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Achille
Lauro SUPERSTAR
appendice documentaria
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Art.
dell'Ing. Antonio Guizzi apparso sul quotidiano "IL DENARO" del
06/02/2003 pag.7 dal titolo " Quei prefetti che amavano il
cemento"
Ho
letto con ritardo il Den, il prestigioso magazine del Denaro, dello scorso
dicembre, che ha pubblicato un'intervista ad Ercole Lauro, il figlio
superstite del Comandante. Achille Della Ragione ha spaziato sulla vita
pubblica e privata di Achille Lauro: la domanda posta sul Sindaco
conteneva già in sé una sorta di condanna: "Il Comandante non fu
uno stinco di santo, tanto che Francesco Rosi nel suo film "Mani
sulla città" lo descriveva come il responsabile del sacco edilizio
di Napoli".
Ercole Lauro ha cercato di difendere la memoria del padre: "Sto
facendo delle ricerche aiutato da un ex giornalista e ho scoperto che la
parte preponderante delle licenze edilizie dell'epoca non fu rilasciata da
mio padre, bensì dai vari commissari prefettizi che Roma mandava
periodicamente per punire i successi del partito monarchico.
Quell'ex giornalista non è ex e nemmeno un giornalista professionista:
sono io. Ritengo perciò opportuno ricostruire fedelmente i fatti. Il 15
novembre del 1992, ricorrendo il decimo anniversario della scomparsa di
Achille Lauro, fu organizzata (non rammento da chi, ma la cosa è
irrilevante) la commemorazione del Comandante, anzi del Sindaco, nella
grande sala della Stazione marittima. La stampa dell'epoca non pubblicizzò
l'avvenimento, sebbene vi fossero tutti i presupposti per
"montare" un pezzo a sensazione, a mo' di scoop. Potrà sembrare
incredibile se, soprattutto ad opera dei suoi irriducibili antichi
avversari, non ci fu la commemorazione di Achille Lauro, ma una sorta di
convinta riabilitazione del Sindaco monarchico. I nomi ? Massimo Caprara,
capogruppo del Pci alla Sala dei Baroni negli anni cinquanta, Carlo
Fermariello, consigliere comunale e poi senatore del Pci, e addirittura un
defunto, Francesco Compagna, rappresentato quel 15 novembre dal figlio
Luigi, senatore liberale.
Fu allora che, su sollecitazione di Massimo Caprara chiarii i fatti: la
responsabilità di Lauro fu soltanto quella di aver dato troppo spazio a
Mario Ottieri costruttore e nello stesso tempo assessore all'edilizia del
Comune di Napoli (il Nottola di Mani sulla città, rappresentato con
straordinaria efficacia da Rod Steiger, reso, secondo qualche critico
dell'epoca, troppo simpaticamente antipatico).
Ma perché Lauro va scagionato dall'accusa di aver messo Napoli a ferro e
cemento, l'ho chiarito in un inserto del Denaro del 27 novembre 1999
(Urbanistica a Napoli tra passato e futuro). Il Sindaco, eletto
plebiscitariamente nel 1952, si trovò ad affrontare il problema avendo à
disposizione non già uno strumento urbanistico, ma soltanto un
regola~.ento edilizio approvato nel 1934 dall'Alto commissario al Comune,
nominato dal governo fascista e dotato di poteri straordinari.
Questo regolamento era stato predisposto da una commissione che, nel
frattempo, per incarico della fondazione Politecnica (emanazione della Sme),
stava elaborando il nuovo piano regolatore, approvato con la legge 29
maggio 1939 numero 1208.
Se è vero che il Piano '39 non fu applicato per gli eventi bellici, è
pur vero che - grave iattura - nel 1945 il locale Comitato di liberazione
nazionale, ritenendolo un prodotto fascista, lo spedì in soffitta e avviò
lo studio di un altro piano, poi respinto nel 1950 dal Consiglio superiore
dei lavori pubblici.
Nel decimo anniversario della scomparsa del Comandante, cominciò la sua
riabilitazione come sindaco.
Nessuno, allora, aveva pensato di ripescare il piano del 1939 e quando, al
principio degli anni cinquanta, se ne invocò l'osservanza, il Consiglio
di Stato, nel '53, dichiarò che il piano regolatore generale non
costituiva "norma precettiva di azione diretta e immediata, in
difetto di piani particolareggiati di esecuzione". Napoli continuava
dunque a rimanere senza uno strumento di disciplina urbanistica e la legge
era costituita, in materia, soltanto dal regolamento edilizio (fu alla
fine del '58 che il Consiglio di Stato, in conseguenza di un ricorso -
guarda caso - di una cooperativa di magistrati contro la società Edilizia
napoletana, mutò la giurisprudenza, affermando la precettività del piano
regolatore generale).
