AMANTEANI NEL MONDOC’era una volta … |
Sport e… stagioni |
Pensieri, ricordi e nostalgie di Donatella Nardelli |
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GLI ALLENAMENTIHo iniziato gareggiando per la “Polisportiva Marcello De Luca”. Ci allenavamo alle scuole elementari di Via Baldacchini, l’unica palestra disponibile ad Amantea. Con i miei compagni di squadra dividevo molte ore della giornata. Nel gruppo c’erano anche i ragazzi, marciatori e mezzofondisti. Mai come allora ho “respirato” il profumo delle stagioni. La vita in città è frenetica e non sempre ci si rende conto che le stagioni cambiano. In quel periodo invece le stagioni si avvicendavano con le nostre corse nei campi in direzione “d’u Catusu”, tappa giornaliera per iniziare il riscaldamento. Ricordo ancora gli alberi in fiore durante la primavera, i gelsi che mangiavamo di nascosto dai contadini mentre raggiungevamo il campo sportivo, il grano che primeggiava nei campi nel sole caldo di giugno, le mietiture, l’estate che ci costringeva a sacrificare qualche bagno al mare per non perdere le energie che con tanti sforzi conquistavamo durante l’inverno. E poi la pioggerellina autunnale che non ci faceva demordere dai nostri allenamenti quotidiani, le corse intorno alla palestra delle scuole elementari di Via Baldacchini, quando proprio non riuscivamo a raggiungere il campo sportivo di Amantea a causa del freddo. Sostenevamo prove estenuanti su strada, oppure prove ripetute sulla SS 18, dove era più facile contare i chilometri, o sulla sabbia, verso la via del ritorno che costeggiava il mare e passava dietro al “Residence”. Quando avvistavamo quella costruzione, sapevamo di essere vicini alla palestra e la nostra stanchezza, come per incanto, diminuiva. Con molta nostalgia ricordo che riuscivamo a percorrere giornalmente 12 chilometri. Certo ci sono voluti anni di allenamento e di sacrifici. Oggi, dopo due piani di scale a piedi, ho già il fiatone. LA MIA PRIMA GARARicordo ancora la mia prima gara a Cosenza. Avevo 11 anni e dovevo sostituire una compagna di squadra che si era infortunata. Era una corsa campestre che mi ha portato a raggiungere, con grande sforzo, il 3° posto facendomi vincere la mia prima medaglia! In realtà non avrei dovuto partecipare e fino all’ultimo giorno non mi avevano detto neanche che avrei dovuto sostenere una gara. Ancora non sapevo che sarei diventata una mezzofondista. In quel periodo, infatti, mi allenavo solo per acquistare forza fisica. Ero molto magra e lo sport mi era stato consigliato dal mio medico, come rimedio per sviluppare l’appetito. Dopo un anno d’assidua frequentazione in palestra, qualcuno notò che, nonostante la magrezza, ero molto resistente alla fatica. Cominciò quindi la fase di “studio” da parte del mio allenatore, Roberto de Luca che, nel corso dei mesi, valutò la specialità per me più appropriata. Avevo provato con il salto in lungo, ma non ero assolutamente in grado di saltare oltre i 3 metri. Con il lancio del peso, ma non avevo sufficiente forza nelle braccia. Con il salto in alto, ma, dopo aver vinto la paura dell’asticella, sono riuscita a saltare solo 138 cm. C’erano altre ragazze, molto più dotate di me, che riuscivano a raggiungere risultati migliori. Ricordo Maria La Vergata e Sandra Casella nel lungo, Maria Rita Natalino nell’alto, Tiziana Veltri e Antonella Viola negli 80 metri. Con Roberto ci allenavamo spesso sulla salita di “Pantalìa” o sulle scale che portano alla chiesa di “S. Bernardino”. Che fatica! Ricordo gli “skips”, i balzi, i saltelli, le prove ripetute e la voglia di fare sempre, sempre di più fino ad arrivare in cima alla salita. Fu proprio Roberto che mi propose per la sostituzione di una mia compagna che, proprio il giorno della gara, era ammalata. Tutto si decise all’ultimo minuto, con mia grande agitazione. La gara era una campestre e si disputava a Cosenza. Era una domenica invernale