Onorevoli Colleghi! - 1. Da circa trenta anni non si
realizzano, in Italia, grandi opere pubbliche. All'estero
avviene l'opposto. Restando così il nostro Paese, invece di
modernizzarsi, si isola e progressivamente declina.
Dopo l'unità d'Italia, e sulla base di una apposita
legislazione, sono state realizzate le "grandi opere di
unificazione" del Paese. Ora lo scenario è cambiato:
a) servono grandi opere, oltre che di
unificazione, di apertura del Paese al crescente traffico
europeo;
b) serve una legislazione speciale per
realizzarle, perché quella esistente è paralizzante;
c) in questa strategia, un ruolo-chiave può (e
deve) essere giocato, oltre che dallo Stato, dalle regioni e
dal coordinamento delle regioni interessate.
Dati questi obiettivi, lo strumento per realizzarli è
costituito dalla "legge-obiettivo", base della necessaria
strategia di modernizzazione del Paese. L'introduzione
all'interno dell'ordinamento giuridico italiano di questo
nuovo strumento è l'oggetto specifico della presente proposta
di legge. Si tratta di uno strumento radicalmente innovativo,
capace di superare la situazione attuale, che si configura in
termini oggettivamente paradossali:
a) il bisogno di interventi è fuori discussione.
Basti pensare al traffico;
b) a monte, c'è disponibilità di capitali,
pubblici e soprattutto privati, mobilizzabili con la tecnica
del project financing;
c) a valle, si possono attivare, e su vastissima
scala, gli appalti, perché c'è ampia disponibilità di risorse
industriali (asset, know-how, eccetera); d) il deficit si trova fuori dall'economia
ed è, insieme, un deficit politico ed un deficit
giuridico.
Un deficit politico. Sono finora mancate una visione
politica d'insieme, il coraggio per pensare in grande, un
disegno per riaprire il territorio del Paese ai grandi e
crescenti flussi del traffico europeo.
E poi c'è il deficit giuridico. E' finora mancato,
all'interno dell'ordinamento giuridico italiano, uno strumento
giuridico funzionale al raggiungimento di grandi obiettivi di
modernizzazione strutturale. All'opposto, il territorio è
disseminato di paralizzanti, vischiosi e paludosi ostacoli
giuridici.
E' così che un consiglio di quartiere può bloccare un
comune, un comune può bloccare una provincia, una provincia
può bloccare una regione, una regione può bloccare lo Stato.
Un teatro in cui gli ostacoli giuridici e, intorno a questi,
le più varie forme del particularisme politico, si
sommano sistematicamente in un gioco "a somma zero".
E' così che abbiamo i difetti, senza i pregi, tanto del
centralismo quanto del localismo. E, si noti, questo non è
"federalismo", ma la sua caricatura; ovvero il suo opposto.
Perché il federalismo non è chiusura ma, all'opposto, apertura
dei territori alla più intensa possibile circolazione delle
persone, delle merci, delle idee. E poi, ancora, il
federalismo è concorso efficiente al disegno di
modernizzazione, insieme con lo Stato, delle regioni
interessate e, se necessario in funzione dell'estensione
geografica delle opere, del loro coordinamento. E' anche per
questa ragione che il coordinamento tra regioni costituisce,
nel nostro disegno politico generale, la forma nuova, più
moderna e più vitale, di un "federalismo" che intendiamo anche
come strumento di governo della modernizzazione.
2. La "legge-obiettivo", il nuovo strumento giuridico che
proponiamo di introdurre all'interno dell'ordinamento
giuridico italiano, è costruita in una logica radicalmente
innovativa. Mirati gli obiettivi (si prevede in particolare di
identificarli, anno per anno, in un elenco da inserire nella
legge finanziaria); la "legge-obiettivo" consente di superare
tutti gli ostacoli giuridici e, conseguentemente, di
realizzare concretamente e velocemente i
progetti-obiettivo.
Nella logica della "legge-obiettivo", la legittimità
politica e giuridica dell'opera è, infatti, nell'opera in sé,
in quanto identificata come obiettivo strategico. Tutte le
altre leggi, causa sistematica di ostacolo, vengono
conseguentemente disapplicate. Restano fermi solo i princìpi
comunitari, i princìpi costituzionali, ed i princìpi del
codice penale.
