AMANTEANI NEL MONDOC’era una volta … |
Il canto del cigno |
Campionati Italiani di Corsa Campestre Orvieto 1983 |
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Il progettoEra un progetto nato per caso nella mia mente, ma a poco a poco aveva acquistato consistenza, specificità nei contenuti, nella metodologia e nell’adeguatezza degli stimoli. Tutto era cominciato dalla lettura di una di dispensa di “Atletica Studi” nella quale si parlava delle nuove tecniche di allenamento degli atleti basate su carichi di lavoro collegati ai bio‑ritmi individuali. Le appassionanti letture, i confronti con tecnici nazionali, la voglia di sperimentare, ben presto mi portarono alla ricerca di un gruppo che fosse capace di sostenere, nel tempo e con impegno, la programmazione a lungo termine necessaria per disputare i Campionati Nazionali a squadre di corsa campestre, riservati alla categoria ragazzi, che si sarebbero dovuti tenere tre anni dopo. Così, fra gli alunni della scuola elementare dove insegnavo e gli allievi del Centro Olimpia, cominciai uno “screening” fondato su parametri pragmatici che, ben presto, dovetti abbandonare per le pochissime possibilità di scelta che mi venivano offerte dal “parco” atleti. Non trovando di meglio, e quasi per caso, incominciai ad allenare Alex, un bambino di 11 anni, filiforme, ma forte e tenace, disponibile, attento, partecipe e collaborativo. Fu il primo ed unico “discepolo”. Dopo vari tentativi di aggregazione e di allargamento del gruppo (per la finale occorrevano tre atleti), di comune accordo con il fedele Alex, riuscimmo a convincere suo fratello Antony (10 anni) a partecipare all’esperimento ed, in mancanza di meglio, aggregammo Valentino (9 anni). Sulla carta la squadra era fatta, almeno nel numero! Ora bisognava lavorare sulle motivazioni e sulla distribuzione dei carichi di lavoro soprattutto in considerazione della differenza d’età, delle caratteristiche morfologiche, del patrimonio motorio di base. In fondo mancavano solo tre anni alla gara! L’importante era fare in modo che in tutta questa attesa non calasse la motivazione e che la graduale maturazione giungesse a compimento possibilmente nel periodo più vicino alla finale agognata. I componentiAlex era una sicurezza. Mi stupiva per l’acume tattico e per il sapiente dosaggio delle forze, per la sua capacità di autoregolare i suoi ritmi ad un’andatura che gli consentisse la massima efficienza mantenendosi sotto la soglia massimale dello sforzo. I suoi gradi di “capitano” gli erano stati riconosciuti, soprattutto, per la disponibilità con i compagni per i quali era fonte di continui stimoli ed incoraggiamento. Antony era il genio e la sregolatezza. Molto umorale, era capace di esaltarsi esprimendo potenziali insospettabili, ma anche pronto a “battere la fiacca” e a defilarsi appena possibile. Pur essendo assiduo negli allenamenti, non riusciva a concentrarsi e a motivarsi sufficientemente per garantire un impegno di lavoro costante e piramidale. Antony era fatto così: prendere o lasciare… e noi non potevamo lasciare. Valentino, smessi ben presto i panni del pulcino, si era trasformato in un “galletto” da combattimento che, giorno dopo giorno, andava strutturando il miglior fisico del terzetto. Aggressivo, caparbio ed indomito, spesso era portato ad eccedere ed era necessario arginare la sua esuberanza. Peccato che fosse due anni più piccolo, peccato che non ci sarebbe stata un’altra occasione con lui più maturo. Gli allenamentiGli allenamenti scorrevano con il loro ritmo che non teneva conto del calendario, delle festività, delle condizioni metereologiche. Le tabelle venivano modificate, corrette, adeguate, ma tutto procedeva in perfetto riferimento con la programmazione iniziale. Centinaia di Km su percorsi via via più difficili, ritmi sempre più sostenuti, potenziamenti adeguati, esercizi per il miglioramento degli appoggi in funzione di una migliore dinamica della corsa, prove ripetute fino alla nausea… Il locale della doccia (quando avevamo la