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Achille
Lauro SUPERSTAR
Il crack della flotta
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A tarallucci e vino si è conclusa dopo decenni la
intricata vicenda della flotta Lauro: tutti assolti gli imputati con la
formula "perché il fatto non sussiste". Questo il giudizio
definitivo emesso pochi mesi fa dai giudici della seconda sezione penale
della Corte di appello di Napoli.
Ma cominciamo dal principio e cerchiamo di rievocare i passaggi più
significativi di questa storia all'italiana, che ha gravemente danneggiato
Napoli e i napoletani nella indifferenza generale.
Le superpetroliere "Volere" e "Coraggio" furono
realizzate con il finanziamento dell'Imi all'epoca della crisi di Suez e
vennero varate nel 1976. Dopo un breve periodo la caduta mondiale dei noli
marittimi mise in difficoltà la flotta Lauro che cominciò a trovarsi
accerchiata da creditori famelici, ciò nonostante nel 1981 si presentò
l'occasione di vendere le due superpetroliere assieme alle due motonavi
"Emanuela"e "Sant'Agata" per la convenientissima cifra
di 55 miliardi. Il 16 novembre dello stesso anno presso la sede dell'Imi
avviene un incontro con il direttore generale Saracini, al quale viene
proposto di incamerare dalla vendita 25 miliardi, di darne una quota molto
più modesta alla Italcantieri e di riservarne 20 per la gestione della
flotta. Il direttore Saracini oppone un netto rifiuto e facendosi forte
della ipoteca vorrebbe per sé l'intera cifra. Viene allora proposto di
spostare parte dell'ipoteca sul resto della flotta, che all'epoca aveva un
valore superiore a 110 miliardi e poteva costituire una sufficiente
garanzia. Venne anche fatto presente che senza pagare i fornitori si
sarebbe paralizzato tutto e si sarebbe giunti in tempi brevi al crack, un
ammasso di rottami ferrosi da vendere a peso ricavandone quattro soldi.
Quel no reiterato da Saracini fino alla fine affondò la flotta.
Anche l'Italcantieri accelerò l'apocalisse facendo partire numerose
richieste di sequestro; in poche settimane le banche ritirarono i fidi e
per la flotta, ma soprattutto per Napoli che da poco aveva subito il
rovinoso sisma del 23 novembre 1980, fu la catastrofe.
La riunione con gli istituti di credito verso i quali la flotta era
esposta finanziariamente respinse addirittura la proposta di accettare
come garanzia tutto il patrimonio immobiliare della famiglia Lauro.
Vennero a mancare le coperture politiche e questo delittuoso comportamento
troncò lo stipendio di duemila famiglie.
Fu organizzata all'Eur una riunione plenaria tra tutti i creditori, le
banche ed i politici, con in testa il ministro della Marina mercantile; in
quella occasione il carisma di Achille Lauro ebbe tributato l'ultimo
beffardo omaggio: tutti indistintamente scattarono in piedi all'ingresso
in sala del barcollante vegliardo, al quale fu però negato anche l'ultimo
misero prestito di cento milioni per la beneficenza ai poveri in occasione
del Natale, una consuetudine a cui l'ex sindaco di Napoli era abituato da
oltre 50 anni. Ed infatti l'assegno di cento milioni fu il primo ad essere
protestato e la flotta Lauro cadde sotto l'amministrazione controllata
della legge Prodi, che prevedeva il salvataggio di grosse aziende in
difficoltà attraverso l'opera di un commissario, il quale congela tutti i
debiti di cui si fa garante lo Stato. Ma la legge Prodi purtroppo mal si
confaceva ad un'attività internazionale come quella svolta dalla flotta
Lauro, la quale in breve tempo fu infatti aggredita dai creditori
stranieri, quando questi attivarono all'estero vari sequestri.
Ercole Lauro, il figlio di Achille, che aveva cercato di salvare il
salvabile fu costretto alle dimissioni, anche se quando aveva lanciato i
primi S.O.S. sul piano patrimoniale la flotta aveva un attivo sui debiti
di alcune decine di miliardi e l'unico problema era la mancanza di
liquidità. L'assurdo fu che su di un fatturato di 200 miliardi all'anno
ne mancarono solo 18 per il salvataggio.
La motonave: "Achille
Lauro", l'ammiraglia della flotta
Nel febbraio 1982 giunse da Genova il
primo commissario, Carlo Alhadeff, persona competente ed onesta, la quale
resistette quattro mesi. Infatti il deficit in breve tempo, con molte navi
ferme, salì di decine di miliardi, il commissario cercò di tacitare i
creditori esteri con un pugno di denaro e riuscì a far ripartire molte
navi sequestrate, grazie anche agli equipaggi che rinunciarono ai loro
stipendi.
