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GIUSEPPE MAZZINI
Uomo
politico, patriota e rivoluzionario italiano, uno dei principali sostenitori
dell'unità d'Italia, Giuseppe Mazzini nacque a Genova nel 1805 La
sua formazione risentì dell'intensa religiosità della madre, dalla quale derivò
di una rigorosa coerenza tra le idee e l'azione; maturò nell'ambiente familiare
e nella lettura delle opere dei giacobini francesi e del poeta Ugo Foscolo. Il
fallimento dei moti del 1820-21 orientò e incentrò la sua riflessione sugli
ideali di patria e libertà. Laureatosi
in legge nell'ateneo genovese nell’aprile 1827, Mazzini, che aveva aderito
intimamente alle idee romantiche, trasformò con un gruppo di amici (G. E. Benza,
L. D. Pareto, ecc.), a partire dal maggio 1828, il foglio commerciale
L'Indicatore genovese nell'organo di una battaglia culturale incentrata
sull'idea di progresso e sulla professione di fede romantica; questo stesso
corso di idee fu poi sostenuto, dopo la soppressione dell'Indicatore genovese
(dicembre 1828), negli scritti pubblicati nel corso del 1829 nell'Indicatore
livornese del Guerrazzi e soprattutto nel saggio D'una letteratura europea
(apparso nel numero del novembre-dicembre 1829 della fiorentina Antologia), in
cui sono formulati motivi che sarebbero stati poi ricorrenti nel “sistema”
mazziniano (la dottrina del “genio”, l'alleanza dei popoli, ecc.). Affiliato
nel 1827 alla Carboneria, contribuì a rafforzarne l'organizzazione cospirativa
in Liguria, Toscana e Lombardia anche se sempre più netti si andavano facendo
in lui i motivi d’insoddisfazione a causa della timidità del programma, la
sua segretezza, il cosmopolitismo, il simbolismo. Nel
1830 fu arrestato a Genova in seguito a una delazione e rinchiuso nella fortezza
di Savona. Dopo
aver trascorso alcuni mesi in carcere in attesa di processo, al momento della
scarcerazione, nel febbraio 1831, gli fu imposta dalle autorità la scelta tra
il confino, sotto il controllo della polizia e l'esilio. Scelto
l'esilio, si recò prima in Svizzera e quindi a Marsiglia dove fondò la Giovine
Italia (1831), associazione politica che si poneva come obiettivo l'educazione
del popolo in vista di un'insurrezione generale, che portasse a un'Italia unita,
repubblicana e democratica. Attraverso il periodico della Giovine Italia, di cui
cominciò le pubblicazioni all'inizio del 1832, propagandò le sue idee
finalizzate a superare il modello rivoluzionario delle sette, da lui giudicate
elitarie, a favore di una più ampia adesione popolare al moto risorgimentale: i
concetti di popolo e di nazione furono al centro della sua analisi politica, che
si sviluppò in direzione della scelta repubblicana. Le
posizioni di Mazzini si incentravano, inoltre, sulla fiducia nel metodo della
“guerra per bande” e sull'affermazione di dare un contenuto sociale e
religioso alla rivoluzione. Per l'esule genovese era infatti essenziale
realizzare il principio dell'uguaglianza (e nell'ugualitarismo del Mazzini
giovane è avvertibile forse una qualche influenza del Buonarroti, con il quale
l'esule era entrato in relazione, stipulando anche un patto d'unità d'azione
tra la “Giovine Italia” e la buonarrotiana società dei “Veri
Italiani”), così da attirare le masse popolari alla lotta, a differenza di
quanto era avvenuto nei movimenti del 1820-1821 e del 1831, rimasti
esclusivamente un fatto delle classi alte e delle medie; anche se poi le misure
concrete che Mazzini indicava per realizzare l'uguaglianza (riforma del sistema
ipotecario, riforma della legislazione sui testamenti per eliminare l'eccessivo