La previsione di una delega per introdurre una
legislazione diversa da quella vigente, e quanto più possibile
"snella" e veloce, mira all'obiettivo di rispettare i vincoli
comunitari con il possibile minore effetto di immobilizzo a
carico dell'economia italiana.
3. Va aggiunto che lo schema operativo su cui proponiamo
di muoverci non è quello "dirigista", dello
"Stato-appaltatore". L'intervento pubblico deve essere infatti
limitato al "design" politico delle opere, ed al
controllo sulla loro realizzazione, che deve essere operato
soprattutto a livello di regione, ovvero sulla base del
coordinamento delle regioni interessate. In questa logica, le
opere possono essere finanziate e realizzate dall'iniziativa
privata e prevalentemente dal capitale privato.
Non si esclude ovviamente "a priori" l'utilizzo anche di
capitale pubblico. Ma, in questi termini, lo sforzo erariale
può essere razionalmente selezionato e contenuto in dimensioni
pienamente sostenibili. Un conto è infatti, per l'erario,
sostenere tout court l'onere di un investimento
integralmente pubblico; un conto è sostenere, con la leva
pubblica, solo l'onere finanziario per gli interessi dovuti al
servizio di un piano di finanziamento costruito con la tecnica
del "project financing". In questa logica, tra l'altro,
possono essere mobilizzati (e non sprecati) i fondi
comunitari.
In ogni caso, la nostra idea di opera pubblica non è idea
di opera fatta dalla "mano pubblica", ma più modernamente idea
di opera fatta al servizio del pubblico.
Questa, per noi, è la "governance" moderna. Ed è su
questa che chiediamo il voto ed il giudizio degli elettori.
Con una specifica. Nell'economia del nostro progetto, il
disegno politico di modernizzazione del Paese non si ferma
alle infrastrutture "viarie". Nell'economia di un disegno
politico di modernizzazione del Paese, da operare su vasta
scala, sono infatti essenziali anche l'ampliamento degli
aeroporti e dei porti, e lo sviluppo dei grandi sistemi di
collegamento informatico.
E' su questa base, una base in cui prende forma la prima
fase strategica del nostro progetto, che si può passare alla
seconda fase, identificando le aree di insediamento
industriale, del sud e del nord, in cui concentrare lo sforzo
di modernizzazione produttiva del Paese. Fermo restando che il
lancio su vasta scala di una strategia di "grandi opere" è già
di per sé, per gli "effetti-volano" che produce, un fortissimo
motore di sviluppo economico del Paese.
4. In fase iniziale e prioritaria gli obiettivi di massima
da centrare sono:
a) l'asse verticale "Europa-Mediterraneo" via
traforo dello Spluga (o valico del Gaggiolo). In particolare,
si tratta di una opera al servizio dell'integrazione del
continente europeo lungo la direttrice nord-sud, mirata ad
intensificare i rapporti commerciali tra l'Europa e il
Mediterraneo, essenziali nella politica europea di sviluppo
delle relazioni con l'Oriente e con l'Estremo oriente. Si
tratta di una infrastruttura mirata a collegare il Mare del
nord al Mediterraneo, articolata lungo varie possibili
direttrici intermedie. Fermo che, nel segmento italiano,
l'asse passa intorno a Milano (confluenza delle direttrici del
sistema produttivo e di traffico dell'area padana), con
prosecuzione lungo l'autostrada del sole, per Napoli e Gioia
Tauro, porto al servizio del Mediterraneo, e di qui sviluppo
fino al ponte sullo stretto di Messina. Nell'economia di
quest'opera sono, in specie, essenziali il raddoppio della
Bologna-Firenze e la riqualificazione del tratto terminale, da
Salerno fino a Reggio Calabria, per l'accesso al porto di
Gioia Tauro, e la prosecuzione fino al ponte sullo stretto di
Messina;
b) l'asse autostradale orizzontale del
"Mercantour", sviluppato lungo un itinerario che
proviene da Barcellona, passa per traforo tra le valli di
Stura e Tinee, prosegue per Genova, Piacenza, Trieste e di qui
verso Trieste e l'Europa orientale;
c) la "Pedemontana-Lombarda";
d) la "Pedemontana-veneta";
e) il "passante" di Mestre.
