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ESTATE 1972 - IL SECONDO "COVO"

(ANEDDOTI E RICORDI) 

 

Il 1972 fu l’anno-boom della compagnia. Le premesse per quell’anno non furono però le migliori perché la signora Dorina non potè o, durante l'inverno, fu "convinta" a non concederci più la stanza.


Dopo vani tentativi,
fummo salvati da Ettore Barletta, che ci mise a disposizione una stanza mezza diroccata in piazza. “Migrammo” in Via Roma 13, sotto il “Castello”, cioè la chiesa Parrocchiale di S. Ambrogio (… particolare come vedremo non trascurabile….). 

 

L'Auto di Gian Piero parcheggiata davanti al Secondo Covo


Il paese ci aiutò a mettere in ordine il nuovo “Covo”, offrendoci soldi per comprare colori, pennelli, calce, cemento e materiale elettrico nel negozio del “Gisto”, zio di Maurizio. 
Il sindaco Duilio Mazzucco, zio di Gabriella, ci permise di allacciare l’impianto (il termine è in effetti esagerato…) del Covo al contatore del Comune.
Comprammo, così, un lungo filo che attraversava i tetti di mezzo paese. Duilio rimase in carica dal 1965 al 1975… per cui fu il “nostro” sindaco.
Molti genitori furono e si sentirono coinvolti in questa nuova situazione e si divertirono con i figli come non succedeva loro da anni. Spesso ci accompagnarono anche ai concerti dei complessi dell’epoca.

  
L’auto più ammirata fu sicuramente la Mercedes del padre di Anna, un vero transatlantico a confronto delle nostre Fiat ed Alfa. A casa di Anna, per la cronaca, c’erano due Mercedes, un Ciao Piaggio azzurro e 12 biciclette…. praticamente inarrivabile. 
 
Fu anche l’anno in cui Bertino di Ozzano si mise a suonare spesso con noi e ci imprestò la sua batteria, mandando quella vecchia definitivamente “in pensione”.

Suonammo mattino, pomeriggio e sera per 4 mesi, durante i quali successe di tutto.  
E "di tutto" vuol proprio dire "di tutto". Qualcuno ci invitò a Pozzengo, alla festa del Paese, con la promessa che ci avrebbe fatto suonare, sul ballo a palchetto, un paio di pezzi.  
Ci preparammo "And I love her" dei Beatles e la nostra "Tears" e ci presentammo pimpanti con chitarre e sax a Pozzengo. ma il nostro "sponsor" non si presentò, e nonostante ci fossimo fatti largo tra la folla, il complesso presente non fu dell'idea di farci suonare con i loro amplificatori e la loro batteria.... ci andò buca e dovemmo pagare anche noi il biglietto d'ingresso. 

 

Anna, Ileana, Enrico, Gianni e Alfredo


Franco e Maria Adelaide, nipoti del parroco, non vennero più a Treville ed iniziammo ad avere problemi anche con la “Chiesa”. Eravamo cresciuti, la nostra  compagnia mista “dava fastidio” ed il nostro “Covo” spesso veniva definito “la casa di perdizione”... mettemmo così in repertorio il "Testamento di Tito" di De Andrè, un pò per protesta ed un pò perchè ci piaceva. 
Sul “Castello” non potemmo più andare in gruppo liberamente ed iniziò una “guerra santa” (come sarà definita in una nota canzone di Gian Piero, Psychiatric Rap).  
Il “nostro” campo di calcio in terra battuta era stato asfaltato ed inghiaiato; spesso il pozzo vicino alla porta di calcio veniva tenuto aperto apposta ed eravamo quasi sempre bersagliati da lanci di pietre, tirate dal padre del parroco, abile giocatore di bocce.  
 
Per capire meglio la situazione bisogna considerare che in quegli anni Treville aveva ancora la “Messa delle donne” (al mattino presto) e la “Messa degli uomini” (la “Messa Grande”, alle undici) ed in chiesa la fila dei banchi di sinistra era rigidamente riservata agli uomini, mentre quella di destra era per le donne del paese. 
 
Una domenica ci sedemmo alternati (un ragazzo, una ragazza, un ragazzo…) in un paio di banchi, presso l’altare laterale destro.  La messa fu bloccata, in piena “Predica”, e fummo divisi (maschi fila davanti e femmine fila dietro) tra lo sdegno generale.  
 
