A IVREA PRESENTI DIVERSE OPERE
TESTIMONIANZE
DELLA PITTURA TARDOGOTICA
Una categoria della storia dell'arte
medievale riguarda "i nomi senza opere": vi sono implicati, da noi, Amedeo
Albini e Nicolas Robert.
Per quest'ultimo il recente
restauro ha permesso, però, l'attribuzione della Scena di resurrezione
dalla morte, ad affresco, collocata in fondo alla navata sinistra del Duomo
di Ivrea.
Il nudo di donna, al centro
della composizione, solo in parte avvolto da un lenzuolo, s'adagia sul
coperchio chiuso di un grande sarcofago di color rosa, dal disegno geometrico,
visto di sbieco, accennando con l'indice al Santo, mentre il suo sguardo
si rivolge, in direzione opposta, ai due inginocchiati.
Il Beato Pietro di Lussemburgo
è identificabile innanzitutto per lo stemma dal leone rampante,
collocato sul lato corto del sepolcro, e poi dal motivo, quasi surreale,
dell'ampio cappello cardinalizio, sorretto da un angelo, con i cordoni
annodati, terminanti a nappe, che scendono in verticale o di traverso nello
spazio. Ha un volto emaciato, incorniciato da un rettangolo nero: è
colto in un gesto di benedizione.
La parte più realistica
vi è agita dai due contadini, entrambi con grandi cappelli, che
assistono all'evento. Il più vecchio si scherma gli occhi dalla
luce con la mano alzata. Sotto la casacca lilla ha delle barche spiegazzate
e dei calzari tagliati da cui spuntano nude le dita dei piedi. Il più
giovane, in mantellina viola, regge in alto un filatterio, con un versetto
di lode.
Il lavoro eporediese più
importante di Nicolas Robert è, però, la decorazione dell'Oratorio
di Yolanda di Valois nel castello d'Ivrea, eseguita durante il periodo
di permanenza alla corte sabauda, nel biennio 1474-75.
Si tratta di un'opera perduta,
su cui esiste la testimonianza scritta dallo stesso artista per ottenere
dalla committenza una valutazione del proprio lavoro che tenesse conto
del tempo impiegato (nove mesi e mezzo), dei materiali, soprattutto dei
colori, e della sua fatica.
Molto interessante vi è
la descrizione del piano iconografico: "contenant XV chapitres toute faicte
dor fin bruni et de fin azur et toutes aultres collours fines faictes huille,
ensemble quatre fenestres faictes dor bruni es des dites coullours et feuillages
et ymages dedant les dites feuilles et devises de ma dite dame".
E' un tipico "retable"
franco-provenzale per l'altare, dipinto con colori ad olio e di pregio,
dall'oro fino e brunito all'azzurro oltremare, in un ambiente esclusivo.
L'apparato decorativo,
quindi, oltre alla pittura dei soggetti, aveva riguardanto anche le vetrate
e l'esecuzione di: "le ciel de dessus le dit oratoire".
Nella vòlta, infatti,
si vedevano: "ung souleil dor fin et ung Jhesus au meillieu garni destoilles
dor fin et a iiii bous les iiii evangelistes"; ossia, un sole d'oro fino
e un Gesù in mezzo guarnito di stelle e ai quattro canti gli evangelisti.
Nicolas Robert era un regista
"totale", nel senso che poteva dirigere i lavori per un banchetto, come
nel caso di un'ambasceria: "pour avoir couvert XXIII grans platz de verges
lesquelx il a couvert et cole de papier douihle et puis les a apres couvert
de feulles destain; pour IIII douzaines et demy de bannieres armoyees pour
mectre par dessus le viandes du dit banquet" (per aver coperto i grandi
piani di canne, la canniciata, con della carta duttile di fogli di stagno
e per aver eseguito gli stendardi con le armi nobiliari per le portate
- febbraio 1474); oppure per un funerale notturno al lume delle torce,
come avvenne in occasione della sepoltura del Conte di Villars nel Duomo
di Notre Dame d'Ivrea, sempre nel febbraio del 1474.
Rientra, inoltre, con Jaquerio,
nella casistica del "dov'è?", quando cioè i committenti perdono
di vista il loro artista. Per Nicolas Robert si trattava soltanto di uno
spostamento da Valperga ad Ivrea (settembre 1475).
Ritornato alla corte di
Yolanda di Savoia, modellò per la duchessa reggente una figura di
cera per un rito magico di guarigione: "une ymage de cire de la grandeur
et grosseur de Charles monseigneur", da donare al convento di San Bernardino
dove, forse, era già al lavoro Martino Spanzotti.
Un altro, nella schiera
itinerante degli ultimi esponenti dello stile gotico, era appena transitato
in S. Bernardino, ma di cultura diversa, dolcemente lombarda: Cristoforo
Moretti, a cui sono state assegnate, all'interno della chiesa conventuale
francescana, delle figure dall'aria romanticamnete malinconica.
Per ritornare al Duomo
d'Ivrea, ci rimane da leggere un secondo affresco contiguo a quello in
precedenza analizzato di Nicolas Robert.
E' una Madonna col figlio
in trono tra i santi valdostani Grato e Bernardo di un Anonimo tardogotico.
Colpisce, dapprima, il
candore marmoreo del trono, cui contrasta la cromìa accesa del restante
spazio dipinto: dall'arancio del Bimbo che si protende verso la famiglia
inginocchiata dei devoti al rosso, con risvolti chiari, del manto del Vescovo
Grato.
San Bernardo da Mentone,
naturalmente, è in bianco e nero e mette in risalto la lunghissima
catena con cui tiene imprigionato il diavolo atterrato.
aldo moretto