AMANTEANI NEL MONDOPILLOLE DI STORIA |
6 febbraio 1807: la resa |
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6 febbraio 1807 All’alba del 6 febbraio 1807, per ordine del Generale Ridolfo Mirabelli, sul castello di Amantea fu issata la bandiera bianca di resa alle truppe napoleoniche. Sui muri della casetta colonica sita in località “Rota”, dove fu firmato l’armistizio, ancora oggi l’evento è ricordato dalla lapide riprodotta a lato [1]. Con questo atto si concludeva, così, la strenua resistenza iniziata alcuni mesi prima. Infatti, già nell’agosto 1806 il Maresciallo Massena, uno dei più brillanti generali di Napoleone, aveva inviato contro Amantea il Generale Verdier con ingenti truppe. Nonostante il primo assalto fosse già stato respinto dagli amanteani, il primo settembre 1806, dopo aver chiesto la resa della città (respinta da Ridolfo Mirabelli, che aveva ai suoi ordini anche le “bande” del cappuccino Padre Michele Ala e di Alice) Verdier rinnovò l’assalto ad Amantea ma, nuovamente respinto, fu costretto a ritirarsi.
Ai primi di dicembre il Generale Reynier, succeduto a Massena nel comando supremo “… stabilì di farla finita con l’ostinata Amantea …” [2] e mandò di nuovo Verdier contro la città. Dopo aver a lungo cannoneggiato la città per tutta la giornata del 5 dicembre, la notte del 6 Verdier tentò un ultimo assalto ma venne, ancora una volta, respinto con gravi perdite e fu costretto a ritirarsi a Cosenza. “… alla fine del 1806, gli invasori occupavano molte città, eccette Amantea, Scilla, Reggio, Cariati e il territorio fra Paola e Capo Suvaro (…) Forza dell’insurrezione restava pur sempre però Amantea, ostinatamente resistente …” [2] Volendo farla finita con questa costante spina nel fianco “… Col primo giorno del 1807 Reynier marciò su Amantea, avendo con sé tremila soldati francesi, duemila Calabresi delle guardie civiche, un reggimento di genieri napoletani, una compagnia di zappatori, una di artiglieria, un schiera di cavalleria, queste francesi: seimila uomini contro Amantea! …” [2] Furono subito occupate “… le alture attorno alla Città, ponendo i Corsi e il 1º di linea al Camolo, il 29º e il 42º a Lago, il 52º a Cannavina e a San Pietro, le artiglierie al convento di San Bernardino. …” [2] Da quel momento i cannoneggiamenti dell’abitato e del castello furono pressoché costanti e gli assalti sempre più frequenti. Nonostante ciò, Amantea resisteva e respingeva un attacco dopo l’altro. “… L’assedio sembrò dunque subito assai più duro, ed ognuno vide che la sola debolezza di Amantea era la penuria dei viveri; lo Stocchi e il De Micheli tentavano ogni cosa per rifornire la città, ma (…) navi francesi bloccavano la costa. … una sortita tentò il capo di banda Falsetti detto Centani, e riuscì a far entrare in Amantea un carico di viveri e polvere. Troppo poco, e già bisognò sottoporre la popolazione a razionamenti feroci: ma i vecchi di Amantea si offrirono nobilmente a rinunciare alle loro razioni. Con tutto questo, era la fame. …” [2]
Gli unici che avrebbero potuto fare qualcosa erano gli Inglesi di stanza in Sicilia, ma il loro aiuto non arrivò. Reynier strinse ancor più il cerchio attorno alla città, fece affluire altri rinforzi ed intensificò il cannoneggiamento delle mura. Il 5 febbraio ampi tratti delle mura furono fatti crollare con le mine ed il 6 febbraio 1807 la città di Amantea, stremata dalla fame, a corto di munizioni e con le difese ormai a brandelli fu costretta alla resa. “… I Francesi, caso raro, ebbero rispetto di Amantea, ed anzi sembra abbiano persino contratto una strana amicizia coi loro nemici: ma avevano da piangere oltre seicento morti dell’assedio, uno ogni dieci. …” [2] [1] Non disponiamo di una fotografia adeguata della lapide in quanto, allo stato attuale, è coperta e quasi completamente nascosta da un albero. [2] Brani tratti da “STORIA DELLE CALABRIE” di Ulderico Nisticò – Edizioni Brenner – Cosenza - 1984 |
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