SAN PONSO - OLTRE ALL’EDIFICIO
PRE-ROMANICO, RESTI CELTICI E ROMANI Battistero e antiche
vestigia
SAN PONSO - Il battistero pre-romanico
di San Ponso in Canavese insiste su un sito caratterizzato da un accumulo
di vari depositi, a partire, originariamente, da un’area celtica.
Chiare vi sono le testimonianze
della conquista romana: si tratta, in particolare, di un insieme di lastre
in marmo con iscrizioni. Alcune si trovano ancora sul posto, sebbene talora
frammentarie, quasi illeggibili; comunque in esse emerge un’evidente preminenza
sociale della gens Aebutia.
Riportiamo il testo di due titoli
dal senso completo. Nella prima stele sepolcrale, con busti panneggiati
ormai privi di teste, l’opera è stata approntata su commissione
di Sabino per il padre Cario Ottavio Marcello e per la madre Ebuzia Prisca,
figlia di basso:
C. OCTAVIO
MARCELLO
ET AE BVTIAE
BASSI F.
PRISCAE
SABINVS F. FC.
Nella seconda, il decurione Lucio
Tutilio Secondino innalza un’invocazione agli Dei Mani:
D.M.
L. TVTILI SECVN
DINI DECVRIO
NIS.
All’età longobarda, viceversa,
appartiene il santuario mariano di Belmonte di sicura fondazione Liutprandina.
Traccia minima di tale periodo è
anche, a S. Ponso, la lastra lapidea, reimpiegata dai costruttori comacini
come architrave della porta del battistero, che è stata istoriata,
a mezzo di tratti rozzamente incisi, con una figura femminile giacente,
recante una borsa per le offerte. La scultura barbarica, infatti, presenta
caratteri di riduzione della forma inconfondibili, tali da giustificare
una così alta datazione.
A definire lo skyline di questa
parte di Canavese, dominata in lontananza dal santuario di Belmonte, concorrerà,
alla fine del XIII sec., l’alta torre rotonda del ricetto di Salassa.
Il battistero di San Ponso, per
contro, è sorto, sul finire del X sec., su un martyrium come lascia
supporre il ritrovamento della vasca battesimale, assegnabile al V sec.,
durante gli ultimi scavi archeologici.
La sua struttura attuale è,
all’esterno, a tre corpi solidi ma il più elevato, con la cella
campanaria, è un’aggiunta posteriore.
Nella sua semplice costruzione,
il perimetro poligonale è variato, in alzato, da nicchie rettangolari
e da absidi curve, che s’alternano, sporgenti in ogni lato. Il tamburo
ottagono, invece, è liscio, chiuso in sé stesso, composto
in maggioranza da pietre, sebbene vi compaiano dei mattoni (in origine,
non era intonacato).
All’interno, i grandi nicchioni
convergono verso lo zenit, con una tessitura che si restringe, sempre più
minuta, a formare la cupola. Fuori, s’assiste alla ripetizione su diverse
superfici del motivo di una stretta specchiatura, chiusa da una coppia
di archetti. Ci troviamo di fronte ad un esordio ornamentale che soltanto
in seguito si fisserà in un codice nordico di decorazione.
Nell’alto medioevo, per quel che
riguarda i confini tra le diocesi, venne a crearsi un’anomalia a danno
d’Ivrea, con la penetrazione di Torino che, con le sue pievi di S. Ponso
e di S. Dalmazzo di Cuorgné, avanzò sino all’Orco, interrompendo
la continuità del territorio eporediese a destra di questo fiume,
là dove essa s’estendeva a tutto il sottostante bacino del Malone.
Si fronteggiano così la chiesa
pievana torinese di S. Ponso e quella eporediese di S. Cassino di Oglianico.
In conclusione, la pieve di S. Ponso,
come denuncia la bifora pre-romanica, già disegnata da Alfredo d’Andrate,
collocata entro la moderna parrocchiale, s’affiancò subito al battistero,
formando un complesso architettonico simile a quello che s’incontra sull’altura
di Settimo Vittone che, però, è da considerarsi un antecedente.