Paolo Sorcinelli:
"Gli italiani e il cibo" - edizione Bruno Mondadori
Recensione di Gabriella
Bona
“Chi non ha paura della fame, ha paura
del cibo” scrive Eduardo Galeano nel libro “Patas arriba”, un’attenta e
precisa analisi di un mondo dove la maggior parte degli abitanti è
ancora colpita dalla fame, si ammala e ne muore, mentre un altro piccolo
pezzo di mondo, dove la ricchezza ha fatto il suo nido, soffre di obesità
e di problemi dovuti ad una alimentazione eccessiva o squilibrata, e spesso
ne muore.
Paolo Sorcinelli, nel libro “Gli italiani
e il cibo”, edito da Bruno Mondadori, traccia la storia di un’Italia che
è passata, nell’arco di poco più di un secolo, dalla fame
all’abbondanza ma nella quale “l’appagamento dell’appetito con gusto e
piacere forse non è durato neppure il tempo di una generazione e
al sogno del cibo che non aveva, al sogno di rompere un involontario digiuno,
è subentrata l’ansia e l’impotenza di non dover soddisfare l’appetito,
sacrificato e soffocato sull’altare del colesterolo e dei trigliceridi”.
Alla fine dell’Ottocento il deperimento
e la morte dovuti alla fame o alla pessima alimentazione erano largamente
diffusi. Malattie e deformazioni ossee, pellagra, gozzo, cretinismo erano
comuni e causate dalla cattiva alimentazione. Inoltre, erano frequenti
intossicazioni causate da cibi avariati e vecchi a cui si ricorreva in
periodi di carestia. Anche le frodi alimentari, presenti e denunciate già
nell’Ottocento e un ricorso eccessivo all’alcool, ritenuto un ottimo energetico
e un integratore di una dieta a base di pane, polenta ed erbe di campo,
tendevano ad indebolire la salute degli italiani. Per le italiane c’era
anche il problema di una dieta ancora più scarsa, dovuta alla maggior
quantità di cibo “gerarchicamente” destinata agli uomini. Ma una
alimentazione particolarmente povera e scarsa ha afflitto l’Italia fino
a tutti gli anni ’50, quando la dieta era ancora prevalentemente a base
di cereali. La prima guerra mondiale, il fascismo e la seconda guerra mondiale
resero particolarmente lenta l’emancipazione italiana dalla fame. Nonostante
la retorica fascista tendesse a far apparire la carenza di cibo, e soprattutto
di cibi ricchi, un modo per temprare lo spirito e il corpo, nonostante
venissero pubblicati libri sull’arte di cucinare i cibi più poveri,
gli avanzi, gli scarti, in realtà gli italiani continuavano semplicemente
a soffrire una povertà che difficilmente e faticosamente si è
riusciti a superare negli anni successivi. “Nel 1951, il reddito pro capite
degli italiani […] era il 40% di quello dei francesi, il 35% di quello
dei belgi, il 60% di quello dei tedeschi, un settimo di quello degli americani”.
E leggiamo ancora nel libro, “negli anni quaranta e cinquanta […] l’elemento
principale era sempre il pane (in alcuni casi ancora sostituito da polenta),
accompagnato da erbe di campo o olive o patate, cavoli o fagioli”.
Oggi, raggiunta per la maggior parte
della popolazione una notevole agiatezza, nasce la paura del cibo. “Timori
che le multinazionali dell’industria alimentare e farmaceutica hanno provveduto
prima a dilatare e poi a colmare con massicce campagne promozionali” su
prodotti di dubbia utilità.
Attraverso le strade tortuose del cibo
fin qui percorse, Sorcinelli ci offre una possibilità per ripensare
al nostro modo di nutrirci e per pensare ad un modo più sereno per
vivere il rapporto tra noi e ciò che mangiamo.
gabriella bona
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