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Achille Lauro SUPERSTAR

La seconda morte di Achille Lauro

 

La figura di Achille Lauro, armatore tra i più famosi del mondo, felice connubio tra un bucaniere levantino ed un rampante capitano d'industria, uomo politico insigne quanto vituperato, a lungo, come abbiamo visto, sindaco plebiscitario di Napoli ed antesignano di un meridionalismo intriso di rabbia impotente e di ansia di riscatto, attende da tempo una serena rivisitazione del suo percorso, dopo essere stato a lungo, come abbiamo documentato bersaglio privilegiato dei politologi e degli storici di sinistra.
Noi parleremo della sua morte, ma principalmente della sua seconda morte, perché questo significò la dispersione sistematica e la distruzione della sua gloriosa flotta, che per decenni aveva solcato trionfante ed orgogliosa i sette mari e rappresentava ancora, nonostante le superabili difficoltà economiche, un cospicuo patrimonio, italiano e precipuamente napoletano, non solo materiale, ma di immagine positiva, un prezioso biglietto da visita della serietà del nostro lavoro e del rispetto puntuale degli impegni assunti.
E tutto si dissolse con grave ed irreparabile danno per tutti, creditori compresi che videro volatilizzarsi i loro soldi altrimenti recuperabilissimi, grazie ad una pattuglia di politici corrotti, di armatori bramosi e di finanzieri d'assalto, ansiosi di ghermire l'appetitosa preda con la loro bocca famelica a tal punto da far invidia ad un topo digiuno da giorni che si avventa con avidità su di una fetta di formaggio.
Il primo lavoro di dissolvimento, quello più sporco, fu compiuto dai politici dell'epoca, quelli che vedevamo sgomitare quasi quotidianamente per occupare le prime file dei cortei di protesta degli operai dell'Italsider, i famosi caschi gialli, poco più di tremila, ma appetibili, perché costituivano il fiore all'occhiello della classe operaia napoletana, mentre i duemila dipendenti, con le loro famiglie, della flotta Lauro, la più grande impresa del sud Italia, dovevano essere lasciati al loro triste destino, per il non confessato timore di una contaminazione ideologica nei riguardi di una proprietà creata dal nulla dall'ex-sindaco, l'ultimo re di Napoli o l'ultimo Borbone come amava definirlo in una sua puntuale, concisa ed onesta biografia Antonio Ghirelli.
Ma le tanto proclamate preclusioni ideologiche non erano che un ipocrito paravento per losche operazioni di spartizione tra bande di politici, i quali, impettiti, credevano di disegnare un radioso futuro per Napoli rinnegando il bieco laurismo del capitalista monarchico.
Sotto gli occhi di tutti a distanza di vent'anni è la disastrosa situazione ereditata dalla nostra martoriata città per la vergognosa gestione della questione Italsider, dopo lo spreco di centinaia di miliardi di denaro pubblico, che ha provocato la giusta ira di Bossi e compagni: un mostro ecologico che grida vendetta al cospetto di Dio e degli uomini per lo scempio paesaggistico e per lo scriteriato abbandono di una significativa fetta del territorio urbano, la più bella della città, dal grande cuore ma dalla piccola testa, che potrebbe, correttamente utilizzata, mutare il volto del nostro destino ed assicurare un duraturo benessere alle future generazioni.
La morte fisica di Achille Lauro sopraggiunse a 95 anni compiuti il 15 novembre del 1982.
