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Achille
Lauro SUPERSTAR
La nascita del nuovo
partito ed il grande successo del 1956
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Dopo
che Covelli con la sua testardaggine aveva fatto perdere alla Destra
l'occasione d'inserirsi nel valzer ufficiale della politica, era
necessaria una sterzata con un piano chiaro e di semplice attuazione, in
grado di assemblare intorno ad un gruppo dirigente gli interessi di una
moltitudine di cittadini.
Il neonato partito viene fondato ufficialmente con un programma basato su
tre punti fondamentali: recupero dei valori nazionali (religione,
famiglia, patria), lotta senza quartiere al comunismo ed infine la ricerca
di un'armonia tra libertà individuale ed esigenze della collettività, il
tutto nel pieno rispetto della tradizione cristiana, occidentale e
liberale.
Viene auspicato, pur se nell'ambito di una dialettica democratica, il
ritorno della monarchia, che viene interpretata come l'emanazione di un
potere supremo al di fuori dei partiti e delle loro diatribe.
Oltre all'abolizione della nominatività obbligatoria dei titoli azionari,
venne richiesta a gran voce l'abolizione del Ministero delle
partecipazioni statali, vero mostro a più teste che, soltanto attraverso
l'Iri e l'Eni, controllava il 90% del petrolio e del metano, l'80% delle
banche, il 60% delle comunicazioni telefoniche, il 100% delle trasmissioni
televisive e radiofoniche e dei trasporti aerei, il 95% delle ferrovie
ecc...; restringendo al lumicino i margini di azione dell'imprenditoria
privata e dando luogo ad una vera e propria anticamera dello statalismo di
marca sovietica.
Inoltre, un'attenzione particolare veniva dedicata alla definizione dei
Patti agrari, che andavano turbinosamente definendosi come una severa
cesoia che avrebbe umiliato il diritto alla proprietà.
Un'altra proposta qualificante era costituita dal trasferimento in
politica della formula vincente della flotta Lauro: la compartecipazione
agli utili dell'azienda da parte dei dipendenti. Una molla straordinaria
per stimolare ad impegnarsi maggiormente nel lavoro.
Questi erano i buoni propositi che servivano a rendere presentabile quello
che era il vero disegno politico del laurismo: la costituzione di una
forza d'urto in grado di condizionare i governi, i quali, perdurando la
lunga crisi del centrismo, necessitavano sempre di una stampella di
salvataggio. In cambio mano libera nell'amministrazione locale,
monetizzando in leggi speciali ed appalti di opere pubbliche il
"ringraziamento" di Roma e mettendo così in moto in maniera
egregia il vero "petrolio" dei meridionali: l'attività
edilizia, che, avrà anche arricchito costruttori, spesso di pochi
scrupoli, ma dava lavoro e reddito a decine di migliaia di famiglie.
La facilità con cui Lauro baipassava ogni asprezza burocratica facilitò
la discesa a Napoli di capitali freschi, provenienti, non solo dal nord,
ma anche dalla Svizzera e dalla Germania.
Accese polemiche seguirono alla paventata apertura della Rinascente, che
spaventava piccoli e medi commercianti, mentre don Achille tuonava di aver
strappato l'impegno di assunzione per cento napoletani disoccupati, oltre
al contributo in proporzione, secondo le abitudini locali..., a foraggiare
le attività assistenziali del Comune.
Con i finanzieri locali si costituì una robusta trama politico-economica,
che vide il suo suggello nella ricostruzione del rione Carità, con le
imprese Tucci, Serrato e Fernandes in prima fila.
Emblematica fu l'operazione "grattacielo", che vide il concorso
omertoso degli organi dello Stato in aiuto alla famigerata società
"Alfa", costituita da pezzi da novanta dell'imprenditoria e
della finanza partenopea, (presidente l'ingegnere Mario Origo,
ex-segretario provinciale Dc, amministratore delegato Enzo Bevilacqua,
presidente Cen - Il Mattino, consigliere l'ingegnere Marcello Rodinò,
direttore generale della Sme) dal sottosegretario Iervolino, che si prodigò
ad annullare l'"assurdo" vincolo della Sovrintendenza allo
svolgimento dei lavori, fino al Consiglio di Stato, che respinse ogni
ricorso dei proprietari degli immobili da abbattere.
