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    Giuseppe Cantarano: "L'antipolitica" - edizione Donzelli
    Recensione di Gabriella Bona
        
    Rabbia e indifferenza, diffidenza e ricerca di un’alternativa: questi, molto spesso, sono gli atteggiamenti più diffusi, negli ultimi tempi, verso la politica tradizionale, la politica dei partiti e del Palazzo.
    “Una politica che pretendendo invasivamente di essere assolutisticamente ‘tutto’, rischia alla fine di diventare nulla” è quella che descrive Giuseppe Cantarano, docente di filosofia e storia e ricercatore del Crs, nel libro “L’antipolitica” edito da Donzelli.
    Con l’attenta descrizione dei fatti succedutisi negli ultimi anni, con il rimpianto per ciò che si sarebbe potuto fare e non si è fatto, Cantarano spiega come dalla politica sia nata l’antipolitica. L’enfasi data alle “Grandi Riforme” sempre annunciate e mai perseguite, l’impegno per raggiungere i “Fini Ultimi” dimenticando quelli che avrebbero dovuto essere gli obiettivi intermedi  e le piccole riforme che avrebbero potuto cambiare la vita delle persone e rallentare la caduta della popolarità della politica e dei politici: sono alcune delle cause che hanno prodotto la nascita, la crescita e il successo di personaggi e movimenti che si dichiarano antipolitici, che vogliono sostituire l’attuale dirigenza, che cavalcano il disincanto e il disgusto sempre più diffusi: Berlusconi, Di Pietro, Bossi, Guazzaloca sono nati così. Ma Cantarano sottolinea come la loro sia, in realtà, non una vera antipolitica ma soltanto un tentativo di sostituirsi alla politica attuale, ripercorrendo gli stessi percorsi e gli stessi errori.
    Nella triste vicenda della Commissione Bicamerale sono venuti a galla, in modo macroscopico, tutti i difetti della politica e dell’antipolitica. Il referendum sul sistema maggioritario doveva garantire l’avvento del bipolarismo ma oggi, in Parlamento, si contano ben quaranta partiti e non ce n’erano mai stati tanti. E non è piaciuto all’opinione pubblica che dopo Tangentopoli si sia cercato, con i governi Dini e Ciampi, di proporre una via non-politica e meno-partitica, per poi ricominciare tutto come prima. Ancora meno è piaciuto che, nel 1993, un referendum abbia sancito l’abrogazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti e il Parlamento, nel 1997, ne abbia votata un’altra in cui lo reistituisce,
    L’astensionismo che, negli ultimi anni ha raggiunto percentuali molto alte, dimostra che né i politici tradizionali né gli antipolitici piacciono, che è necessario trovare al più presto una soluzione. Anche perché, ormai da anni, il potere tecnico, scientifico ed economico, ha assunto nel paese, senza che i suoi rappresentanti siano stati democraticamente eletti, un peso eccessivo che non si è più un grado di gestire e coordinare.
    Non è con “l’insopportabile ‘teatrino’ della politica italiana, che non fa quello che promette e promette ciò che dovrebbe fare” né con il cambio dei nomi né con gli acrobatismi lessicali, che si può sperare di cambiare il disastroso stato delle cose. L’elettorato non ne può più di dover scegliere tra candidati indicati dalle segreterie dei partiti da cui non si sente rappresentato.
    E, invece, conclude Cantarano, necessario “pensare un’altra possibile fonte dell’agire politico. Che sia svincolato da un astratto modello […] liberandosi dall’idolatria dei valori, dalla dimensione teologica della politica”.
        
    gabriella bona

 
 
 
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