5. Più in dettaglio, la logica politica e giuridica della
nostra proposta si sviluppa nei seguenti termini.
In un famoso passo di Kant, il sovrano si rivolge al
mercante e, con atteggiamento benevolo e disponibile, gli
chiede: "Cosa posso fare per voi?". Il mercante risponde:
"Maestà, dateci moneta buona e strade sicure, al resto
pensiamo noi".
Attualizzando e venendo all'Italia: abbiamo l'euro, che è
moneta buona, ma le "strade" italiane non sono affatto buone.
Intese le "strade" come simbolo delle grandi opere pubbliche.
Quelle che "modernamente" si chiamano "infrastrutture".
Lo strumento che qui si propone di utilizzare, la
"legge-obiettivo", non esaurisce certo la sua funzione nel
campo delle "infrastrutture". Si tratta infatti di uno
strumento che può essere positivamente utilizzato per una
vastissima gamma di interventi pubblici. Ma certo le
"infrastrutture" ne sono un campo di applicazione prioritario
e fortemente simbolico.
In materia di "infrastrutture", il caso italiano è in
realtà, e come si è premesso, davvero un caso paradossale. Nei
Paesi in via di sviluppo, le "infrastrutture" non si fanno,
per carenza di risorse finanziarie ed industriali, non certo
per mancanza di volontà politica. In Italia le
"infrastrutture" non si fanno, ma per la ragione opposta: ci
sono le risorse finanziarie ed industriali, ma manca la forza
"politica" per farle e, per suo conto, l'"ambiente" giuridico
sembra fatto apposta per bloccarle.
Il deficit italiano è in specie, oltre che un
deficit politico, un deficit istituzionale. Per
come è attualmente strutturato (destrutturato), infatti, il
sistema amministrativo italiano non solo è incapace (in
positivo) di mobilizzare le risorse disponibili, mirandole ad
obiettivi di sviluppo, ma - ciò che è ancora peggio - è capace
(in negativo) di bloccare ogni tentativo di sviluppo. E' così
che si formano e crescono, nell'opinione pubblica,
l'anti-Stato e l'anti-politica: se lo Stato non fa neppure
quel "minimo" richiesto dal mercante di Kant; peggio, se
impedisce ai privati di farlo, allora viene davvero naturale
chiedersi: a cosa serve lo Stato; perché si pagano le
tasse?
In Italia il crescente astensionismo dal voto non è, come
nel resto d'Europa, un segno di fiducia nello Stato, ma
all'opposto proprio un segno di disgusto. E, se lo Stato non
trova presto il modo di cambiare, al posto dell'astensionismo
verrà la secessione dal voto. Che è ancora peggio, perché è
secessione dagli ideali e dall'idea stessa del Paese.
In questi termini, la nostra proposta va radicalmente in
controtendenza. E' una occasione per dimostrare concretamente
che ancora c'è una ragione d'essere dello Stato. E' un modo
per soddisfare la domanda che viene dal Paese: che non vuole
l'assenza dello Stato, ma che all'opposto domanda
"governance".
E' questa la ragione per cui qui si propone l'utilizzo di
uno strumento giuridico radicale, come certamente è la
"legge-obiettivo". Infatti, o il sistema trova al suo interno
la forza per superare lo stallo, o ne viene travolto. E' per
questo che si deve fare ricorso alla "legge-obiettivo": perché
è l'unico strumento capace di concretare, nell'"ambiente"
istituzionale italiano, il modello giuridico (kantiano)
dell'imperativo pragmatico, caratterizzato dalla prevalenza
empirica del fine sul mezzo: dato un fine obiettivo, il mezzo
va (può essere) adeguato.
E' certo vero che, nella meccanica propria di norme di
legge di questo tipo, è implicito ed evidente il carattere
dell'autoritarietà. Ma è anche e soprattutto vero, ed
empiricamente provato, che non esistono altri strumenti per
ricostruire quella linea di potere che è essenziale insieme
per la modernizzazione e per lo sviluppo del Paese. Potere che
è peraltro bilanciato, ed anzi reso ancora più efficiente, dal
correttivo positivo costituito dalle regioni e dal
coordinamento delle regioni interessate.
