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Achille Lauro SUPERSTAR

1953, la "legge truffa"

 

Nel dicembre del 1952 era cominciato a Montecitorio il dibattito per l'approvazione di una nuova legge elettorale, quella che, varata l'anno successivo, verrà ironicamente battezzata dalle sinistre "legge truffa".
Essa, proposta da De Gasperi, prevedeva uno stravolgimento del sistema proporzionale, con l'assegnazione di un cospicuo premio di maggioranza al gruppo di liste che, apparentate tra loro, avesse ottenuto anche un solo voto più del 50%.
Il progetto, ispirato ad una legge simile in vigore in Francia, ove aveva provocato il tracollo delle sinistre, serviva a dare ossigeno alla coalizione centrista (democristiani, repubblicani, liberali, socialdemocratici) che nelle ultime consultazioni aveva perso molti milioni di preferenze.
Il premio di maggioranza consiste in un plus di circa 80 parlamentari e questa eventualità avrebbe evitato ai futuri governi la necessità di chiedere il sostegno dei monarchici. Lauro intuisce il pericolo di una legge così sfacciatamente liberticida e si butta nella competizione elettorale con grande impegno economico, promuovendo una gigantesca macchina da guerra elettorale, tappezzando ogni sperduto villaggio di manifesti e facendo credere al popolino che, in caso di vittoria, sarebbe tornato il Re.
Alla fine i voti monarchici saliranno da poco più di 700.000 a quasi due milioni ed i seggi a Montecitorio da 14 a 40.
La legge truffa non scatta grazie a lui ed all'imprevista e abnorme crescita del suo partito monarchico.
La Democrazia cristiana perde in entrambe le Camere la maggioranza assoluta, attestandosi, con i voti degli alleati, al 49,8 %.
Il successo di Lauro rappresenta un grande favore reso anche alle sinistre e gli permette di assumere in Parlamento una posizione di grande importanza. Egli può infatti condizionare da destra la Democrazia cristiana, proprio ora che sta per chiudersi l'era di De Gasperi e le nuove generazioni, con in testa Fanfani, preparano la difficile svolta verso sinistra, che, ironia della sorte, emetterà i primi vagiti proprio a Napoli in quel famoso convegno, tenutosi al San Carlo e ricordato come la "rivolta dei giovani turchi".
Senza premio di maggioranza lo statista trentino, per formare il suo ottavo governo, ha bisogno di un miracolo di equilibrismo, cercando alleanze o quanto meno compiacenti astensioni.
Si rivolge perciò ai monarchici, ai quali in Parlamento indirizza uno strano discorso alla ricerca dell'astensione: "Noi non ci conosciamo, ci siamo scontrati nella battaglia elettorale... non sarebbe meglio prendere tempo per fare la nostra conoscenza"?
Nel Partito monarchico convivevano con difficoltà due opposti indirizzi: da un lato Covelli, segretario nazionale, era più esigente, mentre Lauro, presidente, era più flessibile.
Prevalse la linea della intransigenza (poteva De Gasperi non conoscere i monarchici?!) ed il governo non ottenne la fiducia: 283 no, 263 si, 37 astensioni.
Lauro s'infuriò per aver perso l'occasione di salvare per la seconda volta il governo, dopo l'impresa del 1947, perdendo così i favori che gli erano stati promessi, ma soprattutto per aver tradito la fiducia dei tanti elettori che l'avevano votato.
La fiducia fu viceversa concessa al successivo presidente Pella, il quale costituì un governo ponte della durata di soli cinque mesi, con la cui caduta si chiuderà l'esperienza del centrismo e si prepara l'era Fanfani, al quale Covelli offre il suo appoggio a prezzo di svendita, ma è troppo tardi. Oramai il vento soffia verso oriente e sono proprio le sinistre che si attiveranno in Parlamento per fare applicare la legge d'incompatibilità, facendo dichiarare decaduto Lauro da senatore.