Sull'interessamento del Presidente del Consiglio affinché fosse rimosso
ogni ostacolo alla elevazione dei limiti d'altezza consentiti, ha svolto
un'accurata indagine lo storico Pierluigi Totaro, autore di un prezioso
quanto misconosciuto libro: "Il potere di Lauro", una generosa
messe di elementi documentali. Egli ha sviscerato la fitta corrispondenza
intercorsa tra Segni, i ministri competenti, Lauro e gli imprenditori
napoletani.
Raffaele Cafiero diventa il suo consigliere ideologico con il compito,
oltre a scrivergli ogni discorso, di cercare di frenare la vulcanica
esuberanza del Comandante, il quale non conosce, e si compiace a
dimostrarlo ad ogni occasione, alcuna regola del galateo.
Satira politica
Gli anni del
consenso
Sono gli anni in cui
i grandi inviati dei giornali del nord scendono a frotte a Napoli,
nell'ultima "riserva indiana"del continente, per approntare
servizi scandalistici, a metà tra oleografia e meraviglia, stupore e
sbigottimento: da Pietro Ottone a Cesare Zappulli, da Alberto Consiglio ad
Alessandro Porro, a tanti altri.
Ma tutti questi severi censori, economisti e politologi, i quali si
confrontano con Napoli ed il laurismo, sottovalutano una circostanza
inoppugnabile che pure è sotto gli occhi di tutti: lo straordinario
consenso di centinaia di migliaia di napoletani che sono schierati con il
Comandante e vedono in lui il Messia sceso in terra a riscattarli da tante
angherie e tribolazioni, ma principalmente dal tradimento dei governi
centrali e dei cittadini settentrionali, ricchi ed egoisti.
La facilità con cui Lauro stravolge le regole della burocrazia, facendosi
forte della sua ricchezza, lascia strabiliati più che allibiti i
giornalisti nordici, i quali ritengono semplice pazzia la circostanza che
il sindaco, spesso e volentieri, anticipi di tasca sua stipendi e spese
correnti indilazionabili con la nonchalance che poi forse qualche
ragioniere, barcamenandosi tra i bilanci, trovi il modo per consentire al
Comune di rimborsare il suo padre-padrone.
Bollano queste generosità come pratiche da quarto mondo, possibili solo
in una città arretrata, senza regole e senza remore, senza storia e senza
futuro, non sapendo che quando gli antenati di Bossi erano da poco scesi
dagli alberi, un illuminato imperatore, Federico II, curava da Napoli la
traduzione e la diffusione in tutto l'Occidente dell'
"Almagesto" di Tolomeo, summa del sapere matematico e
astronomico dell'antichità, facendo sì che la nostra città fosse un
faro scintillante, ponte tra le civiltà.
Il non intendere lo spirito della città e l'animo dei napoletani ha
costituito un macroscopico errore, alimentato canagliescamente da una
cricca di intellettuali indigeni, i quali volevano vedere la realtà
soltanto attraverso la lente deformante di un'ottica di sinistra,
favorendo consapevolmente, in quegli anni bui, le non celate mire
espansionistiche della loro sciagurata patria ideale: l'Unione Sovietica.
Cesare Zappulli è l'unico giornalista settentrionale che sembra capire
Lauro, al quale riconosce la pazienza e l'umiltà di sapere ascoltare e
provvedere ai guai della povera gente: "Il municipio è il governo,
è lo Stato, è la Provvidenza. Il popolino, cioè l'80% di Napoli e buona
parte della borghesia, sono grati al sindaco di quello che sta facendo per
riassestare e rallegrare la città". Parole testuali dal significato
inequivocabile, che ama ripetere nei suoi servizi.
Il suo cospicuo patrimonio personale lo metteva al di sopra di ogni voce e
di qualsiasi sospetto. Egli è l'unico a sapere amministrare una città
obbligata a fare ogni giorno i conti col malcostume e la miseria, e con le
ombre inquietanti di un nostalgico neofascismo, che disprezza, ma che
assicura stabilità al suo singolare "parlamento", depositario
del suo indiscusso potere.
Alla nascita del Pmp Lauro ha 67 anni, ma si butta nell'impresa con
l'ardore di un ventenne.
Cominciò una politica di espansione ben al di fuori della "cinta
daziaria" che gli veniva tacitamente concessa, presentandosi
all'elezioni in Sicilia,dove raggranellò 60.000 voti; una prova generale
in previsione della grande spedizione che partirà da Napoli verso la
Sardegna in occasione delle Regionali del 1957.