piovosa e fredda. Andai in macchina con Rino Baldacchini, che ricordo ancora con tanto affetto e nostalgia, e due miei compagni di squadra. Per tutto il viaggio Rino cercò di non farmi pensare alla gara che avrei dovuto sostenere. Mi fece distrarre chiacchierando del più e del meno fino a quando non arrivammo a Cosenza. Prima di registrarmi dal giudice di gara, mi spiegarono la strategia che avrei dovuto seguire. Mi dissero che tutto si decideva sulla linea di partenza dal momento che le concorrenti, per guadagnare posizione, non esitano a sgomitare proprio per guadagnare terreno e che avrei dovuto cominciare a difendermi dalle avversarie proprio alla partenza. Gareggiava con me Luisa Perna. Mi dissero quindi di non perderla d’occhio, poiché era più esperta di me, e di seguire lei. L’avrei vista di sicuro perché era più alta di me. Il percorso nelle corse campestri, infatti, è molto vario e spesso non agevole. Inoltre quello che si guadagna sulla linea di partenza, mi spiegarono, si mantiene strada facendo. Erano circa 3 o 4 Km, non ricordo con esattezza. Quello che ricordo con terrore è stata la partenza. Allo sparo della pistola non riuscivo più a capire che direzione prendere. Tutte mi venivano addosso. Qualcuna cadeva ed era calpestata senza pietà dalle altre. Non ho mai visto tanta cattiveria in ragazzine così piccole. Per conquistare le prime posizioni ho ricevuto parecchie gomitate, ma posso affermare che da quella gara ho imparato a difendermi, anche negli anni successivi. E’ una questione di sopravvivenza. Se nuoti, hai qualche possibilità di salvarti. Mentre correvo, vidi la maglietta a strisce di Luisa e mi accorsi che, senza troppa fatica, si faceva spazio tra le atlete. E’ stata la mia salvezza. L’ho seguita superando e sgomitando fino a quando non ho raggiunto le prime posizioni. Non ero sufficientemente allenata per sostenere uno sforzo così grande. Ricordo che alla vista del traguardo mi mancarono le forze e, proprio negli ultimi 100 metri, mi stavo fermando. Ma non ho potuto perché i miei compagni di squadra, fermi ai bordi del percorso, mi incitarono con una tale energia che non ho potuto deluderli. Ho raggiunto il traguardo guadagnando la terza posizione. Da quel momento ho capito quanto è importante concludere una gara, cercando di arrivare al traguardo con almeno un minimo di forze a disposizione e com’è bello sentirsi parte di una squadra. I miei allenamenti, dopo quella gara, si fecero sempre più frequenti e “mirati” per dare il massimo nelle competizioni successive. IL MIO ALLENATORE
Lo sport mi ha insegnato molte cose: a sostenere grossi sforzi fisici, a contare solo ed esclusivamente sulle mie forze, a non arrendermi alle prime difficoltà, a raggiungere il traguardo a qualunque costo. Molti di questi insegnamenti li devo al mio allenatore, il Professore Pino Del Pizzo, che mi ha sempre spronato a dare sempre il meglio di me stessa, senza mai arrendermi. Devo a lui la vittoria della finale regionale che mi ha portato a Pisa. Una vittoria che mi è costata fatica sia dal punto di vista psicologico, perché ho “dovuto” battere la mia amica Luisa Perna per la classificazione alle finali, che da quello fisico, perché ho sostenuto allenamenti estenuanti anche in estate per riuscire ad acquistare la forma entro i primi di settembre. Il Professore Del Pizzo mi ha fatto amare lo sport fin dai primi allenamenti ed è sempre riuscito a tirare fuori il meglio di me. Non ero particolarmente dotata fisicamente, questo me lo ripeteva spesso, ma mi diceva anche che avevo una gran forza di volontà che mi consentiva di combattere fino in fondo. Gli allenamenti erano centrati principalmente sulla resistenza. Successivamente cominciai anche a potenziare le gambe per rendere di più negli scatti finali delle competizioni. Spesso mi faceva allenare anche sulla strada che portava a Lago. Lui era sempre in motorino e ci faceva