Un fatto divertente accadde quando, sempre nel corso di una “Predica”, tra il silenzio generale, entrò in chiesa Arturo ancora assonnato e con la giacca del pigiama (con la stessa giacca lo videro spesso anche in Via Roma nella sua Casale Monferrato…). Non pago, inciampò con tanto di rimbombo, in una mattonella consumata del pavimento ed esclamò con le mani al cielo la sua mitica frase: “Ma robi da mat!!!".

 
A scuotere ulteriormente tutto il paese arrivò una domenica, alla “Messa Grande”, Paolo da Vercelli, con un plico di pubblicazioni sugli U.F.O.. Dopo una lunga spiegazione sugli “oggetti volanti” e sul loro capo Adoniesis (che trasformato musicalmente in
“Do diesis” divenne da allora il soprannome di Paolo), ci portò una sera sul colle del cimitero (il più buio del circondario). Qui potemmo osservare astronavi-madre, sigari e navicelle non identificate. Mentre Paolo pronunciava frasi bibliche (“Mio Dio è magnifico” e simili), i più giovani tremavano, altri ridevano, altri... 
 
Quando ormai anche questa “moda” era per noi passata, in paese si potevano ancora vedere capannelli di persone “contagiate” che, osservando il cielo stellato, vedevano di tutto. 
 
Il padre di Paolo aveva un negozio di materiale elettrico e da lui comprammo due “lampadine” da 150 Watt, una rossa ed una verde. Paolo le montò nel Covo e divenne il nostro tecnico luci … nel senso che ogni tanto accendeva e spegneva l’interruttore della stanza….

Tra la gioia delle zanzare (i “mosconi” ronzavano fuori intorno alle ragazze) continuammo a suonare tutti i giorni senza esagerare con l’orario.  
Nonostante questo una sera arrivarono i Carabinieri della stazione di Ozzano; facendosi largo tra amici e parenti che affollavano Covo e piazza, dissero: “Fermate tutto e smettete, se no vi facciamo chiudere il “Couo” (.. con la “u”)... abbiamo avuto delle lamentele”. Non scoprimmo il “mandante”, ma fu sospettata una anziana zia di una delle ragazze del “Covo” (.... c’era un “cecchino” in paese).  
La faccenda si risolse subito perchè intervenne Eddie, il padre di Ermanno, vigile urbano a Torino, che fece loro notare che erano solo le 21.30 e che con noi c’era quasi tutto il paese.
Concordammo gli orari (che peraltro erano già i nostri) e riprendemmo a suonare. 


Tutti noi dedicavamo, più o meno apertamente, le canzoni più belle alla ragazza che ci stava particolarmente...diciamo...“simpatica”. 
Il più “trasparente” fu Gianni che, dopo aver pronunciato la sua fatidica frase: ”Dedicato a tutte le belle ragazze del mondo”, iniziava a cantare con i piedi sulla nostra pedana di legno e la testa (completa di microfono a “pagnotta”) nelle prime file di quelli che venivano ad ascoltarci. “Non mi ricordo” perché, ma ci fu un ritorno della canzone Piccola Katy.
 
Mentre i gemelli ozzanesi Franco e Walter arrivavano da Ozzano, con le loro bici "truccate" (accessoriate di: forbici per tagliare l'aria, freni quasi assenti e tubo di plastica per simulare vocalmente il clackson), Alberto ed Enrico possedevano già un altro mito dell’epoca: il
Vespino 50, rigorosamente Piaggio. Quello di Alberto (detto “Tatino”, perchè “Tatone” era Ermanno), uno dei belli della compagnia, era molto ambito dalle ragazze... gli ritornava regolarmente ammaccato. 

 


Gianni, Ermanno e Alfredo

 

Francesca, Carla, Paola, Ileana, Sandra, Manuela, Alberto, Franco ed Enrico


Verso la fine di agosto Gianni, Ermanno ed io improvvisammo un “concerto” all’aperto (la parola è grossa ma nel ricordo tutto si amplia), che, come quello dei Beatles, si svolse su un terrazzo… quello della casa di mia nonna. 
Fu l’ultima apparizione pubblica della EKO P100 elettrificata. A settembre, infatti, mio nonno paterno Alfredo, mosso a pietà dallo stato delle mie dita, mi diede 30.000 lire per comprare una vera chitarra elettrica Hofner di colore bianco e... d’occasione.
 
Con il nuovo strumento, acquistato da un amico musicista (vero) di Casale, la musica cambiò (… nel senso che le dita fecero meno male...ed i suoni uscirono molto più puliti). 

 

Alfredo e Arturo nel Covo, una domenica di fine settembre 1972,

prima di smontare gli ultimi strumenti e tornare .... a scuola.

 

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