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trasporti
marittimi nostri ed alleati non solo nell'Adríatico ma anche nel
Mediterraneo insidiato dai sommergibili tedeschi. Contemporaneamente
contrastava le operazioni nemiche dirette dal mare sul fianco e sulle
retrovie del nostro Esercito. Quando, nell'autunno del 1915, l'Esercito
Serbo dovette ripiegare verso i porti albanesi, fu la Marina Italiana a
provvedere al salvataggio dei resti delle sue divisioni che, ritemprate,
vennero poi utilizzate sul fronte macedone ove furono nuovamente
trasportate da navi italiane. In tale occasione, traversarono
l'Adriatico 260.000 uomini, 10.000 cavalli, 30.000 tonnellate di
materiali. Non un solo uomo andò perduto. Nell'ottobre del 1917 il
fronte ítaliano si spostò dall'Isonzo al Piave. L'attività navale,
prevalentemente a carattere offensivo e insidioso, si svolse allora in
correlazione con le operazioni dell'Esercito la cui ala destra era
costituita dalla terza Armata del Duca d'Aosta. In questa invitta grande
unità, combatté valorosamente una brigata di marinai in grigio verde
costituita da un raggruppamento di artiglieria navale, «Reggimento
Marina», reparto divenuto poi famoso con il nome di «Reggimento San
Marco». Furono i MAS, unità insidiose di concezione italiana, a
contrastare la vita alle navi da battaglia austriache dirette ad
attaccare lo sbarramento di Otranto, il 10 Giugno 1918, quando, al largo
dell'Isola di Premuda, Luigi Rizzo, con i MAS 15 e 21 (Comandante
Gíuseppe Aonzo), attaccò una formazione navale austriaca affondando la
corazzata «Santo Stefano».
Gli
austriaci rinunciarono all'azione intrapresa. Da quel fatto d'arme, di
preminente rilievo nella storia navale di tutti i tempi e di tutte le
Nazioni, è derivato, in parte, il successo delle armi italiane a
Vittorio Veneto. Al comando delle forze navali italiane era l'Ammiraglio
Paolo Thaon De Revel, Duca del Mare. Una Medaglia d'Oro alla Flottiglia
MAS dell'Alto Adriatico, e 22 medaglie d'Oro al Valor Militare a persone
testimoniano il contributo dato dalla Marina Militare durante il Primo
Conflitto Mondiale. Conclusasi la prima guerra mondiale, dopo un periodo
di riduzione degli armamenti navali che influì sullo svíluppo della
Marina Italiana, limitandolo, l'Italia intraprese l'ammodernamento e il
potenziamento della flotta, attenendosi alla politica di conformare i
propri armamenti a quelli della Francia che costituiva la Nazione
continentale più armata di quegli anni. L'opera di adeguamento della
nostra flotta è legata al nome dell'Ammiraglio Domenico Cavagnari che,
fin dal 1933, anno in cui assunse l'incarico di Sottosegretario di Stato
e Capo di Stato Maggiore della Marina, promosse un generale
potenziamento della Marina dando particolare impulso alle nuove
costruzioni (fra l'altro in questo periodo vennero realizzate le quattro
navi da battaglia da 35 mila tonnellate). Nel Mediterraneo, la
situazione di potenza in termini quantitativi appariva equilibrata; la
nostra flotta, rilevante per il numero di navi e di unità subacquee,
avrebbe potuto sostenere il gravepeso di opporsi alle forze navali anglo
francesi ivi dislocate. Ma, dopo l'entrata in guerra, 10 Giugno 1940,
tale situazione di apparente equilibrio venne gradualmente compromessa
da vari fattori che andarono via via manifestandosi e fra i quali furono
determinanti: il preminente potere aeronavale della Gran Bretagna; la
deficienza, da parte italiana, di apparecchiature di scoperta (Radar) e
di combustibile; la possibilità della Marina inglese di attingere dal
rilevante connettivo navale e tecnico industriale di cui poteva
disporre, rimpiazzando le perdite in Mediterraneo con le risorse navali
di altri settori. La nostra flotta, tuttavia, in oltre tre anni di duro
impegno, contenne il potere dell'avversario e giunse alla fase
prearmistizio in condizioni di far pesare ancora, sulla bilancia dei
patteggiamenti, le sue navi da battaglia. Le unità combatterono in tutti
gli Oceani; gli uomini, incursori dei mezzi d'assalto, sommergibilisti,
osservatori aerei, marinai delle grandi e piccole unità o del Reggimento
San Marco tutti indistintamente, si distinsero per tenacia e valore in
obbedienza alla legge che quando la patria è in guerra, si obbedisce
fino all'estremo sacrificio. Affiancata da quella mercantile, la Marina
Militare Italiana tra il 1940 e il 1943, nonostante l'aspro contrasto
delle forze navali ed aeree britanniche, riuscì a far arrivare in Africa
Settentrionale l'86% dei materiali ed il 92% degli uomini ad essa
affidati nei porti di partenza. Alla data dell'armistizio, le sue
perdite erano di 270.000 tonnellate di naviglio contro 412.000
britanniche: cifre che si commentano da sé.
