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Achille
Lauro SUPERSTAR
i veri anni del sacco
edilizio
i trenta mesi della "reggenza" Correra
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In questo capitolo ci sforzeremo di correggere una convinzione diffusa,
alimentata da una propaganda maliziosa, interessata unicamente alla
distruzione del mito laurino. Una storiografia sinistrorsa, la quale nel
corso degli anni, a volte falsificando, a volte, vogliamo essere buoni,
ignorando la vera realtà dei fatti, ha identificato il mito del
"sacco della città" facendolo coincidere unicamente con gli
anni in cui "regnava" Lauro.
E per diffondere questo dogma si è servita impunemente di tutti i
mass-media disponibili, dal cinema alla televisione, dai giornali ai libri
ed alla fine addirittura anche della tradizione orale.
Un film cult ,come "Le mani sulla città" di Francesco Rosi,
girato nel 1963, è stato per decenni adoperato dalle sinistre per
propagandare il mito di Lauro speculatore edilizio.
Quest'anno, in occasione degli 80 anni del regista, la pellicola è
stata per l'ennesima volta proiettata in pompa magna e nella conferenza
stampa successiva, affollata di autorità e giornalisti, si è continuato
a fare una incredibile confusione, collocando cronologicamente episodi
edificatori, poco edificanti, avvenuti durante la reggenza Correra, agli
anni in cui a palazzo San Giacomo regnava il Comandante.
Paradigmatiche dell'equivoca volontà di mischiare le carte in tavola,
le palpitanti immagini di quei giganteschi mostri di cemento, dalle enormi
fondamenta a vista, che si possono ammirare dalla tangenziale all'altezza
dell'uscita Vomero e sulle quali la cinepresa del regista indugia con
compiacimento, come se volesse ammonire il pubblico a meditare su codesti
scempi.
Questi scheletri di cemento armato, palafitte da incubo, che
fuoriescono dal terreno per decine di metri, vennero realizzati
sorprendentemente in piena legalità, a seguito dell'applicazione di una
delle famigerate "varianti Correra", per la precisione la
"variante Vomero-Arenella".
Ma vogliamo vederci assieme più chiaro, indagando sui volumi costruiti
anno per anno?
Partiamo dall'esame della legislazione urbanistica e da alcune
considerazioni. Napoli in questo secolo ha avuto due soli piani
regolatori, quello "fascista" del 1939, un vero monumento di
armonia tra interessi pubblici e privati, com'è riconosciuto oggi da
autorevoli specialisti, di idee non certo nostalgiche, come il preside di
Architettura Benedetto Gravagnuolo o il professor Massimo Rosi (opinioni
raccolte dalla viva voce degli interessati nel corso di riunioni svolte
nel salotto culturale di Elvira Brunetti) e quello "democratico"
del 1972, entrambi mai operativi per la mancata approvazione dei
regolamenti di attuazione.
Bisogna precisare che, quando Lauro venne eletto nel 1952 e volle
utilizzare a piene mani il "petrolio dei meridionali",
costituito dall'espansione edilizia, la giunta non possedeva un vero e
proprio strumento urbanistico, ma un ben più modesto regolamento
edilizio, risalente al 1935, stilato da un organo comunale fascista dotato
dei più ampi poteri.
Questo regolamento si trasformò poi nel 1939 (legge 1208 del 29 maggio
1939) in piano regolatore, che rimase però lettera morta a seguito della
guerra.
Nel 1945, purtroppo, il Comitato di liberazione nazionale partenopeo,
ritenendolo una creazione fascista, lo rese non operativo e diede
istruzione per preparare un nuovo piano, il quale fu però, una volta
redatto, bocciato nel 1950 dal Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Si cercò allora di riesumare l'antico piano del 1939, ma, nel 1953,
sopravvenne una pronuncia del Consiglio di Stato, che lo dichiarò non
utilizzabile, perché mancante dei piani particolareggiati di esecuzione.
Si fu costretti perciò per anni a lavorare in assenza di uno strumento
preciso di disciplina urbanistica, ma soltanto di un regolamento edilizio,
fino a quando, nel 1958, il Consiglio di Stato mutò parere, affermando la
piena precettività del piano regolatore generale.
