AMANTEANI NEL MONDO

PILLOLE DI STORIA

Il Castello di Amantea

 

 

Il Castello di Amantea

Cenni storici di Vincenzo Segreti

Su una panoramica altura di fronte all'azzurro del Tirreno, si ergono le vaste rovine del castello di Amantea, che ha origini molto lontane nel tempo (forse costituiva l'acropoli di insediamenti d'età classica).

Spianata del castello

Le prime testimonianze storiche di una roccaforte si hanno con l'avvento in Calabria dei bizantini e dei saraceni, che nel 640 elevarono Amantea a sede di emirato.

Con il tramonto di quelle dominazioni, a fondare il vero castello medioevale furono i normanni che, intorno al 1000, resero valide le difese della città tirrenica, già da allora considerata strategicamente importante.

Durante il regno degli svevi, che fecero di Amantea un centro demaniale, progredito e fiorente, il maniero fu potenziato e venne eretta a protezione dell'abitato una prima cinta muraria.

Nel 1220, ad opera di Pietro Cattani, promotore dell'evangelizzazione francescana nella regione, sorse su un preesistente monastero basiliano un complesso monastico, prossimo al castello.

Particolare della cinta muraria

Da quest'epoca in avanti il castello divenne un'autentica istituzione, oltre ad essere un baluardo militare.

Sotto la sua tutela si era man mano formato il primo nucleo urbano con le attività produttive ed il municipio, governato da un'oligarchia nobiliare-agraria.

Mentre i conventuali e, più tardi, gli altri ordini religiosi ed il clero secolare svolgevano la loro missione di promozione umana e spirituale, il castellano era il rappresentante del re e il comandante della guarnigione che, in casi di estrema necessità, diventava giudice e responsabile dell'ordine pubblico, condizionando molto spesso l'amministrazione e la stessa vita delle città.

Pertanto, la castellanìa era una carica molto ambita, che fu assegnata a personaggi autorevoli e devoti ai sovrani.

Partigiani della casa Sveva, gli amanteani nel 1269 opposero un'accanita resistenza alle milizie angioine, comandate da Pietro Ruffo II°, conte di Catanzaro.

Dopo la resa, il castello vide le orrende stragi e le persecuzioni dei vinti.

In seguito Guglielmo Sclavelli soffocò la rivolta degli antiangioini, che riebbero il potere sotto Giacomo D'Aragona.

Simbolo di riconciliazione nelle contese delle due dinastie furono le nozze, celebrate con grande sfarzo alla presenza di Re Giacomo, fra il condottiero aragonese Adimaldo Cambrese e Romana della famiglia degli Sclavelli, sostenitori degli angioini.

Torre e ruderi delle mura (lato 'catocastro')

Nel 1345 Giovanna I d'Angiò si preoccupò di rafforzare la rocca, di riattare la cinta muraria e di erigere l'imponente torre cilindrica d'avvistamento che ospitò la milizia dei cavallari contro le scorrerie dei pirati turchi.

La leggenda favoleggia degli amori lussuriosi della regina entro le mura del castello nonché dell'improbabile esistenza di un passaggio di collegamento con il mare, fatto costruire come segreta via di fuga.

Sulle orme della prozia, Giovanna IIa unì ulteriormente il presidio militare.

Con il ritorno degli aragonesi, la fortezza fu protagonista di vittoriose lotte contro Ferrante, che voleva assoggettare Amantea a Margherita di Poitier, che sarebbe stata moglie del Marchese di Crotone.

Successivamente il figlio, Alfonso II°, allora duca di Calabria, ispezionata la rocca, ne determinò la ristrutturazione e l'ampliamento con l'aggiunta di una seconda cortina muraria.

Ruderi del castello (visti dalla 'taverna')

Nel 1495, ancora si difese ad oltranza contro l'esercito invasore di Carlo VIII° che, fra l'altro, aveva infeudato la città al Conte Guglielmo du Precy.

Quando agli aragonesi subentrarono gli spagnoli, fu il viceré don Pietro di Toledo a rendere inespugnabile il fortilizio con la costruzione di bastioni armati, un terzo ordine di mura, stabilendo il collegamento con le torri costiere di vedetta.

Il castello continuò a rappresentare la base dell'opposizione armata alle frequenti rappresaglie di Galeazzo di Tarsia, delicato poeta e feroce signore di Belmonte.

Per tutto il XVII secolo e oltre vi si organizzò la difesa dell'infeudazione, che i principi Ravaschieri di Belmonte ottennero dalla corte spagnola con il versamento di ingenti somme.

Ruderi della torre, delle mura e del vecchio carcere

Pagando, infine, il riscatto e fronteggiando una sommossa della borghesia fomentata da quei feudatari, l'università amanteana salvaguardò le libere istituzioni comunali, che con i privilegi dei vari sovrani resero meno oppressive le varie dominazioni.

Nel corso dei moti popolari del 1648 in provincia di Cosenza, il maniero ospitò i baroni scacciati, in fuga dai feudi, e consentì alle truppe del marchese Giovan Battista Spinelli di Fuscaldo di iniziare l'opera di repressione.

Nel 1767 Amantea, come tutto il regno di Napoli, conobbe una grave carestia, sfociata in tumulti popolari contro il malgoverno del sindaco dei nobili, che fu rinchiuso nelle carceri del castello e poi liberato dai soldati.

La reazione sanfedista dopo aver soffocato l'improvvisato moto dei giacobini locali, riempì le segrete dei nemici e trasformò la fortezza in un propugnacolo borbonico, respingendo i primi assalti dalle soldatesche napoleoniche alla conquista del regno.

Fra il 1806 e il 1807 “briganti e patrioti”, asserragliati nelle mura cittadine, sostennero eroicamente gli attacchi degli eserciti dei generali Verdier e Reynier.

Ruderi del castello

Nonostante l'assedio causasse centinaia di vittime e la rovina della città, i difensori si arresero con l'onore delle armi, solo quando la fame e la superiorità dei nemici ebbe il sopravvento.

Allora il castello con le cinte urbiche venne abbattuto dalle mine francesi perché ritenuto pericoloso, benché fosse male armato e decadente (l'ultima ristrutturazione era avvenuta nel 1694).

Per Amantea, fedele ai suoi re e alla religione dei padri e contraria ad ogni forma di innovazione, iniziò una lunga e triste decadenza.

In periodo post-unitario, compresa nel demanio del V Corpo d'armata, l'area della diruta fortezza fu donata a un'associazíone filantropica napoletana.

Ruderi del castello

Negli anni ’70 ne divennero proprietari i Folino, che nel corso della liquidazione degli enti inutili si avvalsero di un'enfiteusi sulla località.

Ora l'amministrazione comunale sembra intenzionata a restituirlo alla comunità attraverso i vigenti strumenti legali. Il provvedimento è urgente e indispensabile non solo per conferire completezza al centro antico della città, ma soprattutto per preservare dalle ingiurie del tempo e degli uomini, con le annesse vestigia della grande torre e del convento di San Francesco d'Assisi, il più significativo monumento della storia amanteana.