L'8 Settembre 1943,
consapevole di non dovere ammainare la bandiera, la flotta affrontò
l'estremo sacrificio della resa, un sacrificio reso indispensabile dalle
esigenze storiche del Paese quale premessa alla futura ripresa, ma
possibile solo per il retaggio di tradizioni e discipline che
caratterizzava la Marina. L'Ammiraglio Carlo Bergamini Comandante in
Capo della Flotta, caduto a bordo della Corazzata «Roma», prima di
lasciare La Spezia, la sera dell'8 Settembre 1943, convocò Ammiragli e
Comandanti e con un breve discorso li convinse ad obbedire all'ingrato
ordine di ottemperare alle clausole dell'armistizio. Dopo l'armistizio e
la divisione dell'Italia in due parti, la Marina continuò ad essere viva
ed operante. Il Ministero si ricostituì a Taranto con Stato Maggiore e
Direzioni Generali. Il 23 Settembre 1943 a Taranto, a bordo
dell'incrociatore Euryalus si incontrarono gli Ammiragli Cunningham,
Comandante della Flotta del Mediterraneo, e De Courten, Ministro della
Marina, e fu firmato l'Accordo Cunningham De Courten» di cooperazione
della Marina con le forze alleate. In base a tale accordo, dal Novembre
1943 al Marzo 1944 gli incrociatori Abruzzi e Aosta operarono in Sud
Atlantico con base a Freetown, raggiunti nel Marzo 1944 dal Garibaldi.
Nello stesso periodo l'Eugenio di Savoia fu dislocato a Suez per
addestramento dell'aviazione navale.
I sommergibili furono
dislocati da Haifa a Gibilterra e alle Bermude con compiti addestrativi.
Gli Alleati distolsero progressivamente le loro unità dalla scorta al
traffico marittimo nel Mediterraneo, affidando questa incombenza quasi
esclusivamente alle navi italiane; una attività svolta in modo tanto
efficace che i convogli subirono perdite e danni senz’altro
trascurabili. Nelle successive operazioni di cobelligeranza, CC.TT.,
MM.SS., Mas e Dragamine furono impiegati in missioni speciali per lo
sbarco ed il recupero di informatori, di militari e di materiali, per
rilievi idrografici sulle coste controllate dal nemico in preparazione
di sbarchi Alleati (Anzio) e per missioni di collegamento e di appoggio,
meritando i più alti riconoscimenti per la perizia e l'ardimento
dimostrato in ben 265 missioni. Le unità superstiti compirono 63.000
missioni di guerra per 4,5 milioni di miglia percorse; i velivoli
dell'Aviazione Marittima totalizzarono 1.230 missioni per complessive
4.330 ore di volo. Nei 20 mesi di cobelligeranza, furono riparate
nell'Arsenale di Taranto (il solo disponibile) e nelle officine della
Marina circa 2.000 navi tra Italiane ed alleate per una media di 100 al
mese. Nelle basi a terra gli episodi di valore, gli atti di eroismo e di
dedizione dei nostri marinai furono pari a quelli compiuti dagli
equipaggi delle navi. La difesa di Lero, durata quasi due mesi, durante
la quale la stremata guarnigione di marinai contenne le preponderanti
forze aeronavali germaniche, epopea conclusasi con il martirio degli
Ammiragli Campioni e Mascherpa di fronte al plotone di esecuzione;
l'attiva partecipazione dei marinai alla lotta partigiana; il vasto
servizio di informazioni clandestinamente organizzato nell'Italia
occupata dai nazisti; la campagna del Reggimento San Marco su tutto il
fronte di liberazione, costituiscono un patrimonio di alti valori
morali, per cui la Marina ha meritato il riconoscimento della Patria.
