LA TREBBIATURA

 

Era l'ultima grande fatica consumata sull'aia. Giorni e giorni trascorrevano per tritare le messi abbarcate da tempo sulla vasta area circostante l'aia; uomini ed animali si spossavano sotto il sole agostano per sgranare il più utile e prezioso prodotto della terra.

Una delle fasi più interessanti della vita agricola era sicuramente la trebbiatura. La festa legata alla fase della trebbiatura, è forse uno dei momenti più emozionanti della vita passata.

La festa, la fatica, il riposo sono tutti quadri di vita legati a questa fase molto importante per l'economia delle famiglie di un tempo, era un appuntamento imperdibile, un modo di vivere ormai lontano, ormai perduto.

Seppur distrutti dalla fatica i lavoratori attendevano il momento del pranzo, dove la tradizione voleva che fosse festeggiata la raccolta con la "papera muta", che si allevava proprio per quei giorni.

Fino alla prima guerra mondiale,la battitura del grano era effettuata a mano. Si utilizzavano, secondo le zone, diversi sistemi. Il più diffuso era quello di battere i piccoli fasci con forza con due bastoni di differente lunghezza. Nei primi anni del '900 vennero introdotte nei possedimenti più importanti grandi trebbiatrici a vapore, ma la trebbiatura meccanica era ancora un’eccezione. La trebbiatrice però, anche se arrivata in ritardo nel Lazio si diffuse con rapidità ed in modo sempre più perfezionato dal progresso scientifico e tecnico.

La trebbiatura avveniva nell’aia dove veniva sistemata una bica con la caratteristica linea a pera.

La trebbiatura con la macchina richiedeva che i covoni venissero introdotti nel battitore e, mentre da un lato usciva seme pulito, da quello opposto piani inclinati oscillanti portavano all’esterno paglia sciolta. Costruire un pagliaio richiedeva molta abilità poiché la paglia si doveva battere e calpestare con forche di legno.

Innovazioni tecniche, quali l’abbinamento alla trebbiatrice di una scala aerea, permise di scaricare la paglia per mezzo di un nastro trasportatore. Nelle zone di maggior coltivazione si usava fare la pagliaia, cioè un pagliaio di maggiori dimensioni. Con il tempo le presse di paglia, a forma rettangolare, hanno preso il posto del pagliaio di lontana memoria. Il grano raccolto, dove era diffusa la mezzadria, solo in minima parte andava al contadino.

Dopo aver dato la metà del raccolto più il seme al padrone, era consuetudine che quel giorno fosse una continua questua da parte di rappresentanti dei diversi ordini religiosi e monastici presenti localmente. Nonostante ciò, il giorno della trebbiatura era un giorno speciale, quasi di festa. La fatica sembrava alleviata dalla presenza di tanti contadini che si aiutavano a vicenda e da tante massaie dedite a preparare colazione, pranzo e magari anche la cena, particolarmente ricchi per l’occasione.

Affettati, pane e qualche possibile dolcetto per colazione; polli arrosto, pasta al sugo di carne per pranzo ed infine a cena, minestra in brodo accompagnata da carne di pollo o di carne lessata. Il tutto annaffiato da vino e acqua a volontà. La mensa veniva imbandita, in genere, sotto la loggia ed era costituita da una lunga tavola formata con bigonci rovesciati ed allineati. Fatta la divisione del raccolto, il contadino caricava a spalla le balle di grano e depositandole nel granaio compiva l’ultima fatica relativa alla trebbiatura di quell’anno.

 

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