Dal punto di vista degli equilibri internazionali, l'Italia era uscita dalla I° guerra mondiale nettamente rafforzata. Con Trento e Trieste , il Paese aveva finalmente completato la sua unità nazionale, raggiungendo i sospirati "confini naturali", e aveva visto scomparire dalle sue frontiere il nemico tradizionale, l'Impero asburgico. La dissoluzione dell'Austria-Ungheria, poneva però una serie di problemi non previsti nel momento in cui era stato stipulato
il Patto di Londra: in esso si stabiliva, fra l'altro, che la Dalmazia, abitata in prevalenza da slavi e ora rivendicata dal nuovo Stato jugoslavo, fosse annessa all'Italia e che la città di Fiume, dove gli italiani erano in maggioranza, restasse all'Impero austro-ungarico. Alla Conferenza di Parigi il presidente del Consiglio Orlando e il ministro degli Esteri Sonnino, insistevano per avere la Dalmazia e Fiume, rivendicata sulla base del principio di nazionalità. Tali richieste incontrarono l'opposizione degli alleati, e in particolare del presidente americano Wilson. Gli aspri contrasti di Parigi indussero Orlando e Sonnino ad abbandonare Versailles nell'aprile del '19 e fecero ritorno in Italia, dove furono accolti da imponenti manifestazioni patriottiche. Ma un mese dopo dovettero tornare a Parigi senza avere ottenuto alcun risultato. Orlando si dimise e gli subentrò Nitti, storico ed economista liberale, che si trovò ad affrontare una situazione già gravemente deteriorata. Gli avvenimenti della primavera '19 avevano infatti suscitato in larghi strati dell'opinione pubblica borghese un sentimento di ostilità verso gli ex alleati, accusati di voler defraudare l'Italia dei frutti della vittoria, e verso la stessa classe dirigente, giudicata incapace di tutelare gli interessi nazionali. Gli interventisti di destra parlarono di "vittoria mutilata", un'espressione coniata da Gabriele D'Annunzio, ormai divenuto il poeta nazionale, anche in virtù di alcune audaci e fortunate imprese compiute durante la guerra.
In particolare, quando Fiume prese fuoco, gli irredentisti scesero in piazza e inviarono un messaggio a D'Annunzio, invitandolo ad assumere il patronato della loro causa. D'Annunzio compose per la "Gazzetta del Popolo" una specie di articolo-proclama in cui spiegava in termini biblici che egli riprendeva le armi "per amore di Cristo" e annunciò la sua decisione in una lettera a Mussolini, ormai diventato col suo "Popolo d'Italia" il più ardente avvocato della causa irredentista.
Nel settembre del '19 D'Annunzio arrivò con circa 1000 uomini, volontari e reparti militari ribelli, a Fiume (posta allora sotto controllo internazionale), proclamandone l'annessione all'Italia e instaurandovi un governo provvisorio. D'Annunzio agì da Capo di Stato, e di uno stato in guerra con tutti, anche con l'Italia. Nacque allora a Fiume il saluto col braccio alzato, la cintura col pugnale, la camicia nera istoriata di teschi, quindi tutto il funebre armamentario di simboli e di emblemi che in seguito doveva caratterizzare il fascismo. D'Annunzio, il vate, governava sulla pubblica piazza, interrogando la folla dal balcone: "A chi, Fiume?". E la folla in coro: "A noi!". "A chi, l'Italia?". "A noi!".
Fu con questa procedura che egli elaborò e promulgò la famosa "Carta del Carnaro", traduzione delle sue concezioni politiche e sociali: il potere doveva essere gestito dai migliori, la popolazione doveva essere divisa in sei categorie di produttori, la religione nazionale di Fiume doveva essere la Bellezza e l'Armonia, per cui la ginnastica e il canto rappresentavano doveri sociali, lo Stato doveva provvedere agli anziani e ai disoccupati, i sessi erano parificati, e al libero amore non era posto altro limite che quegli estetici: dovevano farlo solo i belli e in bella maniera.
L'insubordinazione dell'esercito colpiva al cuore lo Stato liberale e ne denunciava la "crisi d'autorità". A Fiume furono sperimentati, per mezzo di D'Annunzio, formule e rituali collettivi, come adunate coreografiche e dialoghi fra il capo e la folla, che sarebbero stati ripresi e applicati su ben più larga scala dai movimenti autoritari degli anni '20 e '30. In questa situazione Nitti cercò di trattare, dando palese prova di debolezza; Mussolini giunse a dichiarare che il vero governo si trovava a Fiume, non a Roma. A Fiume si cominciò a ventilare una "marcia su Roma"; l'impresa di Fiume avrebbe fornito al Fascismo il modello per le sue milizie e per le sue uniformi, il nome per le sue squadre, il suo grido di guerra e la sua liturgia. Mussolini copierà da D'Annunzio tutto l'apparato scenico, ivi compresi i dialoghi con la folla. E' per questo che spesso si dice che D'Annunzio può considerarzi anche un precursore del fascismo
Uno degli obiettivi che D'Annunzio si era proposto marciando su Fiume, era quello di mettere in crisi il governo Nitti e alla lunga ci riuscì. Nel giugno del 1920 a costituire il nuovo governo fu chiamato l'ormai ottantenne Giovanni Giolitti, rimasto ai margini della vita politica negli anni della guerra. Questi diede prova ancora una volta di abilità e di energia; decise di liquidare l'ultima pendenza lasciata dalla guerra: la questione di Fiume, da cui dipendeva il definitivo regolamento di conti con la Jugoslavia. La trattativa diretta con gli jugoslavi si svolse a Rapallo nel novembre 1920. Con il trattato di Rapallo l'Italia conservò Trieste, Gorizia e tutta l'Istria. La Jugoslavia ebbe la Dalmazia, salvo la città di Zara, che fu assegnata all'Italia. Fiume fu dichiarata città libera (sarebbe diventata italiana grazie a un successivo accordo con la Jugoslavia nel '24). Il trattato fu accolto con generale favore dell'opinione pubblica e delle forze politiche. Restava da persuadere D'Annunzio ad abbandonare la città. Questi annunciò una resistenza ad oltranza. Il suo ultimo guanto di sfida fu lanciato con un'altra impennata oratoria:
"Per Fiume, per le isole, per la Dalmazia, noi otterremo tutto ciò che è giusto. Ma se questo non potessimo ottenere, se non potessimo superare l'iniquità degli uomini e l'avversità delle sorti, io vi dico sul mio onore di soldato e di marinaio italiano che tra l'Italia e Fiume, tra Fiume e l'Italia e le isole, tra l'Italia e la Dalmazia resterà sempre il mio corpo sanguinante".
Giolitti tentò invano di evitare il sangue. Visti inutili i tentativi di pacificazione, il giorno di Natale del 1920 le truppe regolari attaccarono la città dalla terra e dal mare. D'Annunzio preferì quindi abbandonare la partita. I legionari parlarono di "Natale fiumano di sangue" e confluirono in gran parte nelle file fasciste.
Tolto di mezzo D'Annunzio restava Mussolini, ma a lui Giolitti non dava molta importanza. Era convinto che il suo "Fascio" non fosse che uno dei tanti gruppi nati nel disordine del dopoguerra e destinati a dissolversi con la normalizzazione. Anzi se ne servì per tenere a bada i socialisti.