accumulo di ricchezze in poche mani, ecc.) rivelavano una certa sproporzione tra
i mezzi e il fine. Nonostante
le cautele imposte dalla clandestinità e le misure dei governi, la “Giovine
Italia” tra il 1831 e il 1834 si diffuse quindi largamente in Italia,
soprattutto negli Stati sardi, in Lombardia e nell'Italia centrale, facendo
breccia non solo tra gli studenti e i quadri inferiori dell'esercito, ma anche
tra i popolani delle città. Nel
1833 Mazzini fece opera di propaganda fra i soldati dell'esercito sardo, ma il
complotto venne scoperto e vi furono decine di arresti e numerose condanne a
morte. Una seconda azione rivoluzionaria, basata sull'intervento di un esercito
di volontari che avrebbe dovuto penetrare in Savoia passando dalla Svizzera,
fallì nel 1834 e lo stesso Mazzini venne condannato a morte in contumacia. La
Giovine Italia subì un duro colpo ma Mazzini, per il quale gli ideali
patriottici si fondevano con quelli religiosi, era ormai certo che il popolo
fosse il depositario della provvidenza divina e che il raggiungimento dell'unità
nazionale dovesse essere solo il primo passo verso un'Europa composta da nazioni
libere, democratiche e repubblicane. Ispirato da questi princìpi, ampliò il
proprio obiettivo e unendosi ad altri rivoluzionari stranieri fondò a Berna la
Giovine Europa che, iniziata la sua esistenza ufficiale il 15 aprile 1834 a
Berna, si articolò tra il 1834 e il 1836 nei suoi rami nazionali (“Giovine
Germania”, “Giovine Polonia”, “Giovine Svizzera”), rappresentando il
primo tentativo organicamente concepito di creare un'efficiente organizzazione
democratica a carattere soprannazionale. Mazzini
accentuò l'impostazione religiosa delle sue vedute politiche (il partito
democratico come partito “religioso”) e nel 1835 pubblicò il saggio Fede e
avvenire, in seguito più volte ristampato, che rappresenta un importante
manifesto teorico delle sue idee;definendo anche la questione del rapporto tra
intellettuali (le “intelligenze”) e masse, per cui agli intellettuali veniva
assegnato il compito di mediatori tra Dio e il popolo. Alla
fine del 1836 dovette lasciare la Svizzera, dove si era rifugiato, per la
pressione delle potenze conservatrici e si trasferì a Londra, dedicandosi a
studi letterari, all'attività di giornalista e conferenziere, e organizzando
scuole per i figli degli emigrati italiani. Il soggiorno londinese fu decisivo
nella maturazione del suo pensiero politico, che si aprì alla questione
sociale, assumendo i diritti dei lavoratori tra i punti di forza della sua
lotta, come teorizzò negli scritti raccolti sotto il titolo I doveri dell'uomo:
sintesi del pensiero mazziniano, l'opera ebbe grande fortuna. A
Londra,inoltre, superato un periodo di sconforto (la “tempesta del dubbio”)
dovuto anche allo scetticismo con cui venivano accolti i suoi tentativi di
rinnovamento, alla fine del 1838 prese la decisione di ridar vita alla
“Giovine Italia”. In questa nuova incarnazione la società mazziniana fu
caratterizzata dal fatto che essa cercò di appoggiarsi sulle classi lavoratrici
— e in particolare gli operai e gli artigiani, specie quelli emigrati in
Francia e in Inghilterra — in maniera più decisa e sistematica che per il
passato; Mazzini pose infatti la questione dell'organizzazione autonoma degli
“operai” (anche se nel quadro di un sostanziale interclassismo, che
continuava a escludere la lotta di classe come metodo di azione politica)
creando nel corso del 1840 l'Unione degli operai italiani (che ebbe le sue
sezioni più forti a Londra e a Parigi) e pubblicando il foglio Apostolato
