libro “In Sudamerica”, edito da
Sperling & Kupfer nella collana “Continente desaparecido” diretta da
Gianni Minà, racconta con attenzione e partecipazione le storie
del Cile e dell’Argentina, “trent’anni di storie latinoamericane dalle
dittature degli anni Settanta al difficile cammino verso la democrazia”.
In Cile Augusto Pinochet rimane al potere
dal 1973 al 1990, uccidendo, sequestrando, vietando ogni tipo di libertà,
appoggiato nel golpe, che spense la coraggiosa ma ingenua democrazia di
Salvador Allende, e negli anni successivi dagli USA e dai paesi vicini,
Argentina, Uruguay, Paraguay e Bolivia. Dopo dieci anni dalla fine della
dittatura, dopo l’elezione democratica di tre presidenti, Pinochet è
ancora libero e soltanto il 23 maggio del 2000 ha perso l’immunità
parlamentare e, forse, potrà essere processato, dopo essere stato
salvato, dalla Gran Bretagna e dall’intervento personale di Margaret Thatcher,
l’amica dai tempi della guerra delle Malvinas, dai rischi corsi con la
richiesta di estradizione del giudice spagnolo Garzón.
Più breve, dal 1976 al 1983,
ma altrettanto violenta, la dittatura argentina del generale Videla e dei
capi delle forze armate, ha ucciso, sequestrato, sottratto neonati alle
donne detenute, terrorizzato un intero paese, appoggiata anche da nazioni
come l’Unione sovietica che non poteva rinunciare alle importazioni di
grano e dall’Italia che, nonostante i tanti italiani residenti in quel
paese, pensava soprattutto a proteggere le proprie industrie e i loro stabilimenti
argentini, la Fiat e la Pirelli fra le altre. E tra i primi stati a riconoscere
il nuovo regime ci fu il Vaticano.
Italo Moretti sottolinea in varie parti
del libro lo strano comportamento della Chiesa cattolica di fronte alle
dittature: sacerdoti, suore, vescovi uccisi dai generali e monsignori,
come Sodano, Laghi e Tortolo, che le hanno, più o meno apertamente,
sostenute.
In Argentina i processi si sono aperti,
nel 1983, ma le leggi del “Punto finale” e dell’”Obbedienza dovuta” hanno
portato all’assoluzione di aguzzini e carnefici. I soli Videla e Massera
sono stati condannati ma, nel 1990, a soli sette anni dalla fine della
dittatura, sono liberi, perdonati dal presidente Carlos Menem. Le madri
e le nonne di Plaza de Mayo e tanti cittadini democratici continuano a
chiedere giustizia. Soltanto nel 2000 si è aperto, in Italia, il
processo contro l’assassinio di cittadini italiani residenti in Argentina.
L’ultimo capitolo è dedicato
ad una figura emblematica del clero in Sud America: Monsignor Oscar Romero,
ucciso dagli squadroni della morte in Salvador. Il vescovo che si è
battuto a fianco del suo popolo, denunciando gli orrori commessi e l’infinita
povertà del paese e che il Papa ha dimenticato di inserire tra i
dodicimila testimoni della Chiesa uccisi nel XX secolo. Forse perché
Oscar Romero non aveva ascoltato i consigli papali: “Sia prudente […] cerchi
di andare d’accordo con il governo” e aveva, invece, continuato il proprio
coraggioso lavoro pur sapendo di rischiare ogni giorno la vita?