Badolato: un piccolo
comune della provincia di Catanzaro, costruito sulle montagne che si affacciano
sul Mar Yonio: anni di storia e di storie, chiese antiche, palazzi, il
castello, artigiani, commercianti, allevatori e contadini, feste, processioni,
riti antichi che uniscono e rendono viva una comunità. Finché,
nel primo dopoguerra, comincia l’emigrazione, verso il nord, verso
l’Europa e gli altri continenti, fino al terremoto del 1947 e all’alluvione
del 1951 che spopola definitivamente il paese.
Francesca Viscone, nata a Catanzaro
nel 1961, laureata all’Istituto Universitario Orientale, per diversi anni
insegnante e docente universitaria in Germania, con “Le porte del silenzio”
edito da La Mongolfiera, ci offre una serie di racconti pieni di ricordi,
di nostalgia, di magia e di nostalgia su Badolato, il paese delle vacanze.
La seguiamo attraverso il paese dei giochi e delle merende, delle case,
della chiesa, della Madonna degli emigranti, dei fasti e delle feste e,
oggi, dell’orrendo parcheggio inutile, delle gradinate che sono diventate
strade asfaltate, del semaforo che non è mai servito a nessuno e
continua ad arrugginire, simbolo di una modernizzazione assurda.
“La piazza vuota le case chiuse i portoni
eternamente muti i cortili rattrappiti e rugosi i balconi arrugginiti sotto
il sole ringhiante […] gli uomini partiti per il vasto mondo, le donne
andate in sposa chissà a chi chissà dove, avete lasciato
i vicoli vuoti e il semaforo accecato”.
Sembra la storia di tanti paesi abbandonati,
al sud come al nord, per fuggire in città o all’estero, verso l’illusione
di una vita meno faticosa e più sicura. Ma Badolato, il 27 dicembre
1997, scopre di avere ancora, tra le sue case vuote e le strade abbandonate,
“una speranza nell’accoglienza e nel confronto con un’altra cultura, con
un esilio e un’emigrazione che fanno da specchio alla sua stessa storia”.
In quel giorno giungono, sulla nave Ararat che si è incagliata sulla
costa sottostante, 800 profughi curdi, “uomini, donne e bambini stremati
e in fuga da un genocidio che non si dice”.
Venti famiglie vengono accolte dal Comune,
viene ideato un progetto pilota presentato all’ Unione europea dal CRIC,
una ONG calabrese e il Consiglio Italiano per i Rifugiati apre una sede
a Badolato. Iniziano così ad avviarsi imprese artigianali, un ristorante
curdo, progetti di turismo e culturali, oltre alla ristrutturazione del
paese.
Il libro ci offre un esempio importante
di integrazione, di incontro tra le realtà dell’emigrazione e dell’immigrazione,
un modello coraggioso, oltre a belle fotografie e a pagine di piacevole
lettura.