popolare(1840-1843). Ma la seconda “Giovine Italia” non ebbe gli sviluppi
organizzativi della prima, soprattutto a causa del prevalere nella penisola di
nuovi orientamenti politici, che respingevano il metodo insurrezionale e
puntavano sullo sviluppo dell'opinione e su una prospettiva di riforme, in
accordo con i principi. In questo quadro, l'atteggiamento di Mazzini —
consapevole della relativa debolezza delle sue posizioni — fu tra il 1839 e il
1847 sostanzialmente realistico, ed egli si dimostrò contrario a tentativi
scarsamente preparati, e condotti senza il suo consenso, come i moti di Romagna
del 1843 e del 1845, e il tentativo dei fratelli Bandiera (1844). Apertasi
la crisi rivoluzionaria del 1848, Mazzini pose in primo piano l'opportunità
della creazione di un fronte unitario il più largo possibile per affrontare
l'imminente guerra antiaustriaca, rinunciando a insistere in via preliminare
sulla questione della forma istituzionale; da questa esigenza discese la
fondazione a Parigi (5 marzo 1848) dell'Associazione nazionale italiana, che
rimandava la decisione sull'assetto istituzionale da dare al paese “a guerra
vinta”. Rimesso
piede in Italia a Milano (aprile), dopo le Cinque giornate, Mazzini si attenne
inizialmente a questa linea conciliativa nei confronti delle forze moderate e
albertine, ma quando il Governo provvisorio il 12 maggio ruppe la tregua
annunciando il plebiscito per la “fusione” della Lombardia con gli Stati
sardi, Mazzini riprese la sua libertà d'azione dando vita all'Italia del popolo
(il primo quotidiano del movimento repubblicano italiano), e oppose ai progetti
di fusione e di un regno dell'alta Italia l'idea di un'Assemblea nazionale
costituente a base popolare. La sconfitta di Carlo Alberto e il ritorno degli
Austriaci in Lombardia allargarono l'influenza mazziniana, e il rivoluzionario
genovese, nei mesi che vanno dall'armistizio Salasco alla proclamazione della
Repubblica Romana, incentrò il suo programma immediato sui due punti della
guerra di popolo, contrapposta alla guerra sabauda (tentativo in val d'Intelvi
dell'ottobre), e della Costituente. Lo sbocco di questa ripresa dell'iniziativa
delle correnti democratiche fu la proclamazione della Repubblica
Romana, del cui
triumvirato Mazzini (che dopo il ritorno degli Austriaci a Milano era riparato
in Svizzera) con Aurelio Saffi e Carlo Armellini governò Roma fino al 30 giugno
1849, dimostrando in questa funzione elevate capacità di gestione del potere e
animando quella difesa di Roma contro le truppe francesi dell'Oudinot che rimane
una delle pagine più alte del Risorgimento. Conclusasi la fase di lotta
rivoluzionaria con la caduta delle repubbliche di Roma e di Venezia, Mazzini,
esule in Svizzera (dove rimase sino al febbraio 1851, quando fece ritorno in
Inghilterra), fiducioso nella ripresa a breve scadenza della rivoluzione
nazionale e popolare in Italia, da una parte condusse avanti il lavoro per la
costituzione del Comitato centrale democratico europeo (in cui entrarono il
francese Ledru-Rollin, il polacco A. Darasz, il tedesco A. Ruge e l'ungherese
Kossuth e che avrebbe dovuto raggruppare le forze più avanzate dell'Europa),
dall'altra concentrò gli sforzi nell'opera di riorganizzazione del movimento
repubblicano nella penisola (creazione, alla metà del 1850, del Comitato
nazionale italiano e formazione di una rete di nuclei e di comitati locali
nell'interno). Il colpo di Stato di Luigi Napoleone del 2 dicembre 1851, facendo
venir meno la prospettiva di un movimento rivoluzionario in Francia, spinse
Mazzini a stringere i tempi per una ripresa dell'iniziativa in Italia, tanto più