Negli ultimi mesi della sua lunga vita il comandante si era ritirato mestamente in un empireo fantastico tutto suo, distaccandosi completamente dalla realtà avversa che lo circondava e comunicando solo con la sua adorata figlioletta adottiva, forse in un misterioso idioma orientale, più probabilmente grazie ad un linguaggio fatto di soli gesti e di affetti accorati.
Il suo sogno segreto, condiviso anche dal popolino più umile che tanto lo amava e che implorava ad ogni occasione:"Don Achille voi non dovete morire mai", era quello di potersi addormentare placidamente ed in sonno raggiungere il cielo e divenire una stella, un astro da cui guardare benevolo la sua città per l'eternità.
Il nostro destino di mortali fu però inesorabile e dopo un breve alternarsi di lucidità e delirio, assistito dal fidato cardiologo Aldo Boccalatte e dallo sguardo materno di un'antica e preziosa madonnina, alla quale era ciecamente devoto, il vigoroso vegliardo, l'ultimo monarca di Napoli chiudeva gli occhi per sempre.
Ma se usciva di scena l'uomo, il mito era destinato a non spegnersi, nonostante l'acrimonia degli avversari e negli anni seguenti lo sdegnoso silenzio dell'asservita stampa di regime.
La prima avvisaglia dell'acredine delle istituzioni nei confronti del Comandante si potette constatare ai suoi funerali, quando fu predisposto dal comune un servizio d'ordine insufficiente a contenere la folla strabocchevole accorsa da ogni quartiere nella chiesa di San Ferdinando, per porgere l'ultimo saluto a don Achille.
L'omelia funebre fu affidata a don Aurelio Marseglia, il parroco battagliero che nel '56 aveva benedetto la celebre fontana in piazza Trieste e Trento, realizzata da Lauro sindaco e si imperniò sul sacrificio e la carità, due virtù praticate costantemente in vita dal defunto.
Il sindaco in carica all'epoca, il comunista Valenzi, fu fischiato sonoramente al suo ingresso (in ritardo) ed alla sua uscita (in anticipo) dalla chiesa e tutta la cerimonia fu turbata dalle urla di alcune decine di sconsiderati ultras che scambiarono la solennità del commiato con il tifo da stadio, costellando di applausi e di "bravo" ogni fase della liturgia.
All'uscita una confusione indescrivibile fece temere il peggio, quando la folla, tra una marea di auto clacsonanti, cercò faticosamente di formare un corteo, che, alla prima tappa sotto palazzo San Giacomo, si inferocì nel momento in cui si accorse che al balcone principale non era stata collocata la bandiera della città a mezz'asta. Una stupida mancanza di educazione e di stile perpetuatasi fino ai nostri giorni, se consideriamo che fino ad oggi non esiste una piazza, una strada, un vicolo dedicati ad un personaggio che, da primo cittadino e da imprenditore, ha mostrato un attaccamento verso la sua città da non trovare emuli.
La seconda sosta fu in via Marina sotto il palazzo della flotta, dove i marittimi accorsi in massa lanciarono all'unisono un'invocazione al cielo, una frase di dolore ma anche di speranza: "Il Comandante è morto ma la sua flotta no, essa vivrà a lungo e porterà in giro per il mondo la gloria del suo nome".
Auspicio purtroppo non avveratosi per un complesso di oscure manovre che descriveremo con dovizia di particolari nel prossimo capitolo.
L'ultima tappa fu infine il cimitero di Piano di Sorrento, dove donna Angelina attendeva il suo Achille nella tomba di famiglia per il riposo eterno.