Festa di Piedigrotta

 

Covelli rappresenta un ostacolo per Lauro che vuole la massima libertà di manovra, per cui, egli, seguito dagli amici più potenti e fedeli: Cafiero, Fiorentino e Grimaldi, abbandona il partito per fondarne uno nuovo: il Partito monarchico popolare (Pmp) nel cui simbolo i leoni sostituiranno la stella nel reggere la corona della monarchia.
La scissione del Partito monarchico fu interpretata dalla stampa di opposizione come fenomeno di disgregazione della destra italiana in generale e come preannuncio di immediata liquidazione del laurismo; viceversa il Comandante serrò i ranghi della maggioranza, dopo essersi liberato dell'impaccio dei covelliani irriducibili, che pubblicamente disprezzava, ritenendo di poterli tranquillamente acquistare per una mangiata di fave: "Sì va bene, saranno nove o dieci consiglieri che resteranno con Covelli, ma in fondo voi non dovete prenderli troppo sul serio. Basta che io me li chiami, che prometta un mercato ittico, un assessorato alla nettezza urbana e tutto finisce."Lentamente dopo varie trattative private...il numero dei consiglieri fedeli a Covelli si ridusse a sette: Boccalatte, Buglione, Calvosa, Coppa, D'Avanzo, Grilli e Sacchi.
Covelli è infuriato, ma nello stesso tempo soddisfatto: "finalmente è tramontato il pericolo di veder sostituito alla stella e corona l'emblema della flotta Lauro".
Purtroppo ci sarà poco da stare allegri, perché Lauro farà apporre il catenaccio a quasi tutte le sedi del partito, che erano di sua proprietà e che in breve diventeranno le sedi del nuovo movimento. 
Nel frattempo negli ultimi mesi del '53 furono assegnati i primi lotti di lavori per la realizzazione del nuovo rione Carità, con il criterio della licitazione privata, che consentì di affidare gli appalti più consistenti ad imprese dell'entourage laurino. E mentre le testate locali lodavano "la metropoli moderna che si fa strada coraggiosamente" (Corriere di Napoli, 11 novembre 1953), il prefetto Diana si espresse chiaramente contro le proteste dei vecchi proprietari, in difesa dei quali intervenne addirittura lo stesso Luigi Sturzo.
L'impegno di Lauro di adoperare per i lavori, resi possibili dai fondi della legge speciale, unicamente professionisti, tecnici e maestranze napoletane, aumentò di molto il consenso verso la sua carica di sindaco. Egli inoltre si attivò per trovare una soluzione alle numerose vertenze sindacali che si erano accese nell'area napoletana, producendo centinaia di nuovi disoccupati. Tra le principali: lo sciopero degli operai dell'Ilva e della Navalmeccanica, ove il suo fattivo interessamento ebbe un pubblico riconoscimento da parte del comunista Bertoli, che chiese un voto plebiscitario del consiglio comunale a sostegno della proficua iniziativa della giunta.
Il Comandante si dimostrava ogni giorno di più un vero e proprio "imprenditore politico" in grado di saltare i partiti e di velocizzare ogni procedura burocratica. Un self made man garante sia degli interventi straordinari che dell'ordinaria amministrazione, gestita a volte con metodi poco ortodossi, come la presenza, autorizzata più che tollerata, tra i corridoi di palazzo San Giacomo, di personaggi non identificati installati a volte in piccole stanze dotate però di telefoni e macchine da scrivere, impegnati affannosamente a sbrigare le più svariate pratiche, tra le quali, più gettonata, la cancellazione di contravvenzioni stradali.
Al di fuori dei confini cittadini una "convergenza parallela" tra monarchici e democristiani consentì di spezzare la storica egemonia delle forze di sinistra in importanti comuni come Battipaglia e Castellammare di Stabia, dando luogo a quella sinergia d'intenti auspicata in alto loco già dai tempi dell'operazione Sturzo.

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