che le polizie avevano cominciato a colpire i centri più vitali
dell'organizzazione settaria repubblicana: Mantova, Roma, ecc. Rientrò
quindi a Londra nel 1851, da dove continuò a organizzare l'opera di propaganda
per l'indipendenza e l'unità italiana attraverso l'associazione Friends of
Italy. Diede il suo appoggio all'insurrezione antiaustriaca scoppiata nel Regno
Lombardo-Veneto tra la fine del 1852 e l'inizio del 1853, Si
arrivò così al tentativo insurrezionale milanese del 6 febbraio 1853, opera di
gruppi isolati di operai e artigiani, soffocato nel giro di poche ore e il cui
insuccesso impedì che si mettesse in moto quella catena di reazioni che nei
piani mazziniani avrebbe dovuto portare all'insurrezione generale. Il
fallimento dell'insurrezione del febbraio 1853, mentre rafforzava la capacità
di presa dei moderati filopiemontesi, dava esca ai contrasti di tendenza in
campo democratico, aprendo un processo di sfaldamento che, già iniziatosi a
sinistra (formazione di un'embrionale corrente socialista: Ferrari, Cernuschi,
Montanelli, Pisacane, ecc.), si accentuò ora anche a destra, con il distacco da
Mazzini di G. Medici, E. Cosenz, A. Mordini. Mazzini non modificò tuttavia la
sua impostazione, perché era convinto che l'Italia fosse ormai entrata in una
fase prerivoluzionaria e che bastasse dare fuoco alle polveri, iniziando la
guerra per bande in qualche sezione del paese; così reagì fondando il Partito
d'azione, tramite il quale ispirò e appoggiò alcuni tentativi insurrezionali,
tra cui la spedizione di Carlo Pisacane in Campania. Nel
quadro di questi orientamenti vanno infatti visti i tentativi insurrezionali
effettuati per ispirazione di Mazzini in Lunigiana e in Valtellina, e
soprattutto quello del giugno 1857 (spedizione di Pisacane a Sapri e movimenti
insurrezionali a Genova, preparati direttamente da Mazzini, che si era recato
clandestinamente nella città ligure). Nel
1857, recatosi a Genova, cercò con un colpo di mano di impadronirsi di un
deposito di armi, ma l'azione venne scoperta e gli fruttò una seconda condanna
in contumacia. I
nuovi insuccessi e l'ingrossare dell'onda moderata (favorita tra la fine del
1858 e l'inizio del 1859 dai sintomi della crescente tensione tra il Piemonte e
la Francia di Napoleone III da una parte e l'Austria dall'altra) accentuarono la
crisi del partito d'azione per cui Mazzini, una volta scoppiata la guerra,
seconda guerra d'indipendenza, del 1859, pur deprecando l'alleanza
franco-piemontese, che a suo giudizio asserviva l'Italia allo straniero, invitò
il popolo a combattere contro l'Austria, rendendosi conto che la linea
dell'opposizione sistematica avrebbe condotto alla liquidazione del movimento
repubblicano, e cercò di accentuare l'aspetto italiano degli avvenimenti a
detrimento di quello governativo-dinastico, formulando la parola d'ordine
dell'insurrezione generale in tutto il paese, che nel Nord e nel Centro avrebbe
potuto metter capo al comando militare di Vittorio Emanuele II, mentre nel
Mezzogiorno avrebbe dovuto conservare la sua autonomia, così da permettere
all'Italia di farsi alla fine della guerra “arbitra suprema de' propri
destini”. Nel
1860 raggiunse Giuseppe Garibaldi a Napoli, nell'infruttuoso tentativo di
spingerlo a continuare l'impresa dei Mille e liberare Venezia e Roma, insistendo
sulle necessità di un’iniziativa insurrezionale ad opera della parte
democratica che restituisse la direzione degli avvenimenti al partito d'azione o
che almeno evitasse una pura e semplice “dedizione” del Mezzogiorno al
Piemonte (di qui la sua attività svolta a Napoli sino alla vigilia dei
