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Achille
Lauro SUPERSTAR
La flotta risorge per la
terza volta
(i primi passi in politica)
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Finita
la seconda guerra mondiale, la flotta giaceva in fondo al mare e bisognava
farla risorgere per la terza volta. Sette navi erano semiaffondate in vari
porti italiani e bisognava recuperarle. Fu deciso che per prima si sarebbe
dovuta tirare su la "Ravello" colata a picco a La Spezia. Lauro
si reca sul posto di persona, ma gli viene consigliato di non farsi vedere
in giro, perché gli operai, tutti comunisti sfegatati, si sarebbero messi
subito in sciopero.
La nave era già affiorata, ma la pompa di aspirazione dell'acqua si era
bloccata, forse per via di uno straccio e occorreva che fosse sturata.
Lauro gridò: "Qualcuno vuole tuffarsi per liberare il tubo?".
Non avendo avuto risposta egli impassibile comincia lentamente a
spogliarsi gettando a terra giacca, camicia, pantaloni, mutande. Quando
completamente nudo stava per tuffarsi, un nerboruto operaio dalla barba
scura e dalla faccia patibolare, conquistato da tanta decisione e
coraggio, esclamò fermandolo: "Lasci stare mi tuffo io". In due
giorni la nave era recuperata; uomo di mare come loro, li aveva stregati
col suo fascino e da allora tutti gli operai, anche se comunisti, gli
portarono rispetto.
In seguito vennero recuperate tutte le altre navi affondate nei porti
italiani, alle quali si associarono due piccole portaerei americane in
disarmo, acquistate sul mercato e trasformate in due splendidi
transatlantici, la "Sidney" e la "Surriento", i quali
cominciarono a percorrere la rotta per l'Australia.
In pochi anni la flotta conterà quaranta unità per un totale di
seicentocinquantamila tonnellate di stazza, tutte navi battenti bandiera
italiana che daranno lavoro ad oltre diecimila famiglie di marinai ed
impiegati, quasi tutti napoletani.
Il segreto del successo imprenditoriale di Lauro, oltre che nell'abilità
nell'assicurarsi i noli, spesso prima dell'acquisto delle stesse navi, è,
come abbiamo visto, nella compartecipazione (suddivisa in ventiquattro
carature) alle sue attività da parte dei suoi dipendenti.
Artefice mirabile di tanti incastri societari fu a lungo il notaio
Iaccarino, che costituì all'uopo decine di società: una per ogni nave.
Lauro si presenta così più che come armatore nella veste di
accomandatario. Egli conserva sempre la maggioranza, in genere non oltre
il 75%; non fa entrare come soci, ad eccezione dei dipendenti, che poche
persone di fiducia come Fiorentino o Cafiero. Ogni decisione è presa da
lui soltanto, socio di maggioranza, al quale spettano di diritto la
rappresentanza legale e la firma di approvazione di qualsiasi atto.
All'inizio degli anni Cinquanta la sua potenza economica e finanziaria era
strabiliante, possedeva la più grossa flotta privata d'Europa ed il suo
giro d'affari sfiorava, secondo accreditate fonti, i trecento miliardi
l'anno, in coincidenza con la guerra di Corea e la crisi del petrolio
prodotta dall'esplosiva situazione in Iran, mentre altri storici
autorevoli come Barbagallo parlano più prudentemente di cinquanta
miliardi.
Per renderci conto della capacità di acquisto in quegli anni di trecento
miliardi facciamo qualche esempio. Di lì a poco il Comandante per la
squadra di calcio del Napoli comprerà dall'Atalanta il giocatore Jeppson
per la cifra record (mondiale) di centocinque milioni. Qualche anno fa
Zidane è stato ceduto dalla Juventus al Real Madrid per centosessanta
miliardi!
Se il valore dei calciatori è salito di oltre mille volte, altri prezzi
non sono stati da meno. Possiamo citare un altro paragone: all'epoca un
appartamento di lusso a Posillipo si acquistava tra i cinque e i dieci
milioni, lo stesso che oggi supera tranquillamente sul mercato i due o tre
miliardi.
Come si può facilmente constatare ci troviamo di fronte a cifre
equivalenti ad una robusta manovra finanziaria, oppure al bilancio di una
diseredata nazione del terzo mondo.
