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Achille Lauro SUPERSTAR

Elezioni amministrative del 1952

 

Le elezioni comunali a Napoli nella primavera del 1952 videro Lauro comparire in prima persona nell'agone.
A livello nazionale lo stesso pontefice Pio XII, attraverso il segretario della democrazia cristiana Gonella, aveva chiesto di contattare monarchici e missini per favorire la presentazione di liste civiche in funzione anticomunista. Sono i giorni delle famose liste approntate in tutta Italia, circoscrizione per circoscrizione, dal gemellologo Gedda, potentissimo capo dell'Azione cattolica.
Il Papa era particolarmente angustiato per la vitalità dei comunisti e manifestò la sua preoccupazione a De Gasperi, il quale, sconsolato, dichiarò che i mezzi finanziari a disposizione erano straordinariamente, quanto stranamente cospicui.
Soltanto oggi sappiamo, grazie alle rivelazioni del "Rapporto Mitrokin", che un fiume di soldi giungeva costantemente ai partiti di sinistra dall'Unione sovietica; flusso ininterrotto che durerà decenni e si fermerà solo con la caduta del muro di Berlino ed il disfacimento del "Gigante dai piedi di argilla".
Gonella incontrò Lauro nel mistico ambiente del santuario di Pompei, ove gli manifestò anche l'opportunità di una chiara delimitazione verso la destra fascista, ma a Napoli ciò non fu possibile e fu varata un'alleanza tra partito monarchico e movimento sociale italiano.
Nella nostra città lo scontro si profilava molto combattuto, anche perché era chiaro come il governo intendesse utilizzare lo strumento finanziario della legge speciale, la quale prevedeva 120 miliardi per Napoli, in chiave di propaganda elettorale.
Lauro dopo essere stato a lungo alleato nella giunta Moscati si presentava ora come avversario, e che avversario!
Napoli ha decine di migliaia di senzatetto e la ricostruzione del patrimonio edilizio distrutto dalla guerra si presenta come un affare da migliaia di miliardi.
Lauro arringa la folla nei suoi comizi, promettendo che Napoli diventerà un gigantesco cantiere, dando lavoro a moltissimi disoccupati, trasformandosi in pochi anni in un paradiso turistico: la vera perla del Mediterraneo.
La sua propaganda è capillare, quartiere per quartiere i suoi galoppini bussano ad ogni basso distribuendo pacchi dono, derrate alimentari e le leggendarie banconote tagliate a metà, oltre alle non meno mitiche scarpe spaiate.
Al suo fianco un sotto proletariato da terzo mondo a braccetto con una borghesia che intravede buoni affari, con la benedizione della stessa Chiesa, che, attraverso il cardinale Ascalesi, in trono per 28 anni, aveva creato un clima di simpatia per la destra e di ostentata ostilità verso la sinistra. Memorabili le folcloristiche e interminabili processioni con l'effige della Madonna di Pompei per le strade e i vicoli della città in occasione delle consultazioni politiche. Inoltre in piena campagna elettorale i vescovi danno ai fedeli chiare indicazioni su quali forze politiche far convergere il voto: "I fedeli sono gravemente tenuti a dare il loro voto solamente a liste o a candidati che offrano sufficienti garanzie di rispettare la Religione e la morale cattolica tanto nella vita pubblica che in quella privata, e nella educazione della gioventù" (Bollettino ecclesiastico dell'Archidiocesi di Napoli, maggio 1952).
Le elezioni si svolgono con il sistema degli "apparentamenti", un maggioritario ante litteram, il quale assegna i due terzi dei seggi al gruppo di liste che prenderà la maggioranza.
I risultati sono un trionfo per Lauro: 117.000 preferenze, nello stesso tempo la coalizione di destra, con 208.000 voti, conquista 53 seggi, contro i 15 della Dc e i 12 della sinistra.
Il 7 luglio con 50 voti su 73 consiglieri presenti in aula Lauro viene eletto sindaco e tiene il suo discorso della Corona, elegantissimo col suo doppio petto blu e la punta del fazzoletto che fuoriesce dal taschino.Egli entra a pieno nel personaggio di padrone della città e dichiara solennemente che costruirà tantissime case (promessa mantenuta fin troppo).
Agli amici più intimi confessa: "Rimarrò sindaco tre mesi poi torno alla flotta, il tempo di fare approvare la legge speciale".
Il regno di Lauro durò viceversa molto di più.
Infatti, pur con alcune interruzioni imposte dal governo centrale, contrassegnerà la vita e l'amministrazione della città per oltre un decennio. Per la precisione rimarrà sovrano a palazzo San Giacomo per 2375 giorni, più di Antonio Bassolino (2362), ma meno di Maurizio Valenzi (2879).
La città venne lasciata al "liberismo" più sfrenato dell'imprenditoria edilizia, anche perché il 2 ottobre il consiglio comunale non ratificò il piano regolatore lasciando, in attesa di una nuova normativa, il campo alla più ampia deregulation.
I lavori del consiglio comunale escludono qualsiasi contributo sulle delibere da parte delle opposizioni; infatti ogni accenno di discussione viene smorzato, spesso togliendo materialmente la parola ai relatori o chiudendo frettolosamente la seduta. Mentre ogni emendamento, anche il più innocente, che venisse proposto dalle altre forze politiche, viene solennemente bocciato con la forza della maggioranza.