Su tale parere, completamente in antitesi col precedente, che ribaltò
la giurisprudenza sull'argomento, gravò a lungo l'ombra del sospetto,
perché la decisione fu assunta a seguito di un ricorso di una cooperativa
di magistrati contro la società Edilizia napoletana.
In conclusione Napoli da oltre 50 anni vive in assenza di un
qualsivoglia strumento progettuale ed i risultati sono stati, e certamente
non solo durante gli anni del laurismo, il disordine edilizio più
incontrollato, il cui caotico sviluppo ha tenuto conto solo dell'esigenze
dei singoli, trascurando, com'è nostra scellerata abitudine, quelli della
collettività. Non si è mai smesso di costruire, basta,per convincersene,
recarsi nei quartieri periferici (Soccavo, Pianura, Secondigliano)
cresciuti a dismisura o nell'immenso hinterland partenopeo, da Quarto
flegreo ai comuni della penisola sorrentina, che stringe oramai in una
morsa implacabile la città, costretta a sopravvivere con densità di
popolazione superiori a tutte le più affollate metropoli asiatiche e con
un traffico impazzito, con inestricabili ingorghi a croce uncinata, da
fare impallidire a confronto qualunque altro concorrente.
Si sono costruite le case le une vicino alle altre, spinti certamente
dal profitto, ma anche perché il napoletano, geneticamente abituato al
"gomito a gomito", prova un' intollerabile vertigine quando può
allargare lo sguardo su un panorama senza trovare la casa dirimpettaia,
senza poter contare su un'economia da vicolo, una socializzazione da
cortile, tutto sommato una cultura da casbah.
Solo così possiamo cercare di spiegarci l'esistenza di mostri
serpentinosi come via Jannelli o via San Giacomo dei Capri ed altri
agglomerati sorti nel Vomero alto, dove i suoli costavano poco o niente e
si poteva tranquillamente speculare anche costruendo a distanza più
civile gli edifici. Nonostante il cambio di padrone, l'atmosfera di
palazzo san Giacomo non cambia, sia perché Lauro conserva ancora una
certa influenza, potendo condizionare con i suoi voti parlamentari i
governi centristi, sia soprattutto perché Correra comincia a tessere una
trama sottile con l'entourage di costruttori e speculatori che gravitavano
intorno al Comandante. Una vera e propria corte dei miracoli, abituata a
feroci contrattazioni sottobanco che cercava di disciplinare attraverso il
rubinetto dei fidi e delle fidejussioni bancarie, concesse da istituti di
credito, in primis il Banco di Napoli, saldamente in pugno alla Democrazia
cristiana.
Molti luogotenenti monarchici, intuendo che la "reggenza"
durerà a lungo, cambiano casacca, allargando i loro affari anche al
nascente settore delle infrastrutture industriali ed urbane.
Correra doveva gestire per pochi mesi l'ordinaria amministrazione e
preparare la nuova consultazione elettorale, regnò viceversa
incontrastato per quasi tre anni, divenendo il vero padrone della città.
Don Alfredo era più che fidato, infatti già dieci anni prima era
stato inviato d'autorità a Castellammare di Stabia per presunte
irregolarità amministrative, quella volta per togliere il potere alle
sinistre. E saranno proprio i comunisti, più dello stesso Lauro, i suoi
acerrimi nemici, attaccandolo ripetutamente dalle pagine dell'
"Unità", sollecitando con energia la convocazione dei comizi
elettorali, già il primo giorno che mise piede a palazzo San Giacomo e
poi, di tre mesi in tre mesi, alla scadenza delle proroghe, denunciando
l'aperta violazione non solo della legge, ma delle stesse norme
costituzionali.
Per renderci conto con onestà del fabbisogno di edilizia negli anni
Cinquanta e Sessanta occorre fare alcune considerazioni:
1. La guerra aveva distrutto o danneggiato in maniera irreparabile
oltre centomila vani nella sola area urbana partenopea.
2. Dal 1951 al 1971 la popolazione di Napoli era cresciuta di circa il
25%, senza tener conto della crescita dei comuni limitrofi, passando da
1.011.919 a 1.226.594 abitanti.
3. In molti quartieri la promiscuità e il superaffollamento erano la
regola, non solo nei bassi più diseredati, ma anche in molte civili...
abitazioni ed il desiderio di condizioni di vita più accettabili cresceva
giorno dopo giorno.