Nel dopoguerra fu giocoforza per gli armatori entrare nel gioco politico
al fine di poter fronteggiare la crisi dei noli. Bisognava ripartire e la
prima lotta fu l'accaparramento delle navi Liberty abbandonate dagli
americani, poscia l'elaborazione di tutta una serie di leggi a favore
della navigazione, dagli sgravi fiscali agli incentivi per rotte
particolari, dai contributi a fondo perduto alle esenzioni doganali.
Il primo ad entrare, e pesantemente, nell'agone fu Angelo Costa che venne
eletto nel 1945 presidente della Confindustria, dal cui pulpito lavorò
all'unisono con Alcide De Gasperi. Fassio viceversa non seppe muoversi con
pari abilità e, pur possedendo all'apogeo una flotta più
"pesante" del rivale genovese, non seppe schierarsi, concludendo
tristemente la parabola del suo impero nelle secche putide dello scandalo
Egam.
Sono gli anni che preludono al boom del miracolo economico ed in campo
armatoriale il vero affare è costituito, oltre all'aumento dei traffici,
dalle emigrazioni transoceaniche riprese in grande stile, soprattutto
verso l'Australia. Sono esodi biblici che vedono il porto di Napoli
protagonista e lo Stato generoso nel sostenerli attraverso sovvenzioni di
ogni tipo, che trasformeranno ciascun viaggio in un cospicuo affare per
gli armatori. Sono decine di migliaia di disperati mandati spesso allo
sbaraglio, molti dei quali torneranno delusi in patria, affollando, per la
gioia degli armatori, le navi negriere anche nel viaggio di ritorno.
E' questo il pabulum economico e sociale nel quale Lauro entra con la
forza del suo impero economico, quando decide di dedicarsi alla politica.
Egli aveva già tentato degli approcci verso la democrazia cristiana, alla
quale aveva offerto sostanziosi mezzi, ricevendone una sdegnosa risposta:
"Venga in sede e faccia domanda d'iscrizione".
Gli stessi comunisti, cautamente contattati, si erano tenuti alla larga,
per i suoi mai cancellati trascorsi fascisti.
Guglielmo Giannini
Fu perciò una scelta obbligata indirizzarsi verso un allora battagliero
partito, da poco fondato, "L'uomo qualunque", creatura di
Guglielmo Giannini, un giornalista dall'oratoria ciceroniana e dalle acute
osservazioni, troppo presto scomparso dalla scena e completamente
dimenticato e "rimosso" dagli storici e sul quale è opportuno
soffermarsi, anche se brevemente, in attesa che qualche studioso onesto lo
riproponga all'attenzione del pubblico, facendolo riemergere dall'oblio in
cui è precipitato.
Egli fu l'unico, nei dolorosi anni del dopoguerra, a denunciare il clima
di caccia alle streghe che la nuova classe dirigente aveva lanciato,
aprendo la penosa stagione della guerra civile con liste di proscrizione,
epurazioni, messe al bando.
Il suo torrente oratorio ed il caustico piombo dei suoi articoli gli
procurarono un imprevisto successo elettorale, che fu però mal gestito,
perché egli s'inimicò quel numeroso gruppo di tiepidi ex-fascisti, che
avevano servito lealmente il Paese più che il Regime e che si sentirono
traditi dai suoi ammiccamenti a sinistra, coraggiosi per il tempo, quanto
temerari e viziati da inutile protagonismo.
Ma la vera causa del tracollo è da ricercarsi nella difficile transizione
dalla fase della protesta a quella della proposta. E' infatti facile dire
no ad affaristi senza scrupoli, a fautori dello statalismo più cieco, a
fomentatori dell'odio; ben più difficile affrontare un serio e fattibile
programma per uno Stato, sempre più imbrigliato da un pletorico apparato
tecnico e amministrativo.
Nelle sue confessioni Lauro ricorda con commozione di aver letto più
volte, nel periodo trascorso in campo di concentramento, gli articoli
appassionati di Giannini pubblicati sul suo giornale "Il
Buonsenso", pregni di speranza e di ansia di riscatto.
S'iscrisse al partito, che nel frattempo all'elezione del 1947 ottenne
oltre il 5% dei suffragi e 33 deputati, venendo a costituire un delicato
ago della bilancia della situazione politica.
