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 Per le strade del mondo
 
     
     
        
    UNA CHIESA RICCA?

    I giornali di qualche giorno fa hanno ipotizzato una Chiesa ricca, sulla base di un discorso fatto dal Card. Biffi, Arcivescovo di Bologna, all’inaugurazione di una Mostra dei tesori della sua Cattedrale: la povertà della Chiesa - così leggo su diversi quotidiani - sarebbe stata attribuita dal Cardinale ad “un’ideologia borghese’’, quindi a “fedeli, preti e Vescovi benestanti’’ che “vorrebbero spogliare gli altri, ma non rinuncerebbero ad un mobile di casa’’.
       Il Cardinale in realtà ha solo affermato che “non c’è scritto in nessuna parte del Nuovo Testamento che la Chiesa dev’essere povera’’, anche se egli - per la sua intelligenza e la sua esperienza del passato - sa già che le sue frasi un po’ provocatorie vengono poi diffuse e strumentalizzate soprattutto da quei mezzi di informazione e da quella parte di opinione pubblica che punta tutto sulla ricchezza e non vuol sentire parlare di povertà se non come di una possibilità di “fare del bene’’ alleggerendo così la coscienza.
       E’ anche vero però che i “deboli nella fede’’, come li chiamava San Paolo, possono rimanere turbati. Diversi me l’han detto, e questo mi spinge a parlarne, almeno ai vicini. Anche perché è pur vero che noi preti (e quindi anche Vescovi e Cardinali), da qualunque settore sociale proveniamo, diventiamo in genere poi tutti borghesi, di solito abbastanza gelosi anche dei nostri mobili! Oltretutto l’episodio che il Cardinale cita, del padre operaio fiero per la sontuosità del Duomo di Milano considerata come ricchezza anche dei poveri, manifesta che egli pensa soprattutto alle ricchezze artistiche al servizio del culto - come erano appunto quelle esposte alla Mostra che stava inaugurando - mentre la gente facilmente allarga l’illusione anche a quanto è piuttosto suono di danaro, di investimenti, di proprietà redditizie che sembrano piuttosto richiamare i mercanti che Gesù scacciò dal Tempio, citati questi nel Nuovo Testamento.
       Certo, quando Gesù diceva “beati i poveri’’ e “guai ai ricchi’’ (v. Lc. 6,20 e 24) si rivolgeva agli individui non alle comunità; ed aggiungeva che è difficile per un ricco (ovviamente sempre gli individui, non le comunità!) entrare nel Regno dei cieli, pur riconoscendo che “quello che è impossibile agli uomini è possibile a Dio’’. L’importante è che la Chiesa, memore di Gesù che “essendo ricco si è fatto povero, perché noi ci facessimo ricchi della sua povertà’’  (2 Cor. 8,9), non faccia affidamento sulle sue ricchezze - sia pure su quelle culturali - così da essere sentita lontana da chi è povero e ritiene che la Chiesa - in particolare la gerarchia - si trovi più in sintonia e più a suo agio con i ricchi ed i potenti che non con i poveri; e soprattutto non rischi di attenuare o di far dimenticare ai cristiani la beatitudine prima e fondamentale del Vangelo “beati i poveri’’ i quali devono esserlo fino “nello spirito’’.
       In fondo il Concilio, che non aveva parlato espressamente di una “Chiesa povera’’, ha auspicato una “Chiesa dei poveri’’: la Chiesa “per’’ i poveri (la Chiesa di sempre, a cominciare da quella degli inizi, preoccupata che nessuno fosse bisognoso, v. At. 4,34) li aiuta e li difende, mentre la Chiesa “dei’’ poveri vive in modo che i poveri si trovino a loro agio, possano far sentire la loro voce, vedano considerata la loro personalità. E’ questo che la Chiesa deve tendere a fare; e forse le provocazioni dell’Arcivescovo di Bologna possono stimolare una riflessione, sollecitare un impegno.
     
    + luigi bettazzi

       
     

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