Sono anni di grandi successi alle urne culminanti nel trionfo delle
amministrative partenopee del 1956 quando, sfiorando 300.000 preferenze,
Lauro ottenne un record da Guiness dei primati, mai più battuto da alcuno
in qualsivoglia competizione elettorale italiana.
La squillante vittoria gli procurò carta bianca da Roma e gli consentì
di agire in ogni campo liberamente per raccogliere consenso popolare.
Egli poteva infatti valutare l'entità degli imponibili di ogni cittadino,
assumere del personale (e quanto ne fu assunto!), orientare la politica
finanziaria comunale e aveva facoltà di non rispettare il piano di
sviluppo urbanistico, approntato dalle precedenti amministrazioni.
Inoltre, finalmente si sbloccarono e giunsero in città 35 miliardi
previsti dalla legge speciale del 1953.
Il tutto avveniva, non solo allegramente, ma con la smaccata complicità
di varie correnti democristiane; solo questa circostanza può spiegare
come mai la denuncia d'illegalità del senatore e consigliere comunale
democristiano Mario Riccio al Parlamento, ottenne come replica da parte
del sottosegretario agli Interni, anch'egli democristiano, l'affermazione
che Lauro non aveva commesso nessuna irregolarità. L'ostruzionismo di
Riccio veniva più volte segnalato dettagliatamente dal prefetto Diana nei
suoi periodici rapporti al ministero degli Interni sulla situazione
politica napoletana. Gli abusi più frequentemente denunciati erano, oltre
all'enorme deficit e alla singolare nomina dei vice-assessori: le
assunzioni di familiari di ex-dipendenti del Comune senza concorso, i
contributi alle sedi del Partito monarchico, l'affidamento dei lavori
pubblici a trattativa privata e le transazioni a favore di società
disastrate.
Sono anni difficili per la città di Napoli con una crescita del deficit
comunale superiore ai trenta miliardi, mentre i disoccupati sono oltre
centomila.
I turisti, come purtroppo anche oggi, non sono numerosi e spesso, dopo una
breve sosta in città, si dirigono verso le isole e la costiera.
Sorge nel nuovo quartiere Carità, frutto dello sventramento dell'antica
casbah cittadina, la malfamata Corsea, dedalo inestricabile di vicoli
senza luce e senza speranza, il primo grattacielo, sede degli uffici della
SME, mentre in tutta la città si edifica senza sosta. Nasceranno in pochi
anni settanta-ottantamila vani. Non è però ancora il periodo in cui su
via Aniello Falcone sorgerà la famigerata "muraglia
cinese"(come erroneamente si può leggere su alcuni testi anche
autorevoli) per la quale fiumi d'inchiostro saranno versati dalla stampa
piagnucolosa di sinistra. Tale "muraglia" vedrà la luce invece
durante il triennio di "reggenza"del prefetto Correra.
Saranno questi tre lunghissimi anni il
vero periodo in cui infurierà il sacco edilizio, come preciseremo più
avanti in un apposito capitolo.
S'inaugura lo stadio San Paolo a Fuorigrotta, tempio del calcio ed il
Napoli acquista Vinicio, l'indomabile "lione" a cui il
Comandante farà da padrino di matrimonio ed al quale vorrà bene,
ricambiato, come ad un figlio.
Piazza Municipio in una notte perde con un blitz i suoi lecci secolari,
tra le proteste generali, anche se la nuova prospettiva con aiuole e
fontane non è certo sgradevole. Per mitigare le lamentele il sindaco, di
tasca sua, regala alla città la "fontana del carciofo" in
piazza San Ferdinando.
A marzo del 1956 sorge un nuovo quotidiano "Napoli notte" che
andrà ad affiancarsi al "Roma".
Cambia look anche piazza Garibaldi, che arretrerà i binari, ma protruderà
verso il famoso monumento equestre con una modernissima proboscide. La
macchina elettorale si espande giorno dopo giorno a dismisura, in
previsione delle elezioni comunali del 1956 e la propaganda comincia ad
allargare gli orizzonti geografici del laurismo, il quale si spinge a sud
e minaccia d'invadere il nord, presentandosi con l'etichetta di movimento,
non più municipale e localistico, anche se fautore del diritto dei
meridionali ad una vita migliore e ciò, nonostante le smentite del
Comandante, che dichiara solennemente di non avere nessuna intenzione di
dar vita ad un "partito meridionale" portatore di rivendicazioni
separatiste.