De Gasperi, da poco tornato dal suo viaggio negli Stati Uniti, aveva
scaricato dal governo socialisti e comunisti, condizione indispensabile
affinchè l'Italia potesse essere beneficiaria dei sostanziosi aiuti
previsti dal Piano Marshall.
De Gasperi, avendo rotto con i partiti di sinistra, deve disperatamente
cercare appoggio nei partiti di destra, che diventeranno arbitri della
situazione.
Il partito de "L'uomo qualunque" acquista un momentaneo peso del
tutto spropositato rispetto alla sua reale consistenza. Giannini, la sua
anima pugnandi, si sente onnipotente e, dopo una campagna elettorale
improntata all'anticomunismo viscerale, lancia segnali in codice a
Togliatti, il quale non si dimostra del tutto insensibile.
Riportiamo
integralmente alcuni passi di un suo discorso al congresso nazionale del
partito tenutosi nel 1947, anche per fornire un saggio della sua arte
oratoria:
"Se il comunismo è elevazione degli umili, abolizione della povertà,
benessere per tutti, Cristo era comunista, San Francesco era comunista, io
sono comunista. Disgraziatamente il partito comunista italiano si rivela
sempre più come movimento nazionalista straniero. Trovi modo di liberarsi
dalle catene che lo avvincono a mentalità e poteri che sono fuori dai
confini d'Italia e troverà in noi dei fratelli che lo aiuteranno a
compiere la sua nobile missione sociale ".
Una sbalorditiva lettura profetica che troverà puntuale riscontro nella
storia politica italiana dei successivi cinquant'anni e che in parte deve
ancora completamente verificarsi.
Da poco (11 gennaio 1947) a palazzo Barberini i socialisti si sono scissi,
e Saragat, fondando il partito socialdemocratico, ha abbandonato Nenni e
si prepara ad andare al governo, come avviene anche per i repubblicani.
Nelle more, il doppio gioco di Giannini, che anela alla presidenza del
consiglio, con la democrazia cristiana o con i comunisti poco importa, si
rivela sempre più spericolato.
Bisogna fermarlo. Il segretario della Dc Piccioni, con la benedizione di
Costa, si reca da Lauro e lo prega di intercedere da concittadino con
Giannini. E' la grande occasione del Comandante che nelle pagine della sua
autobiografia ci svela ogni dettaglio della sporca operazione.
Lauro si reca a casa del battagliero giornalista-politico, degente a letto
da alcuni giorni per una fistola anale, che gli produce dolori
intensissimi tali da renderlo irrequieto e poco incline al dialogo. Non fa
che ripetere in maniera ossessiva: "Debbo dare un colpo in testa alla
Democrazia cristiana e lo darò!"
Non c'è spazio per alcuna trattativa, non resta che convincere
singolarmente i deputati del partito a tradire. A tale scopo Lauro li
convoca tutti ad una riunione segreta in una sala dell'albergo Moderno di
Roma e lì, con lusinghe mielose e velate minacce, riesce a convincerli in
massa, assicurando loro la rielezione alle prossime consultazioni in un
nuovo partito, che egli s'impegna solennemente a fondare e a finanziare.
Il 5 ottobre 1947 la mozione di sfiducia al governo De Gasperi viene
respinta con 270 voti contro 236, grazie unicamente ai 33 voti dei
qualunquisti e dello stesso De Gasperi.
E' il trionfo di Lauro e il tracollo di Giannini, che infuriato verrà
messo in disparte a tacere. I suoi giornali cesseranno le pubblicazioni
dopo pochi giorni, perché vengono tagliati i fondi e, inquietante calerà
il silenzio.
Lauro eredita il suo elettorato, quasi tutto meridionale, e sposta a
destra anche notevoli frange di sottoproletariato, che vengono così
sottratte alle ammalianti sirene della sinistra.
"Rifiutato dai partiti storici, egli aveva messo le mani sul
cosiddetto"partito dei senza partito" e cioè su un'area di
opinione ancora allo stato gassoso e magmatico, anarcoide e monarcoide,
ignorante e misoneista, superstiziosa e mangiapreti, postfascista senza
mai essere stata neppure fascista" (Zullino).
Una massa di voti per appoggiare il governo a Roma in cambio del nihil
obstat nell'amministrazione della città.
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