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    Carlo Galeotti  “Achille Starace e il vademecum dello stile fascista” - edizione Rubbettino
    Recensione di Gabriella Bona
      
      Un difetto facilmente riscontrabile nella narrazione storica è quello della troppa serietà. Nei testi scolastici e nei saggi storici sono spesso sottolineati il dramma e la tragedia, le vittorie e i trionfi ma sono colpevolmente trascurati l’assurdo e il ridicolo. 
    Carlo Galeotti, con il breve saggio “Achille Starace e il vademecum dello stile fascista”, edito da Rubbettino, ci propone il ritratto del Segretario del Partito fascista dal 1931 al 1939 sottolineando proprio gli aspetti assurdi e grotteschi della sua vita e della sua carriera. 
    Se la storia deve avere anche il compito di evitare, nel futuro, gli errori del passato, è indispensabile saperla leggere da diversi punti di vista, sfrondandola dai riti della troppa serietà. 
    E Storace, che Mussolini definiva un “cretino obbediente” e che fu il più longevo Segretario grazie soprattutto alla sua obbedienza, ci offre, con i “fogli di disposizioni” con i quali dirama a tutti gli organi del partito le proprie idee e gli ordini di Mussolini, alcune delle pagine più assurde della storia italiana. 
    Inventore del “voi” al posto del “lei”, fu talmente ligio alla propria idea da cambiare il nome del settimanale femminile “Lei” in “Anna bella”. L’uso dell’orbace per la realizzazione delle divise fasciste, il passo romano, il “saluto al Duce”, la lotta ai barbarismi che colpì ogni settore trasformando il bitter in amaro, Saint Vincent in San Vincenzo, Wanda Osiris in Vanda Osiride, i magazzini Standard in Standa, sono tutte creature di Starace. Dimostrano quanto superficiale e grottesca fosse la trasformazione della società italiana in società fascista. 
    Galeotti definisce il Segretario “ampolloso, retorico, brillantinato, medagliato fino all’inverosimile” e dimostra come “Starace misurava tutto col metro dei suoi gusti e vezzi”, fino a dettare regole sui particolari più privati e personali dei cittadini italiani. La sua fine fu decretata soprattutto da questa particolarità: Galeazzo Ciano notò come “gli italiani sono disposti a perdonare persino chi ha fatto loro del male, non perdonano chi li ha scocciati”. 
    Contrario, a parole, allo stile burocratico che gli faceva scrivere che “coloro che rivelano tendenze burocratiche finiscono per appesantirsi anche fisicamente”, Starace esibisce nei suoi fogli un indole e uno stile burocratici e fastidiosi “senza nessun sentore del senso del ridicolo”. 
    “Il vademecum delle stile fascista” che Galeotti ripropone nel libro, era stato curato da Asvero Gravelli e pubblicato quando già Starace era stato rimosso dalla sua carica. A sessant’anni di distanza dalla prima edizione è possibile leggerlo con uno spirito diverso, notando particolari che a quei tempi avevano altro peso e un diverso senso. 
    Oggi, anziché imparare come si deve stirare il colletto della camicia nera, che cosa bisogna mangiare e bere, a che ora ci si deve alzare al mattino, possiamo lucidamente capire quanto nella granitica dittatura fossero soltanto forma e parole. Ridicole 
        
    gabriella bona

 
 
 
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