Proclamazione di Achille Lauro a sindaco nel 1952


Si blatera, oltre all'edilizia, di turismo e di Napoli "vetrina del Mediterraneo", ma la città purtroppo presenta condizioni di degrado e di invivibilità massime, per cui la vocazione resta una pia illusione.
Sono gli anni in cui gli intellettuali napoletani si coagulano intorno ad alcune testate di dissenso, come "Nord e sud", fondata dall'illuminato meridionalista, tra l'altro barone, Francesco Compagna o "Cronache meridionali" alimentata dalla foga polemica di Chiaromonte e Napolitano. Queste riviste diventano l'avvocato del diavolo del Comandante, il quale domina tre grandi centri di potere: la flotta, il Comune e la squadra del Napoli, della quale è ritornato, alla grande, presidente.
Alcune oleografiche descrizioni da parte di giornalisti del nord sono degne di essere ricordate, perché forniscono un'immagine della città, e particolarmente del laurismo, che i più non hanno conosciuto personalmente. Diamo perciò la parola a Piero Ottone che ci descrive così il cuore della flotta: 
"Il palazzo Lauro è di aspetto moderno ma, quando vi misi piede credetti di essere entrato nel castello di don Rodrigo. Nei corridoi, nelle anticamere c'è un continuo via-vai di uomini di ogni specie, di energumeni in maglietta e di guappi impomatati, d'individui che offrono i loro servizi e di poveracci che chiedono favori, come immagino che accadesse un tempo nei palazzotti feudali. I più capitano senza appuntamento, scrivono il nome su un bigliettino e si affidano alla sorte. Gli uscieri sorvegliano la folla, torvi e aitanti come i "bravi" del Griso".
Al grido di "Il Comandante è ricco non ha bisogno di rubare ", che la folla ripete senza sosta, la giunta si concentra sulle opere pubbliche e sull'edilizia privata, mentre tutte le aziende municipalizzate, oltre allo stesso Comune, dilatano a dismisura gli organici, non solo per fare opera di bieco clientelismo, ma principalmente per far fronte al drammatico flagello della disoccupazione.
Inoltre aumentano a dismisura le concessioni di suolo comunale per piccole attività: chioschi di acquafrescai spuntano come funghi, mentre bancarelle e carrettini diventano onnipresenti.
E' il premio elargito, spesso attraverso oscure figure di mediatori, a tutti coloro che si sono impegnati durante la campagna elettorale, anche se ad usufruire di questi piccoli benefici saranno anche postulanti abili ad impetrare la "grazia" nei corridoi di palazzo San Giacomo o nelle anticamere della flotta.
Fondamentale fu anche la gestione paternalistica delle entrate tributarie comunali, resa più pungente dall'approvazione della legge Vanoni sulle finanze locali, che consentiva notevoli aumenti delle imposte comunali, sia di famiglia che di consumo.
L'amministrazione utilizzò ampiamente questa legge, che faceva carico ai cittadini del deficit comunale (all'epoca il 94% delle entrate serviva per gli stipendi dei dipendenti), dando al governo la colpa dei nuovi oneri: "Le tassazioni sono degasperiane, non napoletane".
La gestione personalizzata...di ogni singola transazione con i contribuenti unita alla discrezionalità e rapidità nella concessione delle licenze edilizie, contribuì non poco a creare quella intricata ragnatela di do ut des, che fu alla base dell'attecchimento e dello straordinario successo del laurismo.
Lauro cercò di lavorare in sintonia con il governo per il bene della città ed attraverso il ministro Scelba chiese d'incontrare il presidente del consiglio De Gasperi, al fine di perorare le improcrastinabili necessità di Napoli.
Mentre si discuteva della legge speciale, il Comandante trovò in giunta la caparbia opposizione del senatore democristiano Riccio, il quale, attraverso un emendamento, chiedeva che l'esecuzione delle opere finanziate dallo Stato fosse appannaggio della Cassa del Mezzogiorno e non del Comune.L'attesa spasmodica di questa osannata pioggia di denaro fresco limitò l'attività comunale alla gestione del piccolo cabotaggio amministrativo, relegando la stessa approvazione del bilancio alla stregua di mero documento contabile.Per la giunta si profilò la rara opportunità di uscire dalle secche di un bilancio striminzito e di evadere dalla stentata ordinarietà.Attraverso l'annuncio di un vasto programma di lavori pubblici si delineò chiaramente un coagulo di rilevanti interessi economici, favoriti dalla diffusa pratica di assegnare i lavori a licitazione privata, in un'atmosfera tutto sommato connivente, dal prefetto Diana, benevolo nei suoi periodici resoconti al ministero degli Interni, all'arcivescovo Mimmi, un presule che accoppiava ad indubbie virtù sacerdotali un prudente atteggiamento di compiacenza verso la nuova amministrazione.

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