Villa Lauro sequestrata


Il capitolo più vergognoso del dopo Lauro è costituito dalla vendita all'asta dei suoi beni materiali nella famosa villa di via Crispi.
La grande vendita, la più importante realizzata a Napoli negli ultimi cinquant'anni, fu organizzata dalla Finarte e dalla Semenzato (FI.SE) che si consorziarono per amministrare il grande incanto.
Quattro sedute (25-26 ottobre 1984), due pomeriggi e due serate furono necessari per battere i quasi mille lotti (962) e la vendita fu preceduta da cinque giorni di libero accesso alla villa per potere esaminare la merce...
Non sembrò vero alla scalcinata borghesia napoletana ed all'aristocrazia decaduta che lo avevano sempre osteggiato anatemizzandolo e che da Lauro erano state sempre tenute alla larga, potere invadere, novelli sciacalli, vociando il sacro tempio, salire gli scaloni della sua casa, entrare con protervia in ogni angolo, intrufolarsi nelle camere da letto, provare gli effetti intimi del Comandante, anch'essi vergognosamente messi in vendita e descritti sul catalogo (lotti 480-481), dal vecchio frac alla camicia da notte di donna Angelina. E tutti ridevano, schiamazzavano, ricordavano motteggiando episodi della vita del padrone di casa, deridendone i difetti ed oscurandone le virtù, un epicedio in piena regola perpetrato nel disprezzo più assoluto.
Accanto a chi credeva di fare un buon affare, collezionista o antiquario che fosse, sedeva un pubblico ansioso unicamente di assistere in diretta al massacro di un mito.
Gli astanti, quasi mille persone, erano assiepati nei tre piani della villa collegati tra loro da giganteschi schermi, dove il principe dei battitori: Marco Semenzato, con glaciale professionalità, assegnava velocemente i lotti, al suono implacabile e ritmico di un martelletto. Non vi era tempo per riflettere, le offerte si susseguivano con ritmo vertiginoso, era per molti un nuovo gioco, mai praticato prima, ben più emozionante di una rischiosa mano di poker.
Molti erano alla ricerca di un feticcio da poter portare a casa, un oggetto, anche di scarso valore venale, che fosse però appartenuto all'illustre personaggio. Fu perciò grande la delusione quando il secondo lotto, un modestissimo bacile da pediluvio, pomposamente descritto: ovale in rame buccellato con piedi a zampa ferina del XIX sec. ma partente da una stima di appena diecimila lire, raggiunse in un battibaleno un milione e centomila lire e venne aggiudicato tra le proteste di alcuni che intendevano insistere facendo offerte ancora più sostanziose.
Oltre a centinaia di pezzi di scarso valore, oggetti di uso quotidiano o di arredo delle camere secondarie,vi erano straordinari pezzi di antiquariato come un Olindo e Sofronia di Mattia Preti, esitato per duecento milioni o un procace busto marmoreo, opera di Francesco Jerace, una Victa dal seno prorompente e dall'algida e provocante bellezza, oppure una Sacra Famiglia, attribuita a Bernardo Strozzi, notificata dallo Stato e proveniente dalla leggendaria collezione Doria-D'Angri, andata dispersa in una memorabile vendita nel 1940.
Gioiello assoluto della vendita era la serie indivisibile di sei splendidi arazzi prodotti a Beauvais nel 1692 e rappresentanti episodi della vita di Luigi XIV il Re Sole.
Una fortunosa circostanza volle che ad acquistare questo lotto fosse un famoso nefrologo napoletano, desideroso che la sua, la nostra Città, non venisse orbata di una così cospicua gemma da essere invidiata da tanti musei. (Purtroppo, nel 1998, questo prestigioso lotto è stato posto di nuovo all'incanto a Venezia dalla casa d'aste Semenzato ed aggiudicato ad un ignoto acquirente, dall'accento settentrionale, per la cifra di tre miliardi e mezzo).
Al nord traslocò viceversa, in casa di un industriale brianzolo, il biliardo sul quale aveva giocato l'ammiraglio Nelson, nella villa romana di un noto attore lo spettacolare secrétaire impiallacciato in piuma di mogano aggiudicato per sessantasei milioni.
Pur di potere offrire il the alle amiche nei saloni della sua villa posillipina, nel noto servizio di porcellana dipinta a mano, arricchito dalla descrizione di una complessa storia mitologica sulle tazze e sui piattini, non badò a spese la leggiadra moglie di un famoso ginecologo.
In poche ore un secolo di vita e di rimembranze si dispersero vorticosamente, lasciando la villa, un giorno piena di vita e pulsante di febbrili attività, in un vuoto ed un silenzio spettrale.
Si ricavarono circa due miliardi, ma il sacrificio ed il massacro di tanti ricordi servì a ben poco, una goccia nel mare magnum del fallimento di un colossale impero, la cui distruzione pesa come un macigno sulla coscienza di molti e costituì senza ombra di dubbio il vero motivo della seconda morte di Achille Lauro.

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