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- 24 febbraio 2000 - Proposta di legge n. 6807 - Relazione - ( Originale a: http://media.camera.it/_dati/leg13/lavori/stampati/sk7000/relazion/6807.htm )

PROGETTO DI LEGGE - N. 6807




        Onorevoli Colleghi! - 1. Da circa trenta anni non si realizzano, in Italia, grandi opere pubbliche. All'estero avviene l'opposto. Restando così il nostro Paese, invece di modernizzarsi, si isola e progressivamente declina.
        Dopo l'unità d'Italia, e sulla base di una apposita legislazione, sono state realizzate le "grandi opere di unificazione" del Paese. Ora lo scenario è cambiato:

            a) servono grandi opere, oltre che di unificazione, di apertura del Paese al crescente traffico europeo;

            b) serve una legislazione speciale per realizzarle, perché quella esistente è paralizzante;

            c) in questa strategia, un ruolo-chiave può (e deve) essere giocato, oltre che dallo Stato, dalle regioni e dal coordinamento delle regioni interessate.

        Dati questi obiettivi, lo strumento per realizzarli è costituito dalla "legge-obiettivo", base della necessaria strategia di modernizzazione del Paese. L'introduzione all'interno dell'ordinamento giuridico italiano di questo nuovo strumento è l'oggetto specifico della presente proposta di legge. Si tratta di uno strumento radicalmente innovativo, capace di superare la situazione attuale, che si configura in termini oggettivamente paradossali:

            a) il bisogno di interventi è fuori discussione. Basti pensare al traffico;

            b) a monte, c'è disponibilità di capitali, pubblici e soprattutto privati, mobilizzabili con la tecnica del project financing;

            c) a valle, si possono attivare, e su vastissima scala, gli appalti, perché c'è ampia disponibilità di risorse industriali (asset, know-how, eccetera);
            d) il deficit si trova fuori dall'economia ed è, insieme, un deficit politico ed un deficit giuridico.

