Soprattutto in primavera, quando l'orto è ancora improduttivo, la maggiore attenzione era rivolta alle erbe alimentari che, consumate di preferenza crude, fornivano l'apporto vitaminico necessario, dopo una lunga stagione invernale in cui si erano consumati solo cibi conservati. Acetosa, borragine, cicoria (in dialetto: radiccia), crescione, luppolo, ortica, pimpinella, primula, rosolaccio (papavero dei campi), tarassaco costituiscono un breve elenco di erbe che ancora oggi si raccolgono e si consumano. La cicoria
La cicoria è una pianta che cresce spontanea nei prati, ai margini delle strade, nei terreni argillosi; la si trova nelle zone temperate dell'Europa, Africa ed Asia. È pianta perenne con fusto alto fino ad un metro, molto ramificato con interno cavo contenente un lattice; le foglie basali disposte a rosetta spuntano in autunno, durano tutto l'inverno e si seccano durante la fioritura, la superficie è glabra nelle foglie giovani e pelosa in quelle più vecchie, esse hanno forma allungata-lanceolata, con margine più o meno dentellato; le foglie del fusto sono gradatamente più piccole. Il rizoma ingrossato si allunga verso il basso in una radice affusolata. I fiori raggruppati in capolini hanno colore azzurro intenso, si schiudono all'alba e si richiudono, decolorandosi, alla sera. Questo curioso ciclo fiorale è prodotto da una sostanza enzimatica contenuta nei fiori, che è attiva solo a determinate temperature, cioè quella che si può raggiungere nelle ore più calde del giorno; è per questo che il fiore tende a scolorirsi nelle prime ore del pomeriggio. Il frutto è un achenio lungo 2-3 mm. Si perde nei tempi il consumo di questa pianta, sia come erbaggio che come medicinale. Gli antichi Romani, nei loro pranzi luculliani, per contorno a uova di tordo, beccafichi e pavoni, mangiavano cicoria. I vecchi medici la usavano moltissimo, e con essa curavano parecchie malattie dell'addome, Galeno infatti dice: "... amica del fegato e non contraria allo stomaco". I componenti principali della cicoria sono: sali minerali, principi amari, vitamine B, C, K, P; ha perciò proprietà digestive, depurative, coleretiche, diuretiche. La cicoria coltivata ha azione molto più attenuata della selvatica. In autunno ed inverno, quando nei nostri terreni vi è abbondanza di foglie fresche e tenere, bisognerebbe fare uso abituale di questa verdura, soprattutto cruda, perché cuocendo perde le vitamine ed i sali minerali. Dovrebbe essere cibo abituale dei sofferenti di colesterolo, fegato e reni, di chi ha digestioni difficili, dopo attacchi febbrili o febbri continue ed intermittenti, nelle malattie della pelle, nella stitichezza. Se non si vuol mangiarne in insalata, per queste malattie, si può fare un decotto di foglie fresche (un pugno), in un litro d'acqua, bevendone tre tazze al giorno. Un infuso di 10 gr. di foglie fresche tagliate fini e lasciate per parecchio in infusione, toglie la stitichezza bevendone una tazza la mattina a digiuno ed una alla sera. Della cicoria si possono seccare le foglie e la radice; le prime si raccolgono in maggio-giugno al secondo anno di vita, la radice si estrae in ottobre-novembre o in primavera, prima che la pianta entri in vegetazione. Per le foglie l'essiccazione avviene all'ombra; per le radici, una volta lavate e pulite dalle radichette laterali, si tagliano a piccoli pezzi, facendoli seccare al sole o vicino ad una stufa a bassa temperatura, poi si conservano in sacchetti di carta. Con le foglie e le radici secche, nella dose di 15-30 gr. per un litro d'acqua, si fa un ottimo decotto aperitivo, lassativo, febbrifugo; questo fa bene anche nelle coliche epatiche, intestinali, nella gotta, renella e idropisia. È utile ricordare che il decotto di qualsiasi erba va preparato lasciandolo bollire da 15 a 30 minuti, e che non va bevuto dopo le 10 ore dalla preparazione Il sambuco
Alberello o arbusto caducifoglio alto sino a 8 m, con odore sgradevole, corteccia verde da giovane poi grigio-bruna con lenticelle longitudinali, rami con abbondante midollo tenero e bianco. Foglie opposte, picciolate, imparipennate, con 5-7 segmenti ellittici o lanceolati, acuminati con margine irregolarmente seghettato. Infiorescenza ombrelliforme con numerosissimi fiori bianco lattei, corolla con tubo subnullo e cinque lobi arrotondati, stami cinque con antere gialle, fiorisce da aprile a giugno. Il frutto è una drupa subsferica, a grappoli subito penduli, lucida e nero-violacea a maturità. Il nome Sambuco deriva dal greco sambuke, antico strumento a corda fabbricato con il suo legno.I frutti ben maturi possono essere mangiati crudi, ma più frequentemente se ne fanno marmellate, sciroppi e gelatine, i fiori freschi vengono fritti come quelli di zucca, quelli secchi sono usati per dare un piacevole sapore di moscato ai vini bianchi. Il vino di bacche di sambuco è rosso scuro ed è stato paragonato al Porto ma la bevanda più famosa, con esso prodotta, è la sambuca romana. Nella medicina tradizionale il Sambuco