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    Giuliana Dal Pozzo: "Così fragile, così violento" - Editori riuniti
    Recensione di Gabriella Bona
        
    Ogni giorno una donna su cinque subisce violenza. Una donna assassinata su due muore per mano del marito o dell’ex marito o del partner. Il 65% delle violenze sulle donne è commesso dal marito. Il 44,7% di questi mariti è diplomato, il 12,4% è laureato. 
    Sono dati riportati nel libro di Giuliana Dal Pozzo, “Così fragile, così violento” pubblicato dagli Editori riuniti. Sono dati e testimonianze raccolti dal Telefono rosa, associazione nata nel 1988 per dare voce e aiuto alle donne che subiscono violenza. E i racconti, sfatando i luoghi comuni, quelli che descrivono il violento come uno sconosciuto alla vittima, un emarginato, offrono “una galleria di ritratti maschili, dove gli uomini, più che malvagi, appaiono prepotenti e meschini contro chi è più debole o considerato inferiore”. 
    Gli uomini violenti sono figli di una società che tollera comportamenti  che offendono le donne considerandoli assolutamente normali, di famiglie in cui al figlio maschio tutto è concesso, di una scuola spesso impreparata e indifferente, di donne che allevano e sopportano maschi violenti senza volere o sapere come agire e degli uomini, soprattutto quelli che si considerano democratici e moderni ma che non hanno mai avuto il coraggio di affrontare ed elaborare un discorso sulla violenza maschile. 
    “Al ‘femminismo’ – scrive Dal Pozzo – una delle più importanti rivoluzioni del Novecento che ha chiesto alla politica e all’economia di parlare di persone e non di concetti astratti, di esseri umani e non di cifre, che ha strappato leggi, mutato un costume e un modo di pensare anche nelle sedi istituzionali, non ha corrisposto un ‘maschismo’ che affrontasse il tema dell’essere uomo oggi”. E di fronte ad un mondo che non vuole ancora considerare le donne come veri esseri umani, di fronte all’omertà maschile, nascono le figure di violenti che il libro analizza. 
    Ci sono il fidanzato, il marito, il padre, il medico, il datore di lavoro, persone che la donna conosce bene, di cui si fida e che abusano tranquillamente di questa fiducia con violenze fisiche, economiche e psicologiche, protetti dall’autorità che la società gli conferisce, nascosti dietro a titoli di studio, posizioni lavorative di prestigio, stima e rispetto che hanno conquistato nella società e nel mondo del lavoro. 
    Anche l’abuso sui minori, l’orrenda pedofilia, arriva spesso da padri, parenti, vicini di casa, insegnanti e molto più raramente da sconosciuti. Amici, parenti, conoscenti, sono quasi sempre coloro che fanno arrivare nei paesi ricchi, l’Italia naturalmente è compresa, donne che poi avviano alla prostituzione, spesso dopo percosse, minacce e stupri di gruppo. 
    E’ dall’elaborazione femminista, dai gruppi di aiuto negli anni sono nati e cresciuti, da alcune leggi che sono state approvate, che si sta cambiando, anche se ancora molto lentamente, la mentalità comune, che “un numero crescente di donne pensa che i panni sporchi è meglio lavarli in piazza” ed è “con questa donna nuova che l’uomo deve confrontarsi […] per non sentirsi superato nel mondo che avanza, per non dover mascherare la sua debolezza con l’aggressività”. 
    Un lavoro ancora molto lungo, in cui ognuno deve sentirsi impegnato, per riuscire a superare ogni forma di violenza.
        
    gabriella bona

 
 
 
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