plebisciti). Formatosi
il regno d'Italia, Mazzini affermò anzitutto la necessità del compimento
dell'unità nazionale, assegnando la priorità a Venezia rispetto a Roma (in
contrasto con Garibaldi, che insisteva invece per la liberazione di Roma). Sul
piano della vita politica interna, specie dopo la guerra del 1866, l'esule
genovese (che continuò a vivere, tranne brevi periodi, a Londra), mentre
criticava i concreti connotati assunti dallo Stato unitario (accentramento,
piemontesizzazione, ristrettissima base censitaria della rappresentanza
nazionale, ecc.), insistette invece sulla necessità di fondare la nuova Italia
sulla base di una Costituente eletta a suffragio universale, e di dare un
concreto contenuto sociale alla rivoluzione nazionale, migliorando per mezzo
dell'“associazione” le condizioni delle classi lavoratrici, così da
allontanare il pericolo della penetrazione delle dottrine comunistiche in
Italia. Così Mazzini, nel 1864 partecipò alla fondazione della Prima
internazionale, ma presto si trovò in aperto contrasto con le tesi di Karl Marx
e se ne allontanò, utilizzò in funzione anticomunista la rete d’associazioni
di mutuo soccorso in cui si strutturava il nascente movimento operaio italiano,
sollecitando la politicizzazione in senso democratico delle società operaie, e
avviandone il processo di concentrazione su scala nazionale e intorno ad un
programma comune che si concretò nell'Atto di fratellanza (ottobre 1864) e nel
successivo Patto di fratellanza (novembre 1871). Nel
1870 organizzò e condusse personalmente una spedizione militare per liberare
Roma, che nelle sue intenzioni doveva partire dalla Sicilia: fermato a Palermo,
venne incarcerato a Gaeta; uscì poco dopo grazie a un'amnistia, ma fu di nuovo
costretto all'esilio, prima a Londra e poi a Lugano. Ma
il mazzinianesimo stava ormai esaurendo la sua funzione storica; e ad accentuare
il declino delle sue fortune sopravvenne l'evoluzione verso posizioni socialiste
di frazioni sempre più consistenti della democrazia, delineatasi già
chiaramente fra il 1865 e il 1870 (gruppo napoletano di “Libertà e
Giustizia”) e accentuatasi in modo massiccio in corrispondenza degli
avvenimenti francesi del 1870-1871 (guerra franco-prussiana e Comune di Parigi). Mazzini
(che aveva cercato di combattere l'infiltrazione delle idee socialiste e
dell'Internazionale anarchica con la fondazione [9 febbraio 1871] della Roma del
popolo), nel gennaio 1872 si trasferì a Genova e di qui a Pisa (in casa di
Giannetta Nathan Rosselli), 1872 sotto il falso nome di dottor Brown dove
trascorse i suoi ultimi giorni a Pisa, circondato dagli amici a lui più vicini
e si spense il 10 marzo 1872. Gli
scritti di Mazzini sono raccolti nei cento volumi dell'edizione nazionale
decretata nel 1905 e pubblicatasi — per impulso precipuo del segretario della
commissione nominata all'uopo, M. Menghini — dal 1906 al 1943. L'edizione si
articola nei trenta volumi degli scritti politici, nei sei volumi degli scritti
letterari e nei cinquantotto volumi dell'epistolario, ai quali si aggiungono sei
volumi d’appendici. La scrittura di Mazzini, che rivela l'influenza dei moduli
foscoliani ed è romanticamente mossa (non senza, a volte, toni declamatori),
raggiunge i risultati più felici in alcuni degli articoli giovanili, sia
letterari (D'una letteratura europea) sia politici (D'alcune cause che
impedirono finora lo sviluppo della libertà in Italia, 1832; Dell'iniziativa
rivoluzionaria in Europa, 1834) e in molte delle sue numerosissime lettere (ad
es. quelle alla madre, a L. A. Melegari, ecc.). |