Ogni giorno una donna
su cinque subisce violenza. Una donna assassinata su due muore per mano
del marito o dell’ex marito o del partner. Il 65% delle violenze sulle
donne è commesso dal marito. Il 44,7% di questi mariti è
diplomato, il 12,4% è laureato.
Sono dati riportati nel libro di Giuliana
Dal Pozzo, “Così fragile, così violento” pubblicato dagli
Editori riuniti. Sono dati e testimonianze raccolti dal Telefono rosa,
associazione nata nel 1988 per dare voce e aiuto alle donne che subiscono
violenza. E i racconti, sfatando i luoghi comuni, quelli che descrivono
il violento come uno sconosciuto alla vittima, un emarginato, offrono “una
galleria di ritratti maschili, dove gli uomini, più che malvagi,
appaiono prepotenti e meschini contro chi è più debole o
considerato inferiore”.
Gli uomini violenti sono figli di una
società che tollera comportamenti che offendono le donne considerandoli
assolutamente normali, di famiglie in cui al figlio maschio tutto è
concesso, di una scuola spesso impreparata e indifferente, di donne che
allevano e sopportano maschi violenti senza volere o sapere come agire
e degli uomini, soprattutto quelli che si considerano democratici e moderni
ma che non hanno mai avuto il coraggio di affrontare ed elaborare un discorso
sulla violenza maschile.
“Al ‘femminismo’ – scrive Dal Pozzo
– una delle più importanti rivoluzioni del Novecento che ha chiesto
alla politica e all’economia di parlare di persone e non di concetti astratti,
di esseri umani e non di cifre, che ha strappato leggi, mutato un costume
e un modo di pensare anche nelle sedi istituzionali, non ha corrisposto
un ‘maschismo’ che affrontasse il tema dell’essere uomo oggi”. E di fronte
ad un mondo che non vuole ancora considerare le donne come veri esseri
umani, di fronte all’omertà maschile, nascono le figure di violenti
che il libro analizza.
Ci sono il fidanzato, il marito, il
padre, il medico, il datore di lavoro, persone che la donna conosce bene,
di cui si fida e che abusano tranquillamente di questa fiducia con violenze
fisiche, economiche e psicologiche, protetti dall’autorità che la
società gli conferisce, nascosti dietro a titoli di studio, posizioni
lavorative di prestigio, stima e rispetto che hanno conquistato nella società
e nel mondo del lavoro.
Anche l’abuso sui minori, l’orrenda
pedofilia, arriva spesso da padri, parenti, vicini di casa, insegnanti
e molto più raramente da sconosciuti. Amici, parenti, conoscenti,
sono quasi sempre coloro che fanno arrivare nei paesi ricchi, l’Italia
naturalmente è compresa, donne che poi avviano alla prostituzione,
spesso dopo percosse, minacce e stupri di gruppo.
E’ dall’elaborazione femminista, dai
gruppi di aiuto negli anni sono nati e cresciuti, da alcune leggi che sono
state approvate, che si sta cambiando, anche se ancora molto lentamente,
la mentalità comune, che “un numero crescente di donne pensa che
i panni sporchi è meglio lavarli in piazza” ed è “con questa
donna nuova che l’uomo deve confrontarsi […] per non sentirsi superato
nel mondo che avanza, per non dover mascherare la sua debolezza con l’aggressività”.
Un lavoro ancora molto lungo, in cui
ognuno deve sentirsi impegnato, per riuscire a superare ogni forma di violenza.