        Un deficit politico. Sono finora mancate una visione politica d'insieme, il coraggio per pensare in grande, un disegno per riaprire il territorio del Paese ai grandi e crescenti flussi del traffico europeo.
        E poi c'è il deficit giuridico. E' finora mancato, all'interno dell'ordinamento giuridico italiano, uno strumento giuridico funzionale al raggiungimento di grandi obiettivi di modernizzazione strutturale. All'opposto, il territorio è disseminato di paralizzanti, vischiosi e paludosi ostacoli giuridici.
        E' così che un consiglio di quartiere può bloccare un comune, un comune può bloccare una provincia, una provincia può bloccare una regione, una regione può bloccare lo Stato. Un teatro in cui gli ostacoli giuridici e, intorno a questi, le più varie forme del particularisme politico, si sommano sistematicamente in un gioco "a somma zero".
        E' così che abbiamo i difetti, senza i pregi, tanto del centralismo quanto del localismo. E, si noti, questo non è "federalismo", ma la sua caricatura; ovvero il suo opposto. Perché il federalismo non è chiusura ma, all'opposto, apertura dei territori alla più intensa possibile circolazione delle persone, delle merci, delle idee. E poi, ancora, il federalismo è concorso efficiente al disegno di modernizzazione, insieme con lo Stato, delle regioni interessate e, se necessario in funzione dell'estensione geografica delle opere, del loro coordinamento. E' anche per questa ragione che il coordinamento tra regioni costituisce, nel nostro disegno politico generale, la forma nuova, più moderna e più vitale, di un "federalismo" che intendiamo anche come strumento di governo della modernizzazione.
        2. La "legge-obiettivo", il nuovo strumento giuridico che proponiamo di introdurre all'interno dell'ordinamento giuridico italiano, è costruita in una logica radicalmente innovativa. Mirati gli obiettivi (si prevede in particolare di identificarli, anno per anno, in un elenco da inserire nella legge finanziaria); la "legge-obiettivo" consente di superare tutti gli ostacoli giuridici e, conseguentemente, di realizzare concretamente e velocemente i progetti-obiettivo.
        Nella logica della "legge-obiettivo", la legittimità politica e giuridica dell'opera è, infatti, nell'opera in sé, in quanto identificata come obiettivo strategico. Tutte le altre leggi, causa sistematica di ostacolo, vengono conseguentemente disapplicate. Restano fermi solo i princìpi comunitari, i princìpi costituzionali, ed i princìpi del codice penale.
        La previsione di una delega per introdurre una legislazione diversa da quella vigente, e quanto più possibile "snella" e veloce, mira all'obiettivo di rispettare i vincoli comunitari con il possibile minore effetto di immobilizzo a carico dell'economia italiana.
        3. Va aggiunto che lo schema operativo su cui proponiamo di muoverci non è quello "dirigista", dello "Stato-appaltatore". L'intervento pubblico deve essere infatti limitato al "design" politico delle opere, ed al controllo sulla loro realizzazione, che deve essere operato soprattutto a livello di regione, ovvero sulla base del coordinamento delle regioni interessate. In questa logica, le opere possono essere finanziate e realizzate dall'iniziativa privata e prevalentemente dal capitale privato.
        Non si esclude ovviamente "a priori" l'utilizzo anche di capitale pubblico. Ma, in questi termini, lo sforzo erariale può essere razionalmente selezionato e contenuto in dimensioni pienamente sostenibili. Un conto è infatti, per l'erario, sostenere tout court l'onere di un investimento integralmente pubblico; un conto è sostenere, con la leva pubblica, solo l'onere finanziario per gli interessi dovuti al servizio di un piano di finanziamento costruito con la tecnica del "project financing". In questa logica, tra l'altro, possono essere mobilizzati (e non sprecati) i fondi comunitari.
        In ogni caso, la nostra idea di opera pubblica non è idea di opera fatta dalla "mano pubblica", ma più modernamente idea di opera fatta al servizio del pubblico.
        Questa, per noi, è la "governance" moderna. Ed è su questa che chiediamo il voto ed il giudizio degli elettori. Con una specifica. Nell'economia del nostro progetto, il disegno politico di modernizzazione del Paese non si ferma alle infrastrutture "viarie". Nell'economia di un disegno politico di modernizzazione del Paese, da operare su vasta scala, sono infatti essenziali anche l'ampliamento degli aeroporti e dei porti, e lo sviluppo dei grandi sistemi di collegamento informatico.
        E' su questa base, una base in cui prende forma la prima fase strategica del nostro progetto, che si può passare alla seconda fase, identificando le aree di insediamento industriale, del sud e del nord, in cui concentrare lo sforzo di modernizzazione produttiva del Paese. Fermo restando che il lancio su vasta scala di una strategia di "grandi opere" è già di per sé, per gli "effetti-volano" che produce, un fortissimo motore di sviluppo economico del Paese.
        4. In fase iniziale e prioritaria gli obiettivi di massima da centrare sono:

            a) l'asse verticale "Europa-Mediterraneo" via traforo dello Spluga (o valico del Gaggiolo). In particolare, si tratta di una opera al servizio dell'integrazione del continente europeo lungo la direttrice nord-sud, mirata ad intensificare i rapporti commerciali tra l'Europa e il Mediterraneo, essenziali nella politica europea di sviluppo delle relazioni con l'Oriente e con l'Estremo oriente. Si tratta di una infrastruttura mirata a collegare il Mare del nord al Mediterraneo, articolata lungo varie possibili direttrici intermedie. Fermo che, nel segmento italiano, l'asse passa intorno a Milano (confluenza delle direttrici del sistema produttivo e di traffico dell'area padana), con prosecuzione lungo l'autostrada del sole, per Napoli e Gioia Tauro, porto al servizio del Mediterraneo, e di qui sviluppo fino al ponte sullo stretto di Messina. Nell'economia di quest'opera sono, in specie, essenziali il raddoppio della Bologna-Firenze e la riqualificazione del tratto terminale, da Salerno fino a Reggio Calabria, per l'accesso al porto di Gioia Tauro, e la prosecuzione fino al ponte sullo stretto di Messina;

            b) l'asse autostradale orizzontale del "Mercantour", sviluppato lungo un itinerario che proviene da Barcellona, passa per traforo tra le valli di Stura e Tinee, prosegue per Genova, Piacenza, Trieste e di qui verso Trieste e l'Europa orientale;

            c) la "Pedemontana-Lombarda";

            d) la "Pedemontana-veneta";

            e) il "passante" di Mestre.