palestra) era il luogo dei commenti, il “confessionale” delle sensazioni, delle paure e delle speranze, il momento della verifica, dei suggerimenti e delle proposte, prima dell’arrivederci al prossimo allenamento, avendo buttato alle spalle la fatica ed il sacrificio e rinnovato la gioia di riprovare, di ritentare, di gettare il proprio corpo e il proprio cuore al di là di un altro decimo di secondo di sofferenza e di tripudio. Le gare regionaliLe corse campestri, a carattere provinciale e regionale, non avevano più storia per gli atleti della C.S.A. che, oltre ai tre “eroi”, contavano altri comprimari di assoluto valore. Non era raro vedere all’arrivo uno sprint fra cinque o sei maglie bianco‑rosse… e non solo in campo maschile! Eravamo coscienti delle nostre potenzialità, sapevamo di aver lavorato bene, ma aspettavamo il giorno della verità, un tempo così lontano, ma che inesorabilmente si avvicinava, incombente e carico di dubbi, di timori, di incertezze. Superate tutte le eliminatorie preliminari e affrontati tutti i test clinici di rito (analisi del sangue e delle urine, cardiogrammi sotto sforzo, spirometria, radiografie ecc.), incominciò il conto alla rovescia. Alex ostentava sicurezza, Antony fingeva di “fregarsene”, Valentino aveva voglia di spaccare tutto. Il giorno della veritàGli atleti mi avevano preceduto di due giorni; perciò, appena sceso dal treno, mi recai sul campo di gara poco distante dalla stazione ferroviaria di Orvieto. Il cielo illuminato dalle prime fioche luci dell’alba minacciava quella neve che poi avrebbe afflitto gli atleti nel corso delle gare. Lungo la stradella di campagna che portava al campo sportivo, centinaia di atleti imbacuccati già avevano iniziato il riscaldamento mentre lungo il percorso venivano alzate le ultime transenne. In quella pianura ricca di vigneti e di bruma, a pochi passi da un’ansa del fiume Tevere, si era dato convegno il fior fiore del mezzofondo Italiano di categoria: 300 atleti in rappresentanza delle 100 squadre campioni di ciascuna provincia Italiana, degli Italiani in America, degli Italiani nell’U.E. Atleti omogeneizzati, alti, possenti, preparati e… tracotanti. Dove si erano cacciati Alex & C. ? Li trovai seduti e infreddoliti, trepidi, spaesati… non avevano assorbito la mia forzata assenza nei giorni precedenti la gara. Sapevano che me lo aveva impedito la cattiveria e l’invidia di chi aveva fatto annullare all’ultimo momento la mia nomina di accompagnatore della squadra adducendo motivazioni formalmente valide, anche se moralmente deprecabili, ma loro erano rimasti soli, proprio quando avrebbero avuto più bisogno di me. Appena mi videro mi furono addosso: ci guardammo negli occhi e fummo subito pronti ad affrontare il momento della verità. La garaIl primo a gareggiare fu Alex che dovette scontrarsi con tutti i vincitori delle fasi provinciali. La sua fu una gara meravigliosa per impegno e per tattica. Superati i primi 200 metri cruciali dopo la partenza, cominciò lentamente a risalire posizioni, senza spingere molto, ma aumentando gradualmente l’andatura. Fra la foschia si intravedeva la sua maglia bianco‑rossa in rimonta, …30° …25° …20° …15°… poi l’ultimo decisivo sforzo prima dell’ingresso nel campo sportivo. Il piccolo “Davide” calabrese di Amantea contro i giganti “Golia” del mondo. …10° …5°… un’ultimo guizzo. Il primo ed i secondo erano imprendibili, ma Alex riescì a mettere il suo petto avanti a tutti gli altri: era terzo… e piangeva di gioia. La seconda manche vedeva in gara Antony che, nonostante tutte le suppliche e gli incitamenti, anche quella volta non si contraddisse… Da “lord inglese”, partì al piccolo trotto e parve interessarsi più del panorama che della gara. Navigò nelle ultime posizioni del gruppo, forse addirittura trovò il tempo di conversare con i concorrenti rivali. Dal nostro punto di osservazione io ed Alex lo stramaledicemmo, mentre anche Valentino, che stava completando la sua fase di riscaldamento, osservava furibondo la “passeggiata” di