Libro e serata
di Gianni Minà
Commento di Gabriella
Bona
E’ iniziata e finita parlando dell’OP
Computer la serata di Gianni Minà, ad Ivrea il 16 ottobre. Alla
sala Santa Marta dove la Libreria Cossavella ha organizzato la presentazione
del suo ultimo libro, “Testimoni del tempo” edito da Sperling & Kupfer,
Minà ha portato la sua solidarietà ai lavoratori di Scarmagno,
ha sottolineato che “se le leggi di mercato portano a questi risultati
vuol dire che sono ingiuste o disoneste”. Al termine dell’incontro a Ivrea,
si è poi recato nella fabbrica occupata, ha salutato le persone
presenti e ha chiacchierato con loro. Ha anche assicurato che cercherà
di portare a conoscenza di tutti quello che sta succedendo qui: “quando
mi chiederanno che cosa ne penso di un gol, gli risponderò: dopo
te lo dico, prima ti spiego che cosa succede all’OP”.
Con la stessa affascinante curiosità
e indomabile energia, Minà affronta il pubblico e i personaggi che
incontra per le sue interviste della serie “Storie” che la Rai gli ha concesso
di realizzare ma non sempre di trasmettere e mai prima della mezzanotte.
“Testimoni del tempo” è la raccolta di alcune di queste interviste,
dove troviamo “persone che hanno dovuto contrapporsi alla vita per scelta
o per caso”. Non pensavano certo, sottolinea Minà, Luciana e Giorgio
Alpi di doversi trovare a lottare per anni per tentare di scoprire quali
erano i mandanti e i motivi dell’assassinio della figlia Ilaria, giornalista
coraggiosa uccisa in Somalia con l’operatore Miran Hrovatin. Né
Hebe de Bonafini si era mai immaginata di dover uscire dalla sua vita tranquilla
e diventare la presidente delle madri di Plaza de Mayo dopo che la dittatura
argentina fece sparire i suoi figli Raúl e Jorge.
Il libro raccoglie storie di donne e
di uomini coraggiosi, che hanno saputo fare una scelta e mantenersi fedeli
ad essa nonostante i rischi e i pericoli che questo comporta. C’è
molta America latina, con Frei Betto, frate domenicano brasiliano, teologo
della liberazione, bandiera dei senza terra, che ha conosciuto il carcere
e le torture; c’è lo scrittore cileno Luis Sepúlveda, nel
’73 giovanissima guardia del corpo del presidente Allende, autore di libri
che hanno fatto conoscere al mondo i drammi del continente sudamericano;
c’è Paco Ignacio Taibo II, spagnolo di nascita ma cresciuto in Messico,
grande narratore e storico di Che Guevara; c’è il Nobel per la pace
Rigoberta Menchú che ha avuto un ruolo fondamentale nel processo
di pace in Guatemala; c’è Felicita Cerpa Cartolini, madre di Nestor,
capo del movimento Tupac Amaru, ucciso in Perú dagli uomini del
presidente Fujimori nell’ambasciata giapponese; c’è Diego Armando
Maradona, un calciatore molto amato da Minà, un giocatore che, uscendo
dal coro, ha saputo mettersi contro il potere dei padroni del calcio e
che ha sempre dovuto pagare a caro prezzo il suo dissenso, la volontà
di denunciare. Ma nel libro troviamo anche Silvia Baraldini che ha vissuto
anni terribili nelle carceri degli Stati Uniti; Dario Fo e Franca Rame,
il loro lavoro di denuncia, le loro storie di censura; Don Luigi Ciotti
che da anni si dedica ad iniziative sociali a favore di giovani emarginati.
Diversa dalle altre, lo stesso Minà la definisce la più “debole”
tra queste storie, è quella di John Kennedy jr., il figlio del presidente
assassinato, che ha cercato per anni di emanciparsi dall’obbligo di seguire
una strada dalla quale sembrava non potesse allontanarsi, quella della
politica.
Gianni Minà riesce a raccontare
con attenzione e delicatezza personaggi e situazioni dure e difficili,
personaggi scomodi, cerca di portare a galla persone e fatti che giornali
e televisioni volutamente nascondono, cerca di superare la logica del giornalismo
frettoloso e asservito al potere, ci offre preziose informazioni tentando
di scuoterci da quella rassegnazione passiva in cui l’ignoranza dei fatti
tenta di buttarci.
gabriella bona
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