        5. Più in dettaglio, la logica politica e giuridica della nostra proposta si sviluppa nei seguenti termini.
        In un famoso passo di Kant, il sovrano si rivolge al mercante e, con atteggiamento benevolo e disponibile, gli chiede: "Cosa posso fare per voi?". Il mercante risponde: "Maestà, dateci moneta buona e strade sicure, al resto pensiamo noi".
        Attualizzando e venendo all'Italia: abbiamo l'euro, che è moneta buona, ma le "strade" italiane non sono affatto buone. Intese le "strade" come simbolo delle grandi opere pubbliche. Quelle che "modernamente" si chiamano "infrastrutture".
        Lo strumento che qui si propone di utilizzare, la "legge-obiettivo", non esaurisce certo la sua funzione nel campo delle "infrastrutture". Si tratta infatti di uno strumento che può essere positivamente utilizzato per una vastissima gamma di interventi pubblici. Ma certo le "infrastrutture" ne sono un campo di applicazione prioritario e fortemente simbolico.
        In materia di "infrastrutture", il caso italiano è in realtà, e come si è premesso, davvero un caso paradossale. Nei Paesi in via di sviluppo, le "infrastrutture" non si fanno, per carenza di risorse finanziarie ed industriali, non certo per mancanza di volontà politica. In Italia le "infrastrutture" non si fanno, ma per la ragione opposta: ci sono le risorse finanziarie ed industriali, ma manca la forza "politica" per farle e, per suo conto, l'"ambiente" giuridico sembra fatto apposta per bloccarle.
        Il deficit italiano è in specie, oltre che un deficit politico, un deficit istituzionale. Per come è attualmente strutturato (destrutturato), infatti, il sistema amministrativo italiano non solo è incapace (in positivo) di mobilizzare le risorse disponibili, mirandole ad obiettivi di sviluppo, ma - ciò che è ancora peggio - è capace (in negativo) di bloccare ogni tentativo di sviluppo. E' così che si formano e crescono, nell'opinione pubblica, l'anti-Stato e l'anti-politica: se lo Stato non fa neppure quel "minimo" richiesto dal mercante di Kant; peggio, se impedisce ai privati di farlo, allora viene davvero naturale chiedersi: a cosa serve lo Stato; perché si pagano le tasse?
        In Italia il crescente astensionismo dal voto non è, come nel resto d'Europa, un segno di fiducia nello Stato, ma all'opposto proprio un segno di disgusto. E, se lo Stato non trova presto il modo di cambiare, al posto dell'astensionismo verrà la secessione dal voto. Che è ancora peggio, perché è secessione dagli ideali e dall'idea stessa del Paese.
        In questi termini, la nostra proposta va radicalmente in controtendenza. E' una occasione per dimostrare concretamente che ancora c'è una ragione d'essere dello Stato. E' un modo per soddisfare la domanda che viene dal Paese: che non vuole l'assenza dello Stato, ma che all'opposto domanda "governance".
        E' questa la ragione per cui qui si propone l'utilizzo di uno strumento giuridico radicale, come certamente è la "legge-obiettivo". Infatti, o il sistema trova al suo interno la forza per superare lo stallo, o ne viene travolto. E' per questo che si deve fare ricorso alla "legge-obiettivo": perché è l'unico strumento capace di concretare, nell'"ambiente" istituzionale italiano, il modello giuridico (kantiano) dell'imperativo pragmatico, caratterizzato dalla prevalenza empirica del fine sul mezzo: dato un fine obiettivo, il mezzo va (può essere) adeguato.
        E' certo vero che, nella meccanica propria di norme di legge di questo tipo, è implicito ed evidente il carattere dell'autoritarietà. Ma è anche e soprattutto vero, ed empiricamente provato, che non esistono altri strumenti per ricostruire quella linea di potere che è essenziale insieme per la modernizzazione e per lo sviluppo del Paese. Potere che è peraltro bilanciato, ed anzi reso ancora più efficiente, dal correttivo positivo costituito dalle regioni e dal coordinamento delle regioni interessate.
        L'effetto che si produce con questo strumento è infatti l'esatto opposto di quell'anarchia, asistematica e paralizzante, che è attualmente "vigente", e che blocca "giuridicamente" lo sviluppo del Paese, o lo limita, costringendolo fuori dalla legge.
        In specie, non è vera la tesi demagogica secondo cui soluzioni legislative del tipo qui proposto contengono in sé un surplus di "centralismo" ovvero un deficit di democrazia e/o di giustizia perché superano d'un colpo gli sbarramenti assemblearistici o giuridici.
        All'opposto, proposte di politica legislativa di questo tipo:

                a) realizzano il federalismo, nel doppio senso che:

                1) aumentano i collegamenti e perciò favoriscono l'autonomo sviluppo dei territori. Il federalismo non è infatti localismo e/o isolazionismo, ma l'opposto: solo aprendosi, i territori possono infatti acquistare e sviluppare gradi crescenti di "libertà";

                2) vengono realizzate, in molti casi (soprattutto in caso di "infrastrutture" locali), soprattutto su impulso "periferico". Possono infatti essere soprattutto i territori che si attivano e si organizzano per promuovere specifiche "infrastrutture" di loro specifico interesse, promuovendo comitati per le leggi-obiettivo, organizzando la sottoscrizione delle emissioni obbligazionarie al servizio della costruzione delle "infrastrutture" identificate come interessanti, eccetera. Resta fermo infine, e decisivamente, il ruolo fondamentale assegnato alle regioni ed al coordinamento delle regioni interessate;

                b) non contrastano con le politiche ambientali. All'opposto. Infatti, a parità di numero dei veicoli in circolazione, il blocco in coda (oltre a bruciare ore di lavoro, chance in affari, eccetera) inquina enormemente più del movimento. Non solo, sempre a parità di traffico, la circolazione dei veicoli esplosa nella rete viaria ordinaria, all'interno dei centri storici, nel verde residuo, eccetera, è molto più devastante della concentrazione del traffico su di un solo asse autostradale, dove tra l'altro possono essere attrezzate le maggiori possibili protezioni ambientali;

                c) sono infine del tutto democratiche. La democrazia non consiste infatti nell'irresponsabilità dei troppi centri di potere, diffusi sul territorio ed attivi solo nel senso del veto reciproco. All'opposto, se si vuole conservare la fiducia nello Stato, bisogna dimostrarne in positivo l'utilità, nella forma di una reale capacità di "governance". Ed è poi su questa che, democraticamente, si vota. Se le forze politiche trovano la forza per approvare ed applicare strumenti di questo tipo, poi invariabilmente vengono sottoposte concretamente - nella logica alternativa del premio o della "punizione" - al giudizio democratico fondamentale, che è il giudizio elettorale.