era considerato una vera panacea, in quella tirolese era chiamato "Farmacia degli dei", sette volte il contadino si inchinava davanti a quest'albero perché altrettanti erano i doni che si ricavano da esso. Dai germogli si ottiene un decotto che calma le nevralgie, gli impacchi dalle foglie curano le malattie della pelle, con i fiori si fa un the depurativo, dalle bacche si ottiene uno sciroppo contro le infiammazioni dei bronchi e dei polmoni nonché del trigemino e del nervo sciatico. Quanto alla corteccia, è emetica o lassativa a seconda delle dosi, la radice, pestata e bollita, è un ottimo decotto e impacco contro la gotta e le malattie del ricambio, dal midollo si ricava una pappa usata, con farina e miele, per lenire il dolore delle lussazioni. Il crespino
Pianta erbacea annua o bienne alta sino a 1 m, con fusto gracile, generalmente molto ramoso, tutta la pianta, ove recisa, emette un abbondante latice biancastro. Foglie molli non spinose, opache, con orecchiette piccole, acuminate, semiabbraccianti, con la nervatura di colore rossastro. Capolini in cime corimbiformi, in generale densamente fioccosi, fiori tutti ligulati di colore giallo, fiorisce da marzo ad ottobre. Il frutto è un achenio lungamente assottigliato all'apice con tre coste longitudinali e sottili rughe trasversali. L'origine del termine generico è molto antica, già in Teofrasto troviamo un vocabolo indicante una pianta che potrebbe essere identificata in una delle specie di Sonchus spontanee nel mediterraneo. Si usano le foglie basali, raccolte in rosetta, che vengono consumate crude in insalata, quando ancora sono molto piccole e tenere, oppure cotte ma sempre miste ad altre verdure. La radice si usa torrefatta come succedaneo del caffè. Come pianta medicinale viene impiegata come generica depurativa ed epatodetossicante ma la sua azione più interessante è svolta sulla cistifellea con azione coleretica e colagoga di tutto rispetto. L’asparago Asparagus officinalis, è originario dell’Asia ed era già noto ed apprezzato, anche se soltanto come pianta spontanea, al tempo degli antichi Egizi, che ne introdussero e diffusero la coltivazione nell’intero bacino del Mediterraneo. La Storia delle Piante del greco Teofrasto, che viene fatta risalire a circa 300 anni prima di Cristo, fornisce la prima documentazione di letteratura relativa a questo ortaggio; per avere invece notizie più dettagliate dell’asparago sotto il profilo agronomico bisognerà aspettare circa un secolo, quando Catone ne descrisse le tecniche di impianto. Anche il famoso naturalista latino Plinio dedicò attenzione all’asparago nella sua monumentale opera Naturalis Historia, e, oltre ad esaltarne le qualità gastronomiche, ne illustrò in dettaglio anche il metodo di coltivazione. Gli asparagi possono essere consumati abitualmente, ad eccezione di chi ha calcoli o problemi ai reni; sono buoni diuretici. Un composto presente in questi ortaggi conferisce, senza altri effetti, un intenso odore alle urine: è un interessante modo per quantificare il tempo che intercorre tra l'assunzione di un cibo e lo smaltimento di alcuni suoi componenti attraverso il nostro apparato drenante: i reni. La Borragine
Pianta annuale o biennale, cresce spontaneamente nei prati, preferendo luoghi assolati e terreni ben drenati. Originaria dell’Oriente si è naturalizzata nella zona mediterranea. Si può trovare in campi incolti ed aridi. Può raggiungere un’altezza di 60 cm. ha un aspetto peloso e il fusto si presenta con foglie distanziate a forma ovale, che al contatto sono ruvide. Nel periodo che va da inizio a fine estate fa fiori di colore blu intenso, riuniti in ciuffi terminali e che hanno la forma di stella. Per coltivarla bisogna mettere i semi in solchi profondi ad inizio primavera o in tarda estate. Molte volte probabilmente vedendo questa pianta non vi avrete prestato attenzione, pensando si trattasse di un’erba non commestibile, ma oltre le proprietà curative è ottima anche in cucina. Una volta era usata per comporre bevande alcoliche, i suoi fiori per decorare dolci, le foglie tenere aggiunte ad insalate, mentre quelle più grandi erano cucinate. Una vecchia tradizione afferma che se consumata da una puerpera questa vedrà aumentare il flusso del latte. Ha proprietà terapeutiche, ottimo come diuretico se consumata ad infuso, è buona anche contro le infiammazioni renali, per chi soffre di reumatismi e affezioni delle vie respiratorie. Si usano per la tisana i fiori essiccati, un cucchiaio per tazza tenuto in infusione per 10 minuti e consumata tra i pasti tre volte il giorno. Si può usare anche esternamente come cataplasma sulle infiammazioni. In cucina la radice è usata per aromatizzare il vino, e come o già detto i suoi fiori essendo belli e commestibili si usano per decorare i dolci. Le foglie sono particolarmente gustose oltre che aggiunte ad in insalate potete cucinarle, aggiungerle al vostro menù potrebbe essere una piacevole novità.
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