I giorni dell'oratorio, delle chitarre e dei libri di scuola che volavano dalle finestre

Parte Terza: Lotte fra bande, vincitori e vinti

(di Roberto Letizia)

 



Insomma questi quattro ragazzotti, tutti patiti dei Beatles, alla fine ce la fecero a varcare tutti assieme la mitica soglia della sala di Dongioprete. All'ingresso in sala, ci ricordammo però che eravamo tutti e tre chitarristi, e quindi vedendo due chitarre ed un basso, urgeva prendere una immediata decisione. Stoicamente alla McCartney di Amburgo, fui io che mi offrii volontario per quello che poi sarebbe stato il mio strumento primario per decenni e di sempre... ero uno scheletro e quel bisonte nero di Clarissa mod. Finto Les Paul basso pesava un accidente, eppure quel qualcuno che l'avrebbe suonato da quel momento in poi, sarei stato io.

Non ricordo con esattezza la prima canzone da noi eseguita in quella sala, ma ci accorgemmo subito che ne' io ne' Massimo Battilocchi sapevamo suonare quegli strumenti... gia' dalla chitarra a quel basso da manovale era una impresa, figuriamoci passare dal battere bonghi a swingare sulla batteria... hi hat, tom-tom...snare... troppi tamburi così la prima prova fu una vera schifezza tanto che io tenni solo toniche senza giri di basso e il batterista novizio, solo accompagno percuotendo il rullante a mo' di marcetta da parate del 2 giugno.

 
Sicuramente le prime due canzoni che eseguimmo furono Help e Twist and Shout, poi il resto a brancolare su accordi eccetera. Una pena. Sperando che di lì non fossero passati i mitici Sacerdoti che addirittura riuscivano a rifare i POLICE con "Message in a bottle" ed "Another brick in the wall" dei Floyd per la quale ci misi 2 settimane ad impararmi il riff di basso che sbagliavo con la stessa regolarità di una tassa governativa... Scappammo dalla sala disperati, ma con una gran voglia di rifarci.

Nella speranza di fare qualcosa di costruttivo tirammo dentro uno che aveva studiato un pò di più di noi, tale Fabrizio alla tastiera. A casa lui aveva un Hammond che quando passavamo a trovarlo, in pratica passavamo a trovare l'Hammond, perchè tutti volevamo suonarlo. Aveva la batteria incorporata, quella si che non sbagliava mai, e due tastiere, come quelli che suonavano gli E.L.P., uno dei pochi gruppi che i Sacerdoti non riuscivano ad imitare.

30 maggio 1980 prove per la prima esibizione


Nel frattempo, mentre noi tentavamo di diventare bravi ma con scarsissimo impegno, si fecero vedere nella sala, negli altri giorni anche altri gruppi, e noi con le scuse più disparate tentavamo di vederli mentre erano all'opera.
Tre me ne ricordo di questi gruppi: nel loro delirio mistico i
Sacerdoti erano stati superati dal furore ecclesiastico-musicale de "Quelli dell'azione cattolica" che avevano nell'antipaticissimo batterista, perennemente coi capelli unti frangettati e che noi chiamavamo JAMES HUNT dal nome del campione F1 dei tempi, il loro pedante capofila.... Erano veramente dei seminaristi mancati, il loro massimo Rock erano covers dei Dik Dik e dell'Equipe 84, cose che ora mi sento anche io ma che allora facevano sorridere; il duo tipo Simon e Garfunkel con accompagno, di due ragazzi che non parlavano mai con gli altri, dei quali ricordo solo i cognomi, Morra e Monopoli , tanto timidi quanto riservati, e i temibili Sharks, finalmente un gruppo che aveva un nome che presentavano una line-up di teenager di culto, i veri donnaioli dell'oratorio per quell'eta' (16 anni e mezzo): Andrea Porrini alla batteria, Fausto Top alle chitarre, Andrea Cordella chitarra e Gianni Pascale al basso.
Porrini era senza dubbio il leader del gruppo e quello che mi sfotteva in continuazione chiamandomi "l'incredibile Hulk" perchè mangiavo poco ed ero magrissimo, mi vedesse ora gli prenderebbe certo un infarto.


Gli Sharks ci facevano a pezzi. Erano dei veri duri e molto documentati sui dischi però in compenso avevamo l'incondizionata stima di qualcuno dei Sacerdoti e di loro perchè continuavamo a scambiarci dischi dei Beatles ed opinioni su di loro come se i loro dischi fossero usciti il giorno prima.


Dei Sacerdoti, Marco Polani era il più bravo bassista della sala, senza dubbio. Roberto Belli era il capo dei Sacerdoti , che annoveravano alla chitarra il tizio dalla Fender originale bianca e quando c'era lui, con Donatello Zizzi alla batteria non c'era storia per nessuno.

Fu così, che schiappe come eravamo, mettemmo alla tastiera Fabrizio per aiutare a coprire gli orrori che venivano fuori al nostro sound, soprattutto le mie infami toniche di basso TUMTUMTUM che non formavano nessun giro. Non solo, il giro me lo fecero fare, obbligatoriamente quando vennero in sala a trovarci due altri studenti-musicisti, di un'altra scuola, di nome Medici e Marchetti, che giravano sempre in due manco fossero due caramba . Erano piu' bravi e scafati, uno batterista e l'altro, Marchetti , bassista che sapeva fare pure MY GENERATION degli WHO con lo stacco. Mi vergognai come un assassino quando Marchetti prese il basso e io fui relegato ad un misero tamburello.
Con orrore capii che Massimo, il nostro batterista aveva studiato una settimana intera sui pezzi fino a farsi sanguinare le mani, ma alla fine era riuscito a tirare fuori un 4/4 spezzato ma udibile. I due chitarristi e il tastierista erano abbastanza in sintonia... fui allora che quasi quasi pensai di mollare tutto... avrei dovuto farlo in effetti, ma non c'erano, non erano ancora stati inventati PC portatile e QBASE ... quindi mi toccò subire la cocente umiliazione di sentirmi dire che Marchetti era meglio di me, senza dubbio, ma era cocente lo stesso.

Curioso di sapere che anni dopo al Liceo ebbi come rivale un altro Marchetti omonimo che mi somigliava, però per conquistare una tipa che ogni volta che la incontro, ora che ho 40 anni e lei pure, mi tocca cambiare isolato da quanto si è imbruttita e faccio finta di non conoscerla.


Per fortuna che un pomeriggio, il giorno dopo, ascoltando attentamente da un vecchio compatto hi-fi dove i bassi non si sentivano affatto, capii quale fosse il giro di Help, tasto sotto, tasto sopra, come se ora dovessi suonare un valtzer, ma velocizzato. E fu la svolta. Impensabile rifare il giro di All My Loving ai tempi. Però la cosa mi diede coraggio tanto che copiai anche il riff di WHAT I'D SAY di RAY CHARLES per una mezzora credetti veramente di averlo inventato io. Ma stavamo diventando bravi, "alla batteria Battilocchi", poi divenne quasi il logo del gruppo. I musicisti c'erano, mancava solo il nome. Sarebbe venuto di lì a poco ripensando agli spezzoni live dei Beatles.