IVREA - SR. STEFANINA: “A BEIT
UMMAR NON CI SONO SCORAGGIAMENTO E SENSO DI SCONFITTA” Lavoro e preghiera
per la difficile pace Il racconto della missione
in Palestina
IVREA - Siamo tornati questa notte
dalla Palestina.
Scrivo a caldo per ringraziare coloro
che in diversi modi ci hanno seguito. Preghiere, aiuti, messaggi, telefonate
ci hanno permesso di sentire che eravamo in Palestina a nome della Diocesi,
del comune d’Ivrea e del comitato cittadino di solidarietà.
Tante situazioni e momenti di incertezza
facevano parte del nostro bagaglio. Poco alla volta i nodi si sono sciolti.
E’ sempre una profonda esperienza poter farsi presente a chi è nella
sofferenza e nell’ingiustizia.
Questi tre giorni trascorsi in Palestina
per seguire la missione del progetto “Un Varco per la Pace”, ci hanno permesso
di avere i contatti necessari per consegnare le offerte, di seguire la
consegna degli aiuti tramite l’associazione Ta’ Ayusch (vivere insieme)
e la Caritas di Gerusalemme.
Gli aiuti sono giunti al villaggio
grazie ai giovani dell’associazione formata da israeliani e palestinesi
che hanno organizzato un convoglio di un centinaio di auto che hanno scortato
i camion degli alimenti fino allo sbarramento militare della città.
Qui sono stati scaricati e manualmente trasportati oltre lo sbarramento
dove ci attendevano le autorità del villaggio e alcune persone con
i loro mezzi. Tutto questo eseguito sotto gli occhi dei soldati armati
a poca distanza dai grossi carri armati.
In piedi su un blocco di cemento
e sulle pietre dello sbarramento, il Sindaco ha ringraziato per i doni
ricevuti per la sua gente chiedendo ai presenti di far conoscere al mondo
la loro difficile situazione.
In seguito abbiamo avuto la possibilità
di confrontarci con la direttrice della Caritas di Gerusalemme, la signora
Claudette Abesch, alla quale abbiamo chiesto appoggio per ulteriori interventi
da parte nostra su questo progetto.
Sabato mattina siamo riusciti a
raggiungere la città di Jenin e il villaggio attiguo distrutto dalla
milizie israeliane. E’ stato molto difficile poter superare i posti di
blocco posizionati ad alcuni chilometri dalla città, ma è
stato altrettanto interessante e commovente trascorrere alcune ore con
le persone che con sofferenza e dignità guardano le loro case bruciate
e ridotte a macerie.
A Jenin c’è una piccola missione
cattolica di suore italiane che si occupano di una trentina di famiglie
cristiane cattoliche ma anche musulmane. A suor Anna Maria, che là
vive con altre due consorelle, abbiamo lasciato un’offerta della Caritas:
un piccolo aiuto per le grandi necessità del momento.
Domenica, ultimo giorno, abbiamo
finalmente avuto l’incontro con il sindaco e i suoi collaboratori della
città di Beit-Ummar. Questa località palestinese sorge a
15 chilometri da Gerusalemme sulla strada che conduce a Hebron e conta
circa 10 mila abitanti. Dal 1999 si è costituito municipio con sede
nel nuovo edificio costruito con l'aiuto dei giapponesi. Attualmente la
cittadina è bloccata a causa della guerra: manca il lavoro, le due
fabbriche locali di materiale da costruzione e di asfalto sono ferme, ma
i contadini di Beit-Ummar non abbandonano le belle colline coltivate con
alberi da frutta, ricchi filari di viti nodose e piante di ulivi. Purtroppo
lo scorso anno il governo israeliano non permise ai contadini di vendere
il raccolto dell’uva e delle mele, che cosa potrà succedere quest’anno
in una situazione di assedio?
Il sindaco di questo luogo è
un palestinese di 32 anni, ingegnere, sposato e padre di due figli. E’
una figura snella dallo sguardo attento e vivace. La sua équipe
di collaboratori è altrettanto interessante.
L’incontro ci permette di esprimere
e presentare i nostri obiettivi di collaborazione e solidarietà
nei loro confronti. Lentamente l’atmosfera alquanto tesa si scioglie; ci
viene servito con accogliente semplicità un buon thé alla
menta mentre ascoltiamo i loro racconti di sofferenza che suscitano spontanea
commozione.
Mentre attendo la traduzione dell’interprete
mi risuonano nel cuore le parole del vescovo: “Non abbandoniamoli, il nostro
impegno sia al servizio della pace”.
Il loro atteggiamento non lascia
trapelare senso di sconfitta e scoraggiamento, si percepisce la loro volontà
di resistere e superare il disagio. Ci parlano delle varie scuole che Beit-Ummar
possiede, di un centro medico esistente e di un altro più ampio
in costruzione che fanno visitare. Il centro medico è ricco solo
di pazienti, di un medico per due ore al giorno che ha a disposizione alcune
pastiglie e poche confezioni forse di antibiotico.
Il rapporto tra noi diventa sempre
più espressivo e spontaneo fino a volerci trattenere per pranzare
con loro. Purtroppo abbiamo il viaggio di ritorno fissato e non possiamo
accettare. Ci riaccompagnano al posto di blocco dove ci salutiamo promettendo
loro di ritornare ancora.
La difficile pace ha ancora bisogno
di tanto impegno e preghiera.