DUOMO, LA CRIPTA
RESTAURATA
La cripta ritrovata del duomo d'Ivrea
(X-XI sec.) permette una percezione pura di uno spazio costruito altomedievale:
l'innesto delle strutture murarie vi avviene sulla viva roccia.
A poca distanza dal muro d'ambito, il
deambulatorio si serve di tozze e basse colonne di reimpiego, con capitelli
semplici, non lavorati che s'espandono, a tulipano, nelle vele delle volte
tese da dinamiche, sottili nervature. Massicce vi sono le costruzioni delle
torri.
L'arca romana, fulcro ideale della cripta,
è stata riposizionata, seguendone l'impronta, come martyrium: contenitore
delle reliquie dei martiri della legone tebea, già così usata
dopo il possesso delle ossa di San Besso da parte del vescovo Warmondo,
ritornando al culto originario.
L'ampliamento della cripta (XI-XII sec.)
s'innesta sul corpo iniziale: le esigenze liturgiche di prolungare il presbiterio
portarono alla costruzione conseguente della sottostante seconda cripta,
con colonne più alte e capitelli lavorati. Le scale d'accesso vennero
tagliate, ricavate nello spessore dei muri, ricoperti con malte chiare.
In età romana, riepilogando, ad
Ivrea si susseguivano, nel settore urbano che stiamo esaminando, il teatro
sulle pendici del colle e il tempio sull'altura.
Il recente scavo archeologico, condotto
da Luisella Pejrani, ha permesso di delineare al vertice della città
la seguente sequenza: tempio pagano, basilica paleocristiana, blocco occidentale
romanico di cui, solo, è responsabile Warmondo.
Il "condidit" dell'istruzione "CONDIDIT
HOC DOMINO PRAESVL VVARMVNDVS AB IMO" era già stato precisato in
"auxit" dal Breviario Proprio Eporediese.
Il primo problema che pone all'interpretazione
la Cattedrale di Sancta Maria de Yporegia è che non è orientata
verso oriente, secondo il costume delle chiese romaniche in Canavese che
prescriveva che, all'alba, i primi raggi del sole illuminassero l'altare.
L'altro è che il tiburio viene a collocarsi a metà navata,
distante dalla rotonda primitiva.
Il westwerk o blocco occidentale, visivamente,
ad Ivrea s'impone con l'abside curva stretta tra le torri gemelle.
Il lato del chiostro dei canonici, dirimpetto,
non è che un diaframma coloristico, contrapponendo al pieno il proprio
vuoto.
Il deambulatorio superiore, unico, si
riflette diviso in due percorsi nella cripta.
Del pavimento originario del duomo romanico
non rimane che un resto di litostrato, ora collocato sotto il portico del
seminario, con le Arti liberali, indice sulla rinascenza agita dallo scriptorium
warmondiano.
E' un caso architettonico, quindi, quello
eporediese molto intrigante a livello ermeneutico.
In origine la cripta era nuda, spoglia.
Soltanto nella seconda metà del Duecento vi compare la pittura murale:
nell'absidiola nord del tramezzo murario con la rappresentazione della
Vergine col figlio tra un santo Vescovo, trattato graficamente, ed un monaco;
nella conca orientale dell'ampliamento con un ridente san Gaudenzio.
Per il primo Trecento, occorre salire
al deambulatorio superiore, all'altezza dell'acquasantiera, per incontrarvi
il giovane martire con la palma del martirio, in sontuosi paramenti sacri,
da assegnarsi alla cerchia del Maestro d'Oropa.
Ritornando nella cripta, sul pilastro
di sostegno sud campeggiano due cavalieri con stendardi: il primo, anonimo,
di fine Trecento; il secondo d'inizio di Quattrocento, da attribuirsi ad
Aimone Duce, seguendo anche il ricordo di un diario di spese tenuto da
Antonio della Curseria che, per il 1422, riporta un pagamento a "duxamo
pictori de papia".
Di Giacomo da Ivrea è, invece,
nell'absidiola sud del tramezzo murario, la Madonna col figlio tra Santi,
sormontata dall'Annunciazione, con una scritta simile a quella di Pavone
(1424), che il restauro ha reso coloristicamente leggibile nella sua dominante
sul verde. Tra sparsi frammenti, di un amico di Giacomino è la Visitazione.
Per completare la lettura dell'apparato
ad affresco tardo-gotico del duomo d'Ivrea, andranno ancora ricordate per
la seconda metà del Quattrocento due opere: il riquadro con san
Bernardo di Mentone, sull'attuale porta d'accesso alla cripta, al termine
della navata sinistra; e quello, lì accanto, con un'enigmatica scena
di resurrezione operata dal beato Pietro di Lussemburgo, di pertinenza
del franco-provenzale Nicolas Robert, al momento del suo servizio ad Ivrea
presso la corte della duchessa Jolanda.
Non si possono però passare sotto
silenzio, in chiusura, nella vicina sacrestia, le due splendide tavole
di Adorazione spettanti a Defendente Ferrari da Chivasso: l'una, datata
1519, con le clarisse; l'altra, del 1521, siglata con la cifra "FP", ossia
con il monogramma "+ F (errarius) P (inxit)", con il beato Vermondo, entrambe
caratterizzate dal disegno di un prezioso ostensorio.
aldo moretto