IN ABRUZZO
Anche i trebbiatori avevano bisogno di tregua e di cibo; ritirarsi ne a walanegghie (locale del bovaro) o al riparo dal sole e dal vento (a pantagne) all'aperto, consumavano il loro pasto frugale. La massara offriva in un grande piatto di terracotta verniciata di fattura martinese fefe a bianche (crema di fave) o fefe pezzechete (fave non sgusciate, ma senza nasidde o caponero, cotte in acqua e olio con cipolle) con i fedde sotte (pezzetti di pane raffermo), vino, acqua e la scarsa frutta di stagione della masseria: pere e culumbre (fioroni); oppure ceci, noleche, ecc. Il giovedì e la domenica, invece, trattamento di favore: pasta casalinga con pelupitte d'ove (polpette di uova). Precedentemente in mattinata, prima di mettere in aia gli animali, i trebbiatori avevano consumato in fretta a sferre (la colazione) a base di pane, pomodori, ricotta forte, cipolla cruda e, se veniva offerto, vino. Per il tardo pomeriggio non era previsto alcun pasto; solo nel caso che la trebbiatura si fosse protratta oltre 1'imbrunire, la massara recava sull'aia un paniere di fioroni e pane da mangiare in piedi, alla svelta senza interrompere il lavoro, avanzando la notte.
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