strada per consentirci di percorrere lunghi tratti in discesa che avrebbero migliorato la “falcata” delle gambe. I suoi insegnamenti tattici e la carica di fiducia che sapeva infondermi, uniti ad estenuanti prove ripetute, mi hanno fatto raggiungere i risultati sperati, tra i quali la qualificazione ai Campionati Nazionali assoluti di corsa Campestre a Treviso, disputati in un ippodromo fangoso e impercorribile al fianco di atleti di vertice mondiale come Gabriella Dorio e Franco Fava. LA MIA AMICA/RIVALERicordo la mia amica Luisa Perna con cui mi sono allenata per anni. La nostra specialità era il “mezzofondo”. Gareggiavamo insieme sia nelle corse campestri sia in quelle su pista (800, 1000 e 1500 metri). Per anni abbiamo conquistato il 1° e il 2° posto. Lei arrivava sempre prima, io seconda. Luisa ed io andavamo in palestra sempre insieme. Abitavamo vicino e molto spesso passavo a chiamarla. Durante il tragitto chiacchieravamo del più e del meno. Luisa mi ha sempre dato degli ottimi consigli anche per la scuola. Consigli che ho sempre seguito, visto che al Liceo Scientifico avevamo gli stessi professori. Prima di sostenere una gara “studiavamo” insieme le avversarie e adottavamo qualche strategia per intimorire quelle che ritenevamo più forti. Ormai conoscevamo tutte le atlete della Calabria e le loro capacità atletiche. Il nostro chiodo fisso era Francesca Lugarà, un’atleta di Reggio Calabria che incontravamo in quasi tutte le competizioni regionali. Credo fosse più grande di noi, non ricordo bene. Era una ragazza molto carina, ma anche molto forte fisicamente. Aveva una grande resistenza ed una straordinaria potenza nelle gambe. Con Luisa si era ormai instaurata una “complicità” di squadra che ci faceva vivere con meno tensione le competizioni. Contrariamente a quanto si possa pensare, io non ero invidiosa della sua bravura. Durante le gare non pensavo minimamente di dovermi “piazzare” prima di lei. Era la mia compagna di squadra, la mia amica, non la mia “rivale”. Era molto dotata fisicamente: gambe lunghe, alta e slanciata. Aveva anche molto fiato e questo la rendeva imbattibile. Era solo meno veloce nel finale della gara: questo mi permise di vincere una fase regionale e di qualificarmi alla finale nazionale di Pisa (1977). Quella volta, il nostro allenatore, Pino Del Pizzo, che conosceva i nostri pregi ed i nostri punti deboli, con lealtà verso entrambe, durante l’ultima fase del riscaldamento, ci spiegò – palesemente – la tattica che ciascuna avrebbe dovuto tenere in gara per puntare alla vittoria. Raccomandò alla mia amica/rivale di mettercela tutta per staccarmi se non voleva correre i rischi di una volata finale. A me disse di tenere duro: negli ultimi metri avrei potuto far valere la mia capacità di sprintare. Subito dopo lo sparo dello starter Luisa prese la testa e, sotto la sua azione, il gruppo ben presto si sgretolò. Ancora una volta restammo solo noi due: Luisa imponeva un ritmo sostenutissimo, ma io stringevo i denti e non le concedevo più di due o tre metri… Quando giunse il momento in cui avrei dovuto sferrare l’attacco finale, non ero più tanto sicura di volere la vittoria. A togliermi ogni dubbio fu la voce del mio allenatore che mi incitava: “Vai Donatella” e il tono non era solo uno sprone, era un comando al quale mi sorpresi nel rispondere con insospettata energia. Allungai la falcata e affiancai la mia amica nell’ultima curva. Dopo una breve resistenza, Luisa – quasi incredula - cedette di colpo mentre io volavo, ormai irraggiungibile, verso il traguardo. La sensazione che provai all’arrivo però era molto strana. Mi sentivo triste e sconfitta, anziché vincitrice. Mi sembrava di aver tradito un’amica. Per fortuna intervenne ancora una volta il prof. Del Pizzo che, dopo averci raggiunto correndo dal bordo campo, prima abbracciò Luisa, lodandola per la bella gara sostenuta e per la sportività con cui aveva accettato la sua prima sconfitta, poi abbracciò me esortandomi ad assaporare la gioia della vittoria che avevo meritata con la tenacia, la volontà ed i faticosi allenamenti sostenuti durante l’estate. LA PRIMA VITTORIA DELLA C.S.A. E’ LEGATA AL MIO NOME