Alcuni dati
illustrano eloquentemente lo sforzo compiuto dalla Marina nell'immane
conflitto che vide i nostri equipaggi impegnati in tutti i mari e
durante il quale, assistiti dagli aviatori, i marinai andarono oltre i
limiti del dovere, in relazione ai mezzi disponibili, affondando 412
mila tonnellate di naviglio da guerra avversario contro 270 mila
perdute. L'attività navale bellica si riassume in 3 milioni di ore di
moto con un totale di circa 37 milioni di miglia percorse, pari a 2000
volte il giro dell'equatore; quelle dell'aviazione da ricognizione
marittima in 126.000 ore di volo con 21.107 missioni. Il traffico
italiano con l'Africa Settentrionale, con l'Albania e con la Grecia fu
continuo, con una media di quattro convogli in mare. Non si ebbe mai
vera interruzione a tale traffico; un risultato di eccezionale rilievo,
se si considera la relatività delle forze e l’ubicazione della base di
Malta. Il traffico britannico venne invece limitato a soli quattordici
grandi convogli di rifornimento di Malta protetti dalle squadre
dislocate a Gibilterra e ad Alessandria.
Le esigenze
di convogli, specialmente di quelli diretti in Africa Settentrionale
mobilitarono tutte le nostre unità dalle più grandi alle più piccole;
esse dovettero affrontare l'estrema difficoltà di una navigazione
insidiata dalle maggiori flotte del mondo, da una potentissima aviazione
e dai sommergibili avversari. Specie dopo il 1941, transitare nel
Mediterraneo, sulle rotte obbligate verso l'Africa, poteva considerarsi
un assurdo. Eppure la Marina mercantile assolse mirabilmente il proprio
compito, pagando con l'affondamento, o comunque la perdita, dal 10
Giugno 1940 all'8 Maggio 1945, di 2.513 navi per 3 milioni e 522.120
t.s.l. La Medaglia d'Oro al Valor Militare alla Bandiera delle Forze
Navali, quella concessa alla bandiera della Marina Mercantile, al
Comando dei Mezzi d'Assalto, all'Incrociatore «San Giorgio», al
sommergibile «Scirè»; le 158 Medaglie d'Oro al Valore e le 4 al Valore
di Marina agli uomini, costituiscono la misura più alta dell'eroismo,
del sacrificio e della dedizione alla Patria offerti dalla Marina
durante il corso delle operazioni belliche dal 1940 al 1945. Alla fine
della guerra in Italia, il 25 Aprile 1945, la Marina era già organizzata
e operante, e la riunificazione con quella parte che era rimasta
separata nell'Italia settentrionale avvenne in un'atmosfera di
entusiasmo e speranza. Al Ministero, già dal 14 marzo 1945, era stato
istituito un Ispettorato per l'Italia settentrionale, e nelle principali
città del Nord furono istituiti «centri di raccolta» verso i quali far
affluire il personale che man mano si ripresentava. Una inattesa
delusione, purtroppo, fu l'applicazione del Trattato di Pace, firmato a
Parigi il 10 Febbraio 1947, le cui clausole imponevano la consegna ai
vincitori di circa la metà delle navi rimaste all'Italia dopo i tragici
eventi dell'8 Settembre 1943. Il Trattato di Pace inoltre vietava
all'Italia di possedere navi portaerei, sommergibili, motosiluranti e
navi d'assalto; vietava la costruzione di nuove unità fino al 1 Gennaio
1950, imponeva un limite di tonnellaggio di 67.500 tonnellate ed una
forza massima di 25.000 uomini. |
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