Vladimir Dimitrijevic
"La vita è un pallone rotondo" - edizione Adelphi
Recensione di Gabriella
Bona
Finito il campionato di calcio (maluccio
per le due maggiori squadre piemontesi), finiti gli europei (persi negli
ultimi trenta secondi di recupero, anche se le imprese degli azzurri, Toldo,
Cannavaro e Nesta soprattutto, sono riusciti a far risorgere il tifo per
l’Italia), ci troviamo a dover affrontare ancora un’estate lontani da stadi,
partite vere, entusiasmo domenicale. Ma, almeno, ritroviamo il tempo per
leggere.
“La vita è un pallone rotondo”
di Vladimir Dimitrijevic, edito da Adelphi, è il libro ideale per
chi ama il calcio e la letteratura. Il suo autore scrive: “le mie due grandi
passioni [sono] la letteratura e il calcio”.
Nato in Iugoslavia nel 1934, quando
la nazionale di quel paese era una delle più grandi del mondo, ha
subito fin da piccolo il fascino del pallone. “Il calcio è il re
dei giochi […] perché – come la danza – riporta il nostro corpo
a quel che si potrebbe definire la preistoria dei nostri movimenti. […]
Potete adoperare soltanto gambe e piedi – questi antenati sottosviluppati
delle mani e delle braccia […] costretti a riannodare il legame con una
memoria animale sepolta dentro di noi”, scrive l’autore ricordando anche
“quando, per la prima volta ho calzato le scarpette con i tacchetti. Avevo
l’impressione, levandomi in piedi, di essere alto una decina di centimetri
in più. Inutile dire che non erano nuove, né della mia misura”.
Ma contenevano un fascino speciale, erano lo strumento per tentare di emulare
i grandi campioni nazionali, quelli della Stella Rossa, gli invincibili
ungheresi, in quegli anni maestri assoluti. E tra una partita e l’altra,
la scoperta dei libri, della grande letteratura europea e nordamericana,
i disastri della guerra e della dittatura, la subordinazione al regime
di Stalin che pervadeva ogni attività, calcio compreso: “non era
possibile dire se a Stalin il calcio piacesse o no, si sapeva solo che
gli piaceva vincere” e tutte le nazionali del blocco sovietico, quasi
sempre, lasciavano vincere l’URSS. Anche se un giorno Czibor “ha rovesciato
il bicchiere di palinka e sporcato di gulasch la tovaglia candida”.
L’amore per i libri continua parallelo
a quello per il pallone: in Svizzera, dove è emigrato nel 1954,
comincia a lavorare come commesso in una libreria, da trent’anni dirige
le Edizioni Age d’Homme di Losanna.
Un amore particolare: “nel calcio, come
in letteratura, - scrive Dimitrijevic – preferisco quelli che hanno mantenuto
l’impertinenza dei bambini”. Per questo ama Maradona. Per questo , tra
i grandi del calcio, non cita Pelé, che “ha cercato il favore dei
giornalisti, diventando il beniamino dei media e il trastullo dei politici”.
Né ama Platini o Beckembauer perché conducono “un’esistenza
che non mi appassiona per nulla”.
L’amore per i tempi passati, in cui
c’erano soltanto la radio e i giornali, in cui molto era ancora lasciato
alla fantasia e al racconto, l’avversione per la pubblicità e per
il mercato dei piaceri olimpici in cui “per poter assicurare qualche medaglia
alla nazione organizzatrice si includono le diverse discipline in cui quella
nazione può ottenere buoni risultati. Quando l’organizzazione delle
Olimpiadi toccherà agli eschimesi, si vedranno gare di concia di
pelli di foca”, sono alcuni dei tantissimi argomenti affrontati con coltissima
passione nei brevi capitoli che compongono il libro, dedicato a Darko
Giler con il quale l’autore ha condiviso passioni e dolori, il trauma dell’esilio
e il grande amore per la letteratura e il calcio.
gabriella bona
|