La C.S.A. nacque dalla scissione dalla Polisportiva “Marcello De Luca” e per quelli che vi aderirono aprì una nuova condizione di atleti. Ci sentivamo coinvolti pienamente per fare emergere la nuova Società e collaboravamo tutti con lo stesso spirito perché questa riuscisse ad affermarsi. Eravamo poche persone, ma affiatate e collaborative. Ricordo ancora la scelta dei colori delle tute da ginnastica: bianche e rosse con lo stemma dei due delfini. Quella scelta ci impegnò per parecchi giorni. Tutto si decise in un pomeriggio invernale all’interno della nuova sede della CSA presa in affitto alla “Calavecchia”. Le nostre indecisioni riguardavano sostanzialmente i colori da adottare (i pantaloni rossi o bianchi?… quante strisce sul lato esterno dei pantaloni?). Anche le competizioni assumevano un altro significato. Tutti si sentivano in dovere di dare il massimo per portare avanti un progetto comune. Vincere assumeva un concetto completamente diverso: serviva a guadagnare punteggio per la nuova Società. Spesso ci siamo trovati anche a competere sui campi di atletica con i nostri compagni della Polisportiva De Luca, e questo ci spronava a lottare maggiormente. Ecco perché non dimenticherò mai il giorno in cui vinsi, per la nuova Società, la prima coppa. La gara era una corsa campestre disputata nell’anno 1979. Avevo sedici anni. Credo si svolgesse a Catanzaro Lido, ma non ricordo bene. Campeggiano nei miei ricordi i campi di bergamotto che abbiamo dovuto percorrere ed il profumo intensissimo che ci ha accompagnato per tutto il tragitto. LA MIA PRIMA GARA NAZIONALELa mia prima Gara Nazionale l’ho disputata a Pisa. E’ stata una bellissima esperienza. Era la prima volta, infatti, che mi trovavo con tantissimi atleti provenienti da tutta Italia. In quelle situazioni si fa presto a fare amicizia e con alcuni di loro ho intrattenuto anche lunghe corrispondenze, come quella con Francesco Panetta (1), atleta calabrese della Polisportiva di Siderno, che ho conosciuto proprio in quell’occasione. Durante la nostra permanenza a Pisa ci divertimmo molto passando quasi tutto il tempo a nostra disposizione tutti insieme, non pensando che quegli stessi atleti con cui condividevamo le nostre serate, uno dei prossimi giorni sarebbero stati i nostri avversari sul campo di gara. Gli allenamenti si tenevano la mattina, ma la sera eravamo liberi di uscire per le vie della città per distrarci. La sera, prima del giorno della finale, uscimmo tutti per fare un ultimo giro per quella bellissima cittadina. Eravamo tristi perché saremmo dovuti partire la sera dopo, ma per niente preoccupati per la gara che si disputava l’indomani. La nostra giovane età ci fece “sfuggire” allo sguardo vigile degli accompagnatori che volevano che rispettassimo alcune regole, una delle quali era quella di non ritardare l’orario di rientro, decretato per le ore 22.00, in previsione degli impegni agonistici del giorno successivo. Durante la nostra passeggiata per le vie del centro di Pisa non ci stancammo eccessivamente. Eravamo tutti atleti e soprattutto dei buoni camminatori. Comprammo tanti piccoli souvenir e, all’orario stabilito, ci avviammo verso l’albergo ubicato appena fuori Pisa. Durante il tragitto qualcuno propose di giocare a “ruba bandiera”. Non fu un’idea molto felice. Eravamo quasi tutti mezzofondisti, quindi rincorrerci ci costò una perdita d’energie che pagammo l’indomani nel corso della gara. Chiaramente nessuno di noi disse niente ai propri accompagnatori e questi ultimi attribuirono all’emozione le nostre défaillances. (1) Francesco Panetta divenuto in seguito Campione Italiano e uno dei migliori fondisti di sempre. |