Antony. Sapevamo che la classifica finale sarebbe stata stilata in base ai piazzamenti dei tre concorrenti… e, all’improvviso, se ne ricordò anche Antony. Lasciò in tronco i suoi compagni “di salotto” ed iniziò una di quelle sue galoppate fantastiche. Il gruppo era sgranato in lunga fila indiana: il primo aveva oltre 500 metri di vantaggio. La rimonta di Antony fu travolgente: si “bevve” uno dopo l’altro decine di concorrenti, attaccò senza risparmio fino all’ultimo metro… e giunse al traguardo… quasi fresco, ma solo 25°! Io ed Alex non avemmo il tempo di affogarlo immediatamente (come avremmo voluto) e tacitamente rimandammo l’esecuzione a dopo. Infatti, stava per partire l’ultima manche nella quale era impegnato Valentino. Incrociamo le dita: Valentino era forte, poteva farcela. Lo sparo dello starter scatenò gli ultimi 100 atleti nella prateria Orvietana. Valentino, partito come una missile, dopo 100 metri era già in testa… Poi, improvvisamente lo vediamo fermarsi, toccarsi il petto, guardarsi intorno… Maledizione: ha perso il numero di pettorale! Allora ritorna indietro, recupera il pettorale, lo indossa e riparte con più rabbia e veemenza di prima. L’ultimo atleta era già scomparso dietro i vigneti, Valentino ormai era tagliato fuori. Non si vedevano più i podisti nascosti dalla collina. Nello sconforto decidemmo che fosse giunto il momento di pensare ad Antony (magari con gli interessi per quello che era successo a Valentino) …ma proprio in quel momento riapparvero i fondisti sul sentiero che portava allo stadio. Scrutammo le posizioni di coda nella speranza di vedere se Valentino ce l’avesse fatta a riagganciare il gruppo… Cercammo disperatamente una maglia bianco‑rossa, che in coda non c’era. Pensammo che fosse finito un sogno e, invece… Valentino aveva fatto un miracolo: era già davanti, nelle prime trenta posizioni, che sgomitava e lottava, che schiumava la sua rabbia per la sfortuna, che compiva uno sforzo sovrumano, ma inutile. Alex, avendo capito l’errore tattico, gli corse incontro nella campagna coperta di neve urlando: “Rallenta, per carità. Rallenta, se no scoppi!” Anche Antony urlava tentando di ottenere il rispetto dei miei ordini. Ma Valentino, ormai, era una furia. Affrontò la salitella che portava all’ingresso del campo sportivo lottando spalla a spalla con i primi: voleva entrare per primo nell’ “imbuto” dove i concorrenti venivano classificati. Mancavano 10 metri… forse solo 5, poi l’imbuto e il successo. Invece Valentino si bloccò, si mise a barcollare, entrò nell’imbuto e si accasciò soccorso dai giudici. Per soli 3 o 4 secondi non aveva retto: 10 concorrenti erano riusciti a superarlo.. ma restò la sua impresa, il suo coraggio… la sua incoscienza. Dopo qualche minuto la cerimonia della premiazione: la C.S.A., che rappresentava la provincia di Cosenza, salì sul terzo gradino del podio. Un successo che poteva essere anche migliorato almeno di una piazza: ma tant’è… Perdonammo Antony (anche perché Valentino aveva finalmente recuperato) e ricevemmo i complimenti di tanti avversari (non Calabresi) non solo per il piazzamento, ma perché risultammo la formazione più giovane. Il ritorno a casaAl ritorno ad Amantea non ci aspettavamo un’accoglienza da trionfatori, ma almeno qualche elogio pensavamo di averlo meritato… “Ih! sulu terzi siti arrivati?” Questo fu il commento ai nostri sacrifici, alle ore di palestra, di polvere, di sole, di pioggia e di vento, questo il viatico all’orgoglio che ci aveva fatto gonfiare il nostro povero petto di gente del sud nel superare gli allenatissimi, selezionatissimi, seguitissimi, sponsorizzatissimi atleti delle altre province. Ci guardammo negli occhi: tre ragazzi ed un uomo. Ci salutammo: tre ragazzi che saranno ottimi uomini ed un uomo che sta decidendo di abbandonare lo sport. Ci stringemmo la mano: un patto di sudore che cementava una cultura del sacrificio cui pochi sono ammessi. Solo i migliori! Pino Del Pizzo ----- 2003 -----
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