ALTOSALENTO RIVIERA DEI TRULLI benvenuti in Puglia |
ALTOSALENTO RIVIERA DEI TRULLI
un territorio .....da favola
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Distretto turistico Altosalento Riviera dei trulli CHI SIAMO, DA DOVE VENIAMO? Tutto l’Altosalento è caratterizzato dal paesaggio della pietra, con innumerevoli testimonianze del rapporto degli abitanti con l’ambiente e la natura del territorio. L’architettura mostra la storia e la cultura di un popolo: centri storici, masserie, trulli, lamie, casine padronali e ancora frantoi ipogei, edicole votive, acquari, muretti a secco rappresentano la nostra civiltà contadina che trae il suo essere dalla terra e che ha prodotto un ambiente che attrae un numero crescente di turisti. Probabilmente, ciò che affascina di più il visitatore delle nostre terre, è il trullo. L’originalità e il fascino del trullo sono contenuti nella sua capacità di conservare nel tempo la vitalità e l’uso del passato; esso, infatti, non si è trasformato in monumento rudere, ma, sfidando i secoli, rimane depositario ed emblema di quella civiltà contadina che, pur tra ansie e sacrifici, è riuscita a conservare il giusto rapporto uomo-ambiente. La masseria, si inserisce nel solco di una tradizione risalente alle ‘villae’ rustiche romane, ma l’origine del maggior numero di masserie è da far risalire al Medioevo e al latifondo feudale. Le masserie erano e, lo sono ancora in molti casi, le nostre industrie: opifici attivi e proiettati nel futuro; a ridosso delle vecchie masserie sono sorti frantoi oleari, caseifici, e aziende di trasformazione di prodotti agricoli. Altre masserie sono oggi aziende agrituristiche, per accostarsi ai ritmi della vita agreste, ritrovare suoni, odori e colori dimenticati, scoprire che ciò che altrove si chiama folclore qui è quotidianità. Questo, è un punto importante, non deve diventare tutto folclore, ma la quotidianità deve innestarsi nel turismo conservando la sua autenticità. Da qui nasce il distretto turistico, inteso come distretto economico integrato, che trova le sue radici nel territorio, fondando il suo successo sul supporto dell’agricoltura e dell’artigianato; il territorio, questo nostro paesaggio, diventa un elemento d’impresa e come tale va tutelato e valorizzato. Negli anni 50 e 60 sotto la spinta del mito metropolitano, le campagne conobbero un massiccio esodo, oggi, quanto generazioni di contadini e artigiani hanno costruito, è prodotto turistico ricercato e, le nostre campagne stanno riconquistando un ruolo di primo piano, anche come luogo di lavoro e produzione. Il tasso di attività agricola della popolazione è abbastanza alto: 52% a San Michele, 45,5% a Carovigno, 42% a Ceglie, 28,3% a San Vito e 24,3% a Ostuni.
Popolazione legale risultante dai Censimenti Generali e per il 2004 dati Istat
* San Michele si costituisce come comune nel 1928 staccandosi da San Vito.
A questo punto, si rende necessario un veloce approfondimento storico-sociologico che inizi dall’ Unita’ D’Italia. Nel 1860, alla proclamazione del regno d’Italia, la popolazione rurale dell’Italia meridionale viveva in condizioni di arretratezza, l’agricoltura era gravata da vincoli e pedaggi medievali e la proprietà terriera era concentrata nelle mani di pochi latifondisti. Il feudalesimo era stato già formalmente abrogato nel 1806 dai Borboni, ma con il regno d’Italia il feudalesimo di fatto si rinforzava. I beni demaniali e i beni ecclesiastici furono ceduti a basso prezzo ai latifondisti, i contadini divennero in gran parte salariati giornalieri, che restavano disoccupati per gran parte dell’anno. I contadini cercarono di reagire attraverso quella che fu definita da Giustino Fortunato una vera e propria guerra civile: il brigantaggio, che venne duramente represso dal governo del Regno d’Italia senza affrontarne le ragioni di fondo. Si diffonde fra la gente la rassegnazione e si radica ‘il feudalesimo’ come sistema politico e sociale. In questo contesto, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, con l’aggravarsi della crisi agraria, si accese il sogno americano, una vita nuova in un mondo nuovo; in molti, con dolore, lasciarono i propri paesi per gli Stati Uniti e il Sud America. L’Altosalento si rispecchia in questa descrizione storica, ma probabilmente, il rapporto fra proprietari e contadini fu meno teso. Fra i contadini e i signori terrieri s’instauravano delle forme miste di rispetto e sudditanza, che si trasmettevano di generazione. I grandi latifondisti avevano molte loro proprietà verso la pianura, e favorivano la migrazione dai paesi della collina per disboscare o