Ufficialmente abolita
e condannata in tutto il mondo, la schiavitù continua ad esistere
e non soltanto nei paesi più poveri ma anche nell’occidente ricco
e democratico. Sta, anzi, in molte aree, aumentando con lo stesso ritmo
con cui guerre, disastri, dittature e sfruttamento vanno incrementando
le zone di povertà.
Nonostante la difficoltà ad elaborare
statistiche su “un’impresa illegale e piena di ombre” come la schiavitù,
Kevin Bales, uno dei massimi studiosi mondiali su questo argomento, nel
libro “I nuovi schiavi” edito da Feltrinelli, scrive che “la cifra che
più si avvicina al numero effettivo di schiavi è di ventisette
milioni” concentrati “nel Sudest asiatico, in Africa settentrionale e in
alcune zone dell’America latina (ma esistono schiavi in quasi tutti i paesi
del mondo, inclusi gli Stati uniti, il Giappone e molte regioni europee)”.
I controlli sull’uso e la tratta degli schiavi, proprio a causa dell’illegalità,
non esistono o sono insufficienti. Scrive Bales che “trasportare donne
è più facile che trasportare droga” e che “è più
probabile che stati e imprese private vengano puniti per aver falsificato
un cd di Michael Jackson che per aver impiegato manodopera schiava”.
Lo schiavismo, nel passato si è
basato sul colore della pelle, sulla religione, sulla divisione in tribù.
Oggi è soltanto la povertà a creare schiavi: se dal 1945
ad oggi la popolazione mondiale è triplicata, rimane esiguo il numero
dei ricchi mentre continua ad aumentare quello dei poveri e soprattutto
nei paesi che erano già i più poveri, “disgregando la famiglia
tradizionale e le piccole imprese agricole di sussistenza su cui si reggeva
[e] portando alla bancarotta milioni di contadini strappandoli alla loro
terra e talvolta spingendoli verso la schiavitù”.
Bales analizza attentamente diverse
forme di schiavitù soffermandosi soprattutto sugli schiavi del Brasile
impegnati nella produzione del carbone che verrà utilizzato nelle
fabbriche siderurgiche del Messico e degli USA, sulle schiave thailandesi
impegnate come prostitute nelle grandi città del paese e all’estero,
sugli schiavi del Pakistan, dell’India e della Mauritania. Sottolinea anche
i grossi problemi che comporta questa situazione in tutto il mondo: la
globalizzazione significa anche che le multinazionali tendono a trasferire
le loro produzioni nei paesi dove la schiavitù abbassa drasticamente
il costo dei prodotti, mettendo in pericolo i posti di lavoro anche i posti
di lavoro nei paesi ricchi e creando nuove occasioni di schiavitù.
“La nuova schiavitù è
come una nuova malattia, per la quale non esiste ancora un vaccino; finché
non ne scopriamo fino in fondo il modo di funzionare, non abbiamo grandi
possibilità di fermarla”. Lo studio di Bales ci offre la possibilità
di cominciare a capire. Ci spiega anche come e perché gli stati
democratici non si impegnino seriamente in una lotta per il superamento
della schiavitù ma, anzi, appoggino la sua diffusione.
L’autore invita ad aderire alla principale
associazione antischiavista:
Anti-Slavery International
Suite 312 – CIP
1755 Massachusetts Avenue, N.W.
WASHINGTON, D.C. 20036- 2102.
I diritti d’autore del libro sono destinati
alla lotta contro la schiavitù