L'effetto che si produce con questo strumento è infatti
l'esatto opposto di quell'anarchia, asistematica e
paralizzante, che è attualmente "vigente", e che blocca
"giuridicamente" lo sviluppo del Paese, o lo limita,
costringendolo fuori dalla legge.
In specie, non è vera la tesi demagogica secondo cui
soluzioni legislative del tipo qui proposto contengono in sé
un surplus di "centralismo" ovvero un deficit di
democrazia e/o di giustizia perché superano d'un colpo gli
sbarramenti assemblearistici o giuridici.
All'opposto, proposte di politica legislativa di questo
tipo:
a) realizzano il federalismo, nel doppio senso
che:
1) aumentano i collegamenti e perciò favoriscono
l'autonomo sviluppo dei territori. Il federalismo non è
infatti localismo e/o isolazionismo, ma l'opposto: solo
aprendosi, i territori possono infatti acquistare e sviluppare
gradi crescenti di "libertà";
2) vengono realizzate, in molti casi (soprattutto in
caso di "infrastrutture" locali), soprattutto su impulso
"periferico". Possono infatti essere soprattutto i territori
che si attivano e si organizzano per promuovere specifiche
"infrastrutture" di loro specifico interesse, promuovendo
comitati per le leggi-obiettivo, organizzando la
sottoscrizione delle emissioni obbligazionarie al servizio
della costruzione delle "infrastrutture" identificate come
interessanti, eccetera. Resta fermo infine, e decisivamente,
il ruolo fondamentale assegnato alle regioni ed al
coordinamento delle regioni interessate;
b) non contrastano con le politiche ambientali.
All'opposto. Infatti, a parità di numero dei veicoli in
circolazione, il blocco in coda (oltre a bruciare ore di
lavoro, chance in affari, eccetera) inquina enormemente
più del movimento. Non solo, sempre a parità di traffico, la
circolazione dei veicoli esplosa nella rete viaria ordinaria,
all'interno dei centri storici, nel verde residuo, eccetera, è
molto più devastante della concentrazione del traffico su di
un solo asse autostradale, dove tra l'altro possono essere
attrezzate le maggiori possibili protezioni ambientali;
c) sono infine del tutto democratiche. La
democrazia non consiste infatti nell'irresponsabilità dei
troppi centri di potere, diffusi sul territorio ed attivi solo
nel senso del veto reciproco. All'opposto, se si vuole
conservare la fiducia nello Stato, bisogna dimostrarne in
positivo l'utilità, nella forma di una reale capacità di
"governance". Ed è poi su questa che, democraticamente,
si vota. Se le forze politiche trovano la forza per approvare
ed applicare strumenti di questo tipo, poi invariabilmente
vengono sottoposte concretamente - nella logica alternativa
del premio o della "punizione" - al giudizio democratico
fondamentale, che è il giudizio elettorale.
6. Ci sono fasi in cui l'ordinamento giuridico esistente
non basta più. Nel momento presente, e nel caso dell'Italia,
ciò è evidente per una ragione paradossale, opposta rispetto a
quella normale.
L'ordinamento giuridico italiano nella sua forma "vigente"
non basta più, non perché ce n'è poco, ma all'opposto perché
ce n'è troppo. E' in questo contesto che emerge quella che
Saverio Vertone definisce (giustamente) come la "catastrofe
amministrativa che ha colpito il Paese".
Abbiamo in realtà, come si è premesso, in Italia, i
difetti senza i pregi del centralismo. I difetti, senza i
pregi, del localismo. In specie, si ripete, all'interno delle
istituzioni italiane, un consiglio di quartiere può bloccare
un comune, un comune può bloccare una provincia, una provincia
può bloccare una regione, una regione può bloccare lo Stato.
Senza contare la casistica, ancora più efficace nella
meccanica dell'interdizione, dell'assemblearismo, del
movimentismo più o meno "spontaneo", del corporativismo, del
situazionismo, della proiezione negativa dell'interesse
particolare su quello generale.
