Erwann
Menthéour: “Il mio doping” - pubblicato da Baldini & Castoldi
Recensione
di Gabriella Bona
Non c’è molta
differenza tra quelli che vengono normalmente definiti “tossici” e gli
sportivi dopati: stessi riti di iniziazione, stessi metodi di adescamento,
stesse paure, anche se, ma soltanto in parte, cambiano le sostanze (ma
eroina, cocaina, anfetamine sono tra i consumi di entrambi i gruppi).
La vera differenza
è che il “tossico” deve cercarsi e pagarsi le sostanze che usa e,
nella maggior parte dei casi, delinquere per procurarsi il denaro per la
dose mentre il dopato ha chi lo paga, e più è dopato e più
lo paga, ha chi lo protegge contro la giustizia che ha deciso di indagare,
ha alle spalle le case farmaceutiche che sulle sostanze dopanti, sui prodotti
schermo, sulle cure a chi dal doping ha subito spiacevoli conseguenze,
sta facendo affari d’oro.
Il doping à
ormai diffuso in tutto il mondo dello sport ma è sicuramente il
ciclismo uno di quelli in cui è più diffuso e l’estate è,
quindi, la sua stagione: dallo scandalo della Festina al Tour ’98 all’ematocrito
di Pantani al Giro ’99 (e mi auguro che tra la stesura e la pubblicazione
di questo articolo non succeda niente altro) è diventato uno dei
temi più scottanti e più discussi. Ma anche dove maggiormente
appare una chiara volontà di non andare molto al di là dei
proclami del patron del Tour de France o dei nostri parlamentari. La “Gazzetta
dello Sport” del 5 luglio scrive, giustamente, che “purtroppo il progetto
di legge (sulla lotta al doping) assemblato dal presidente della Sanità
di Palazzo Madama, in parte mutuato dal disegno della Melandri, fa acqua
da più parti”. Perché, infatti, proporre che “chiunque sottopone
a doping un atleta è punito se dal fatto deriva pericolo per la
salute” dovendo aspettare anni per verificare se la salute è compromessa
e non scrivere che “è doping la somministrazione di farmaci su atleti
che non presentino specifiche patologie che la giustifichino”? E come credere
in una legge che prevede la copertura finanziaria soltanto per il rimborso
spese dei commissari e non per i programmi antidoping, i controlli, la
ricerca?
Forse a qualcuno
è sfuggito che il problema è proprio molto grosso? A sottolinearne
l’importanza è il libro “Il mio doping” pubblicato da Baldini &
Castoldi e scritto da Erwann Menthéour, corridore ciclista francese,
nato nel 1973, buon dilettante con notevoli successi, passato al professionismo
nel 1995 e vincitore di una sola gara, nel 1977, anno del ritiro. Il libro
è dedicato ai giovani, che vedono nei grandi campioni un modello
da imitare e, se possibile, da superare e che, per ottenere il successo,
sono disposti a tutto, proprio a tutto, anche a rimetterci la salute o
la vita, anche a rischiare di perdere gli affetti più cari. “La
mia storia - scrive Menthéour - non è esemplare, e ho commesso
numerosi errori, ma se permetterà loro di sbarazzarsi di qualche
illusione non sarà stata inutile”.
Persona colta,
amante dei libri e della musica, l’autore conosce tre lingue, ha un carattere
allegro e simpatico, sembra dotato di ottimi strumenti per affrontare con
maturità ed equilibrio la vita, eppure come gli altri si lascia
acchiappare dal desiderio di fare sempre di più e con minor fatica,
dalla paura di rimanere indietro o di fare la figura dell’imbecille, di
inimicarsi i personaggi che contano e di rimanere senza un contratto. La
lenta discesa attraverso gli strati sempre più profondi della droga
ci è proposta con dolorosa sincerità, ci porta a conoscere
i retroscena di quello che è diventato un carrozzone della pubblicità
e dello spettacolo, in cui gli atleti devono andate sempre più in
alto, più lontano, più veloce, altrimenti si perde, il gioco
non rende più e nessuno vuole correre questo rischio. E’ un atto
di accusa anche per gli spettatori, per chi non sa più accontentarsi
di una bella volata ma la vuole a 60 all’ora, di una bella scalata ma vuole
l’eroe solitario, di un bello spettacolo sportivo ma pretende il record.
I fattori che
hanno portato al doping e lo stanno esasperando sono tantissimi, come i
responsabili di questa situazione. Ognuno, tra le pagine del libro, può
trovare la parte che lo riguarda, sperando che abbia il coraggio di fermarsi
a riflettere.
gabriella bona
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