Paola Corti: "L’emigrazione"
- edizione Editori riuniti
Recensione di Gabriella
Bona
I movimenti migratori si assomigliano
sempre, da qualunque parte del mondo partano, verso qualunque posto siano
diretti. Spesso sentiamo parlare di immigrati in Italia in toni molto negativi:
dimentichiamo di essere stati un paese di emigranti, che la popolazione
di origine italiana nel mondo è stata valutata attorno ai 58 milioni
e che ci sono, quindi, più italiani all’estero che in Italia.
Il libro di Paola Corti, “L’emigrazione”,
pubblicato nella collana “Storia fotografica della società italiana”
degli Editori Riuniti, ci offre, attraverso brevi testi e fotografie, attentamente
scelte nell’enorme archivio delle famiglie degli emigranti e dei fotografi
professionisti, un’ampia documentazione sui viaggi affrontati, negli anni
più difficili della storia e dell’economia italiana, da milioni
di uomini e di donne diretti verso paesi che si sperava fossero più
accoglienti e più ricchi. Oggi, grazie alle risorse e agli spazi
ottenuti come conseguenza di questo esodo, dei contributi e delle “rimesse”,
siamo diventati un paese dove altri cercano le stesse cose che gli italiani
cercavano allora.
Dall’esodo verso i paesi europei nel
corso dell’Ottocento si passa all’emigrazione nei paesi del continente
americano, tra la fine dell’Ottocento e la seconda guerra mondiale e, infine,
ai viaggi verso l’Australia.
L’emigrazione in Europa era costituita
soprattutto da impresari, operai, muratori addetti alla costruzione di
edifici e ferrovie e da minatori. Le donne erano raccoglitrici e contadine
nei paesi confinanti e balie. L’emigrazione verso gli Stati uniti e l’America
latina è stata, all’inizio, soprattutto maschile: il sogno
di tutti quelli che partivano era quello di ritornare, al più presto,
dopo un periodo di lavoro duro ma remunerativo o quando la situazione politica
fosse mutata. Spesso i sogni non si avverano e una seconda ondata migratoria
vide protagoniste donne e bambini nel ricongiungimento famigliare all’estero.
Le fotografie sottolineano i vari aspetti
che si sono intrecciati nei viaggi: le testimonianze della vita spesso
drammatica degli italiani all’estero appaiono di fianco ai rassicuranti
ritratti che si inviavano alle famiglie, per tranquillizzarle, per paura
di dichiarare il proprio fallimento, per l’incertezza in cui molti vissero
a lungo. La fotografia, inoltre, era un modo per mantenere almeno un’idea
di unità famigliare, per rivedere i volti dei parenti lontani e
dei bambini nati dopo la separazione.
Arrotini e anarchici, minatori e balie,
operai della Transiberiana e cameriere, artigiani e negozianti, appaiono
in questa galleria di fotografie, spesso sbiadite ma che non hanno perso
la forza di testimonianza di una importante parte della nostra storia.
E per quelli che continuano a sostenere
che gli immigrati in Italia in questi anni vengono per delinquere, mentre
gli italiani all’estero andavano per lavorare onestamente, non manca la
sezione dedicata ad Al Capone e a Lucky Luciano; per chi sostiene che gli
italiani non sono mai andati in giro per il mondo a vendere accendini,
è dedicata l’ultima fotografia: due emigranti liguri seduti su un
gradino offrono ai passanti oggetti di merceria esposti in cassette di
legno appoggiate su un marciapiedi.
gabriella bona
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