7. La soluzione non si trova negli strumenti normali,
offerti dall'ordinamento vigente. Con questi, come è provato
dall'esperienza degli ultimi due decenni, ogni tentativo
positivo è infatti destinato ad impantanarsi. La soluzione può
essere trovata solo procedendo per linee di rottura, e dunque
fuori dall'ordinamento vigente, costituendo un ordinamento
superiore.
Più specificamente, la soluzione può essere trovata nel
rispetto dei princìpi giuridici fondamentali e generali (che
pure in qualche modo ancora sopravvivono all'interno della
pletora delle norme vigenti), ma disapplicando l'universo
delle norme specifiche e particolari. In specie, disapplicando
quella massa di norme che, soprattutto nel corso degli ultimi
due decenni, con il trionfo post sessantotto delle ideologie e
delle tecniche assembleariste, si sono accumulate e
stratificate intorno ai princìpi generali dell'ordinamento,
oscurandone la fondamentale ragione d'essere.
Nel caso delle "infrastrutture", i princìpi generali sono
essenzialmente quelli contenuti nella Costituzione (ad
esempio, il diritto all'indennizzo, in caso di esproprio),
nella normativa comunitaria (ad esempio, in materia di
appalti), infine nel codice penale (ad esempio, non rubare
sugli appalti).
Le norme specifiche o particolari, da disapplicare, sono,
per differenza, tutte le altre, che hanno rotto la naturale e
necessaria uniformità dell'ordinamento giuridico,
frantumandolo nell'asistematicità puntiforme e casuale del
particularisme di infiniti paralizzanti localismi, di
estenuanti "egoismi" politici. Come in un nuovo medioevo, in
cui al posto dei vincoli derivanti dagli antichi usi e
superstizioni naturali si trovano superstizioni "sociali" di
tipo nuovo, ma in realtà ancora più oscure, irrazionali e
paralizzanti di quelle vecchie.
E' proprio in questi termini che, ancora una volta, la
questione dello sviluppo viene ad intrecciarsi con la
questione del diritto. Non è un caso (è anzi per questo) che,
nella storia, i cambiamenti strutturali si sono sempre
manifestati come cambiamenti giuridici del vecchio ordine,
basati su forti scelte di politica legislativa.
Nel mondo giuridico, lo schema di base della
"legge-obiettivo" è in particolare rappresentato dalla legge
speciale. Ed è essenzialmente basato sul criterio della
deroga.
Normalmente, è speciale la legge che non è
programmaticamente "generale". La legge speciale è, in
particolare, speciale:
a) in funzione di eventi straordinari di carattere
naturale (ad esempio, calamità naturali) o di carattere
sociale (ad esempio, lo stato d'assedio);
b) ovvero in funzione del suo specifico campo di
applicazione.
E' proprio in questi ultimi termini che la
"legge-obiettivo" è una legge speciale, in quanto mirata ad un
obiettivo e conseguentemente definita per campo di
applicazione.
Finora (soprattutto nella storia italiana più recente) il
ricorso alla legislazione speciale è stato motivato da ragioni
di ordine sociale (ad esempio, legislazione anti-criminalità
organizzata).
Qui in particolare la proposta (la relativa novità) è di
(tornare ad) utilizzare questo strumento "specializzandolo" in
funzione delle "infrastrutture". Mirandolo cioè ad obiettivi
operativi, costituiti appunto da specifiche
"infrastrutture".
In questi termini, il "fulcro" della "legge-obiettivo" è
costituito dall'"infrastruttura", identificata e definita
nelle sue specifiche tecniche, anno per anno, in sede di legge
finanziaria.
Dato questo obiettivo ed in funzione di questo obbiettivo,
la legge deroga a tutte le norme "amministrative" vigenti, con
la sola eccezione delle norme costituzionali, delle norme
comunitarie in materia di appalti, infine delle norme penali
ordinarie in materia di reati contro la pubblica
amministrazione.
Fermo restando ovviamente che, dato il carattere oggettivo
e non soggettivo del meccanismo di deroga, tutti i soggetti
operativamente coinvolti nella realizzazione
dell'infrastruttura dovranno soggettivamente rispettare le
norme ordinarie ad essi riferite (ad esempio, le norme in
materia di lavoro, bilancio, fiscali, eccetera).