I colpevoli dei mancati pagamenti vanno ricercati con pari colpa tra i
dirigenti dell'Imi e del pool di banche creditrici (Banca nazionale del
lavoro, Banco di Napoli e Banco di Roma) ed i ministri Marcora, Andreatta
e Mannino . Negli uffici del commissario cominciò una pioggia di telex
che divennero giorno dopo giorno disperati S.O.S.
Le navi, da carico e da crociera si fermarono una dopo l'altra.
Il 27 maggio giunse, fuori tempo massimo, dal Cipi una erogazione di
tredici miliardi, il 16 giugno Alhadeff getta la spugna congedandosi
malinconicamente dai dipendenti della flotta, che si vedono avviati al
massacro tra l'indifferenza del governo, che costringeva ad andare via un
tecnico per una gestione politica... della vicenda.
L'avvocato pisano Giuseppe Batini fu il nuovo commissario, il quale
candidamente confessò ai dipendenti:"Non sono del mestiere, non ne
capisco niente". Finalmente l'uomo giusto al posto giusto!
Dopo altre dichiarazioni allarmiste,che, scatenando il panico, resero vano
ogni ulteriore tentativo di salvataggio, il Batini tentò di cedere
all'armatore sorrentino Mariano Pane i soli diritti di linea, una risorsa
preziosa ma virtuale, senza il fardello delle navi e dei dipendenti.
I diritti di linea si conquistano negli anni percorrendo una determinata
rotta e costituivano la punta di diamante della flotta Lauro, alla quale
solo nel 1981, anno del crack, fruttarono 75 miliardi. L'armatore Pane
cercò di utilizzarli, noleggiando navi straniere e scrivendoci
"Lauro Lines", ma fu boicottato all'estero da tutti per il
mancato rispetto delle regole internazionali.
Dopo oltre un anno sprecato e quando cominciarono a fioccare le prime
denunce Batini si dimise ed il nuovo commissario fu il non ancora
trentenne Flavio De Luca, figlio d'arte, infatti il padre Willy era il
potente ex direttore della Rai.
Cominciarono a susseguirsi offerte sempre più basse da parte di società
nascoste sotto le sigle più varie, suffragate da perizie di comodo,
secondo le quali il vastissimo patrimonio immobiliare di Lauro valeva ogni
anno sempre di meno, sino a precipitare a soli 26 miliardi.
Indagini di commissioni parlamentari, denunce alla magistratura ed
inchieste giornalistiche s'intrecciarono in un coacervo inestricabile dal
quale affioravano ogni tanto i nomi di noti faccendieri adusi ad
un'assidua frequentazione delle patrie galere.
La (s)vendita alla "Star Lauro" fu ratificata dal ministro
repubblicano Adolfo Battaglia; dietro la sigla della società gli
imprenditori Salvatore Pianura ed Eugenio Buontempo.
La magistratura indagò sulla strana operazione finanziaria ed in primo
grado condannò per interesse privato a nove anni di reclusione il
commissario De Luca e a quattro anni i due acquirenti. Furono inoltre
condannati, quali complici del De Luca, a varie pene detentive Fausto
Vignali, dirigente della flotta Lauro e Bruno Quiriconi, dirigente di
un'agenzia di crociere. Ed infine condannati anche i due broker Aldo e
Vincenzo Frulio.
Venne scoperto dalle indagini della magistratura che il commissario
tacitava i debiti esteri e rivendeva a prezzi stracciati le navi
dissequestrate, le quali a loro volta venivano subito rivendute sul
mercato a prezzi quattro o cinque volte superiori, come nel caso della
superpetroliera "Volere" che, svenduta per meno di due milioni
di dollari, fu immediatamente piazzata ad oltre nove milioni di dollari.
Il processo si conclude il 26 maggio del 1992; dopo solo dieci anni, data
la proverbiale celerità della giustizia italiana, la sentenza di secondo
grado, di pochi mesi fa, assolve in blocco tutti gli imputati, residuando
al solo commissario una pena, col beneficio della condizionale, inferiore
ai due anni, prosciogliendolo però dalle accuse più gravi e ritenendolo
unicamente responsabile della maldestra cessione del quotidiano
"Roma", all'epoca di proprietà della flotta.
Dopo la pronuncia della magistratura penale sulla gestione scriteriata
della affaire Lauro, è in corso ancora un'istruttoria da parte della
Corte dei Conti, la quale si è interessata della svendita di beni e
dell'inerzia nel recupero dei crediti della flotta, che beneficiò di
notevoli finanziamenti pubblici diretti ed indiretti.
A tale proposito, come pubblicato da tutti i giornali il 3 febbraio 2003,
il procuratore Martucci di Scarfizzi scrive testualmente nella sua
relazione: " La citazione riguarda il commissario liquidatore in
carica e il direttore generale della flotta Lauro per un importo di quasi
cinque milioni di euro".
E per concludere, tradotto dal vernacolo, ad uso di leghisti e affini:
"Chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto, scordiamoci del passato,
siamo di Napoli paisà".
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