Per capire cosa accadde a Napoli negli anni cinquanta e, insieme, per
evitare di essere sospettati di averli manipolati, ho riportato dati e
date dal fascicolo n. 65 della rivista dell'Istituto Nazionale di
Urbanistica (luglio 1976 curato dagli architetti Vezio De Lucia e Antonio
lannello, noti vegetariani dell'edilizia : in vent'anni (1951 - 1971) la
popolazione è passata da poco più di un milione (1.011.919) a 1.226.594
abitanti (con un incremento di 214.675 ab.) e i vani da 486.308 a
1.039.499 (con un incremento di 553.19 vani).
Questo incremento non ha nulla di scandaloso, non è di natura patologica
ma fisiologica, ove si tenga conto sia di quanto aveva rilevato la
commissione di studio del piano regolatore del '39 (sulla necessità di
costruire almeno 200000 vani per migliorare le condizioni
igienico-sanitarie di vita), sia degli oltre 100 mila vani distrutti dai
bombardamenti.
L'incremento in vani non è dunque esprimibile in 553.191 ma in meno di
253.191 vani, che pareggiano all'incirca l'incremento della popolazione
(214.675 abitanti) intervento nel ventennio 1951-1971.
Paracadutato a Palazzo San Giacomo l'11 febbraio 1958, il Commissario
straordinario, prefetto Correra, trovatosi fra le mani il piano regolatore
predisposto da Lauro e, poi, tra capo e collo la sentenza del Consiglio di
Stato, su suggerimento del subcommissario all'Edilizia e all'Urbanistica,
ingegner Giuseppe Virno (ispettore generale del ministero dei Lavori
Pubblici), si affrettò ad adottare il piano e tentò di porre un freno
alla concessione di licenze che, rilasciate sino a quel momento sulla base
del regolamento edilizio comunale del 1935, si venivano a trovare in
contrasto con le norme di un Piano che, pur vecchio di venti anni,
appariva come una novità assoluta per Napoli.
Contemporaneamente, allo scopo di evitare il blocco dell'attività di base
dell' economia napoletana, adottò delle varianti "al fine di
agevolare lo sviluppo dell'edilizia sovvenzionata e di adeguare le norme
regolamentari allo stato dei luoghi, trasferendo all'edilizia alcune zone
che il Piano'39 "vincolava a destinazione agricola o similmente
limitativa". (La motivazione fu così riportata dalla stampa alla
fine del luglio 1958).
Dopo ben quattro anni, il 12 aprile del 1962, il Consiglio superiore dei
Lavori pubblici - nel mentre rigettava "per insufficienza di
inquadramento urbanistico a più vasto raggio", il piano regolatore
predisposto da Lauro e adottato dal commissario Correra - attraverso
quelle varianti ne recepiva assurdamente il massiccio contenuto edilizio,
legittimando così la "colombarizzazione" del Vomero e Le
"mani sulla città" le misero Ottieri e i tre commissari con la
complicità del Consiglio dei lavori pubblici dell'Arenella, con indici da
medioevo edilizio (18,2 metri cubi per metro quadrato). Qualcuno potrebbe
però domandarsi come mai nel film di Rosi, girato nel '63. appaiono, come
su gigantesche palafitte, gli enormi scheletri di cemento armato
realizzati secondo i parametri della variante "Vomero-Arenella"
approvata appena il 24 luglio dell'anno precedente. Il rilascio di quelle
licenze edilizie era forse da riportare al passivo del bilancio laurino?
Niente affatto. Le licenze per quei fabbricati furono concesse dal
Commissario Correra in surrettizia applicazione della variante, con una
motivazione che recitava più o meno così: visto il voto espresso il 26
luglio 1958 dal Consiglio superiore dei Lavori Pubblici si rilascia ecc...
(Occorre precisare che la legge urbanistica prevedeva allora che i comuni,
per la presentazione di una variante al Ministero, dovessero ricevere la
preventiva autorizzazione del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici).
Quel voto emesso dall'organo ministeriale autorizzava dunque semplicemente
la "presentazione" della variante, la cui approvazione restava,
quindi, incerta nel se e nel quando.
Di conseguenza le licenze edilizie rilasciate dalla fine del '58 sino al
24 luglio del 1962 erano da considerarsi illegittime.
Cominciò allora con questa disinvolta applicazione della variante "Vomero-Arenella"
lo sconvolgimento di quel vastissimo, ameno comprensorio.
Ancora. Se nella zona denominata del Drizzagno, a valle del Corso Vittorio
Emanuele, tra via Schipa e la caserma dei Carabinieri, sono stati
realizzati - con deroga ministeriale - edifici massicci (con indice di
fabbricabilità di 22 metri cubi per metro quadrato), se a via Medina
incombe il grattacielo della Cattolica assicurazioni, se Napoli è stata
messa a ferro e cemento la responsabilità non è addebitabile a Lauro, ma
ai Commissari Correra e poi D'Aiuto e Mattucci. Le mani sulla città le
hanno dunque messe Ottieri, i tre commissari straordinari succedutisi al
Comune, complice il Consiglio superiore dei Lavori pubblici del decennio
1956 1965.
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