        6. Ci sono fasi in cui l'ordinamento giuridico esistente non basta più. Nel momento presente, e nel caso dell'Italia, ciò è evidente per una ragione paradossale, opposta rispetto a quella normale.
        L'ordinamento giuridico italiano nella sua forma "vigente" non basta più, non perché ce n'è poco, ma all'opposto perché ce n'è troppo. E' in questo contesto che emerge quella che Saverio Vertone definisce (giustamente) come la "catastrofe amministrativa che ha colpito il Paese".
        Abbiamo in realtà, come si è premesso, in Italia, i difetti senza i pregi del centralismo. I difetti, senza i pregi, del localismo. In specie, si ripete, all'interno delle istituzioni italiane, un consiglio di quartiere può bloccare un comune, un comune può bloccare una provincia, una provincia può bloccare una regione, una regione può bloccare lo Stato. Senza contare la casistica, ancora più efficace nella meccanica dell'interdizione, dell'assemblearismo, del movimentismo più o meno "spontaneo", del corporativismo, del situazionismo, della proiezione negativa dell'interesse particolare su quello generale.
        7. La soluzione non si trova negli strumenti normali, offerti dall'ordinamento vigente. Con questi, come è provato dall'esperienza degli ultimi due decenni, ogni tentativo positivo è infatti destinato ad impantanarsi. La soluzione può essere trovata solo procedendo per linee di rottura, e dunque fuori dall'ordinamento vigente, costituendo un ordinamento superiore.
        Più specificamente, la soluzione può essere trovata nel rispetto dei princìpi giuridici fondamentali e generali (che pure in qualche modo ancora sopravvivono all'interno della pletora delle norme vigenti), ma disapplicando l'universo delle norme specifiche e particolari. In specie, disapplicando quella massa di norme che, soprattutto nel corso degli ultimi due decenni, con il trionfo post sessantotto delle ideologie e delle tecniche assembleariste, si sono accumulate e stratificate intorno ai princìpi generali dell'ordinamento, oscurandone la fondamentale ragione d'essere.
        Nel caso delle "infrastrutture", i princìpi generali sono essenzialmente quelli contenuti nella Costituzione (ad esempio, il diritto all'indennizzo, in caso di esproprio), nella normativa comunitaria (ad esempio, in materia di appalti), infine nel codice penale (ad esempio, non rubare sugli appalti).
        Le norme specifiche o particolari, da disapplicare, sono, per differenza, tutte le altre, che hanno rotto la naturale e necessaria uniformità dell'ordinamento giuridico, frantumandolo nell'asistematicità puntiforme e casuale del particularisme di infiniti paralizzanti localismi, di estenuanti "egoismi" politici. Come in un nuovo medioevo, in cui al posto dei vincoli derivanti dagli antichi usi e superstizioni naturali si trovano superstizioni "sociali" di tipo nuovo, ma in realtà ancora più oscure, irrazionali e paralizzanti di quelle vecchie.
        E' proprio in questi termini che, ancora una volta, la questione dello sviluppo viene ad intrecciarsi con la questione del diritto. Non è un caso (è anzi per questo) che, nella storia, i cambiamenti strutturali si sono sempre manifestati come cambiamenti giuridici del vecchio ordine, basati su forti scelte di politica legislativa.
        Nel mondo giuridico, lo schema di base della "legge-obiettivo" è in particolare rappresentato dalla legge speciale. Ed è essenzialmente basato sul criterio della deroga.
        Normalmente, è speciale la legge che non è programmaticamente "generale". La legge speciale è, in particolare, speciale:

                a) in funzione di eventi straordinari di carattere naturale (ad esempio, calamità naturali) o di carattere sociale (ad esempio, lo stato d'assedio);

                b) ovvero in funzione del suo specifico campo di applicazione.

        E' proprio in questi ultimi termini che la "legge-obiettivo" è una legge speciale, in quanto mirata ad un obiettivo e conseguentemente definita per campo di applicazione.
        Finora (soprattutto nella storia italiana più recente) il ricorso alla legislazione speciale è stato motivato da ragioni di ordine sociale (ad esempio, legislazione anti-criminalità organizzata).
        Qui in particolare la proposta (la relativa novità) è di (tornare ad) utilizzare questo strumento "specializzandolo" in funzione delle "infrastrutture". Mirandolo cioè ad obiettivi operativi, costituiti appunto da specifiche "infrastrutture".
        In questi termini, il "fulcro" della "legge-obiettivo" è costituito dall'"infrastruttura", identificata e definita nelle sue specifiche tecniche, anno per anno, in sede di legge finanziaria.
        Dato questo obiettivo ed in funzione di questo obbiettivo, la legge deroga a tutte le norme "amministrative" vigenti, con la sola eccezione delle norme costituzionali, delle norme comunitarie in materia di appalti, infine delle norme penali ordinarie in materia di reati contro la pubblica amministrazione.
        Fermo restando ovviamente che, dato il carattere oggettivo e non soggettivo del meccanismo di deroga, tutti i soggetti operativamente coinvolti nella realizzazione dell'infrastruttura dovranno soggettivamente rispettare le norme ordinarie ad essi riferite (ad esempio, le norme in materia di lavoro, bilancio, fiscali, eccetera).




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