bonificare le terre e predisporle alla coltivazione. Il primo nucleo sparso, dell’odierno paese di San Michele, nasce con un atto notarile del 1839, con il quale il principe Francesco Dentice di Frasso concedeva terreni per 210 tomoli e 1500 querce a 61 coloni di Ostuni e Ceglie. A Carovigno e San Vito nella prima metà del secolo scorso, nacquero stabilimenti per la lavorazione del tabacco, nel 1924, il tabacchificio di San Vito, impiegava 570 unità. Agli inizi degli anni 50 con la riforma agraria, il latifondo ebbe un duro colpo anche nelle nostre zone, le terre furono assegnate ai contadini, nel 1952 nasceva il villaggio agricolo di Serranova. Alla fine degli anni 50 inizia quel fenomeno nazionale che va sotto il nome di ‘miracolo economico’. In forme diverse, spesso contraddittorie, quegli anni portarono a una rivoluzione sociale anche nei paesi dell’Altosalento. Taranto e Brindisi con le loro nascenti aree industriali assorbivano una gran quantità di lavoratori, e certo contribuivano all’innalzamento del tenore di vita. Ma il grande sviluppo industriale avveniva al Nord, la richiesta di operai era alta; così in molti partirono, in particolare dai paesi più popolosi e collinari (Ceglie che in quegli anni, come pure negli anni 30, aveva più abitanti che oggi, conobbe una fortissima emigrazione). Nel 1957 ad Ostuni aprono i primi due alberghi che danno inizio in maniera pionieristica al turismo nella città bianca, il fenomeno turistico si sviluppa negli anni 70. Nel 1961 a 10 km da San Vito apriva la base Usaf. La base americana con le sue punte di 6000 unità, fra militari e familiari, ruotava intorno a San Vito, contribuendo al reddito della cittadina, anche, con i fitti delle case locate alle famiglie americane. Nel 2000, con gli americani che lasciavano definitivamente la base, le case sfitte a San Vito erano 600. Dagli anni 80 si è avuta una migrazione di ritorno, con molti emigranti degli anni 60 che sono rientrati nei loro paesi d’origine, e ricchi dell’esperienza accumulata nelle industrie e con i risparmi accantonati, hanno realizzato piccole aziende. Nel quadrilatero Martina, Locorotondo, Cisternino, Ceglie con diramazioni a Ostuni e Francavilla si diffondevano piccole e medie aziende tessili, che sino a pochi anni fa impiegavano alcune migliaia di persone, confezionavano in massima parte per grandi marche della moda italiana. Oggi il fenomeno è purtroppo molto ridimensionato, a Ceglie, la crisi del tessile-abbigliamento, ha portato ad almeno 800 disoccupati (fonte CGIL articolo su Liberazione del 12/10/2004); alcuni, di questi lavoratori sono tornati ad emigrare. La popolazione dal 1997 continua a diminuire nell’Altosalento, sia pur di poco (ma il fenomeno è comunque preoccupante), per la concomitanza di due fattori: saldo migratorio negativo e saldo naturale negativo; nel 2004 i due saldi hanno registrato rispettivamente meno 12 e meno 55. Ceglie a inizio 2004 contava 20.864 abitanti scesi a 20732 a fine anno, per un saldo migratorio negativo di meno 64, e un saldo naturale negativo di meno 68 (172 culle contro 240 decessi). Paradossalmente a rendere meno grave il bilancio demografico contribuiscono gli stranieri, sono molti gli inglesi, e non solo loro, ad aver scelto la nostra terra come residenza, in particolare a Ostuni, Ceglie e Valle d’Itria. Nota dolente riguarda la fuga dei giovani, di frequente, incoraggiati dagli stessi genitori a lasciare la terra natia per cercare altrove un futuro migliore. Si alimenta una nuova emigrazione, mentre ieri si partiva per la fabbrica del Nord, oggi si parte, spesso con una laurea in tasca, per le multinazionali del terziario. Questi giovani non parlano tanto di mancanza di lavoro nelle nostre cittadine, perché sono convinti che le potenzialità per uno sviluppo economico ci sono, quanto, della mentalità e del sistema nel quale non riescono a integrarsi, cercano luoghi più stimolanti e aperti. Forse hanno, in parte, anche ragione, il feudalesimo, questa forma di rispetto-sudditanza come sistema politico e sociale, sotto certi aspetti, resiste ancora. I giovani, rappresentano la linfa vitale di un territorio, in una realtà economica globalizzata e molto competitiva, si rende indispensabile un’alta professionalità per creare maestranze capaci e una diffusa sensibilizzazione dei cittadini. “Le nostre maestranze” è il titolo del prossimo appuntamento, dove per maestranze, in senso allargato, si intendono i cittadini tutti, artefici di quello sviluppo “autocentrato” propugnato dalla moderna letteratura economica.
Giuseppe Fedele
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