E' il periodo in cui verranno coniati gli slogan più originali, rimasti
nella memoria dei napoletani più anziani, da "Torneranno i tempi
belli se votate Limoncelli", il dinamico assessore, padre delle
fantasmagoriche piedigrotte dell'epoca, emule paritarie dei carnevali
brasiliani, in quanto a foga di popolo e voglia di trasgredire, tra balli
e canti, tripudio e mani morte a volontà, le regole quotidiane; oppure le
note di un disco che ripeteva senza sosta ai piedi di una gigantesca
statua di Pulcinella: "Attenzione, battaglione, è uscito pazzo 'o
padrone".
Nell'imminenza delle elezioni cominciarono a circolare voci su Lauro
"candidato segreto" della Dc, mentre la stampa più volte
riferiva d'incontri riservati. Soltanto a campagna elettorale conclamata i
democristiani improntarono una linea di pacata polemica con
l'amministrazione comunale.
Il Comandante aveva dato luogo ad un ben individuabile blocco
"urbano-edilizio", che utilizzò anche in campo elettorale,
affidando numerose candidature proprio ai titolari delle maggiori imprese
impegnate nei lavori pubblici.
Dopo la "lista dei padroni del mare" del 1952, capeggiata da
armatori, quella del 1956 fu ben più terrestre, con punte di diamante...
come i costruttori Mario Ottieri e Gennaro Tucci, utilizzati come
arieti...
Uno studioso, Alessandro Dal Piaz, autore di una pregevole analisi su
quaranta anni di urbanistica a Napoli, evidenziò la strana alleanza
"populista" che venne a formarsi in quegli anni tra i ceti
produttivi e le categorie impiegatizie tradizionali; tra imprenditori,
speculatori e commercianti. Tutti d'accordo nel ritenere la casa il bene
rifugio per eccellenza, simbolo di un nuovo agognato benessere.
Sono categorie che avevano individuato nello sviluppo del settore edilizio
l'unico rimedio alla chiusura delle fabbriche ed al restringersi delle
prospettive di sviluppo dell'area napoletana.
Questa linea di condotta fu ritenuta lecita anche da ampie frange di
comunisti in buona fede, sbigottiti di fronte alle dimensioni assunte in
pochi anni dal "fenomeno Lauro", che offriva alla borghesia
napoletana la prospettiva di uno sviluppo capitalistico ed affaristico,
modesto ma tangibile, alimentato dal "petrolio nostrano"
dell'espansione edilizia.
Un progetto di sviluppo presentato agli elettori, i quali, sordi alle
sirene dei moralisti, lo premiarono in maniera plebiscitaria , come unico
rimedio capace di rompere con l'immobilismo del passato.
Utile alla propaganda anche la benevola accondiscendenza del Papa, che non
pone alcun veto al voto monarchico, lasciando senza argomenti un manipolo
di preti, sfrontati propagandisti dello scudo crociato.
Piazza Plebiscito, allestita con un gigantesco palco, diventa il teatro di
un comizio oceanico, nel quale, davanti a circa trecentomila napoletani,
Lauro, con le lacrime agli occhi, può esclamare: "Consacro gli anni
che mi restano alla causa di questa nostra Napoli".
I seggi scrutinati decretano un successo senza precedenti: 276.000
preferenze al capolista.
I monarchici ottengono la maggioranza assoluta con il 51,7% dei voti e 44
seggi, mentre la Democrazia cristiana esce massacrata con il 16%, superata
anche dai comunisti che raccolgono il 19%.
Nonostante il trionfo, Lauro si mostra generoso ed invita la Dc a
partecipare alla formazione della giunta, ma gli umori sono cambiati ed il
vento nel partito scudo crociato ha cominciato a soffiare verso sinistra,
per cui vi è uno sdegnoso rifiuto: "In rispetto al metodo
democratico teniamo ad assumere la posizione affidataci dall'elettorato,
cioè quello di minoranza".
Il 23 giugno 1956 Lauro succede a sé stesso, pronunciando il nuovo
"discorso della corona", nel quale auspica per Napoli una nuova
legge speciale e promette che saranno avviati imponenti lavori pubblici e
di edilizia privata per un totale di duecentomila vani, che daranno
sollievo al dramma della disoccupazione.
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