4. Nel periodo considerato la superficie abitativa aumenta di circa il
50%, passando da 486.308 a 1.039.499 vani. Un incremento, non solo
sovrapponibile a quello avvenuto in altre città italiane, ma da
considerarsi del tutto fisiologico ed in linea con gli auspici della
commissione istitutiva del piano regolatore del 1939, che prevedeva, in
tempi non sospetti, la necessità improcrastinabile di costruire almeno
altri 200.000 vani al fine di migliorare le precarie condizioni igienico
sanitarie dei cittadini.
Le distruzioni belliche e la crescita della popolazione avevano poi
giustificato l'ulteriore incremento. A tal proposito bisogna sottolineare
che proprio nelle aree più danneggiate dai bombardamenti non si potè
lavorare di buona lena, per tutta una serie d'impacci burocratici. Infatti
nella zona a ridosso del porto (quartieri Pendino, Mercato e Porto) che
uscì sconvolta dalle incursioni aeree americane, furono approvati, dal
1946 al 1955, vari decreti ministeriali che dettavano precise norme per la
ricostruzione degli abitati danneggiati dalla guerra, ma purtroppo tali
disposizioni prevedevano l'obbligo del consenso da parte di almeno il 75%
dei proprietari per cui ebbero un'applicazione quanto mai farraginosa.
I dati statistici esposti, provenienti da una fonte quanto mai
attendibile, redatta tra l'altro da avversari storici del laburismo (il
numero 65 del luglio 1976 della rivista dell'Istituto nazionale di
Urbanistica a cura degli architetti Vezio De Lucia e Antonio Iannello)
sono la lampante dimostrazione della falsità del mito di Napoli capitale
della speculazione edilizia, perché in altre città si è costruito,
nell'assoluto silenzio dei mass media, ben più che nella nostra.
La febbre edilizia raggiunse temperature da cavallo e ben si espresse
nell'erezione del grattacielo della "Cattolica", in pieno centro
cittadino, salutata dall'onorevole democristiano Mario Riccio, il medesimo
che aveva attaccato in Parlamento Lauro per il suo eccessivo impegno
edificatorio, con frasi talmente toccanti da commuovere l'uditorio
presente all'inaugurazione.
Tra il numeroso pubblico, impettiti in prima fila i colonnelli del
nuovo potere, sordi alle civili proteste che Francesco Compagna
manifestava nei suoi articoli sulla rivista "Nord e Sud".
Mentre si progettava lo sventramento dei quartieri spagnoli per creare
un nuovo rione Carità, le nuove edificazioni cominciano a coprire ogni
spazio libero. Sono questi i veri anni delle "mani sulla
città", quando costruttori senza scrupoli, trasferitisi in massa
dalla corte laurina al nuovo potere, come Mario Ottieri, scaricano sul
territorio urbano volumi edificati mai visti in precedenza; per essere
più precisi: oltre diecimila vani in meno di due anni per una massa di
duecentomila quintali di cemento e quasi cinquantamila di ferro (dati
riguardanti il solo Ottieri).
Le sue imprese distruggono l'armonia del centro più antico, come nella
storica piazza Mercato, dove l'orrendo palazzaccio, sorto in pochi mesi,
fa tuttora rivoltare nella tomba i tanti napoletani illustri, alle cui
gloriose gesta è legata la sacralità dei luoghi.
Anche nella città nuova, al Vomero, si pongono saldamente le basi
della perpetua invivibilità, erigendo monumenti alla vergogna, come la
stupefacente "muraglia cinese" di via Aniello Falcone, che
ancora oggi molti si ostinano a collegarne la costruzione agli anni delle
amministrazioni laurine. (Citiamo ad esempio tra i tanti: la "Storia
fotografica di Napoli", a cura di Attilio Wanderlingh con testi di
Ermanno Corsi oppure il "Vomero" di Giancarlo Alisio, nei quali
placidamente si addossa a Lauro la realizzazione della "muraglia
cinese".
Il kafkiano episodio di manomissione fisica del piano regolatore
avviene negli anni della gestione Correra. L'accaduto è noto, ma vale la
pena ricordarlo per perpetuarne la memoria.
Le tavole del piano regolatore del 1939, all'epoca vigente, erano
conservate in tre esemplari, al Comune, all'Archivio di Stato ed al
Ministero dei lavori pubblici.
I soliti ignoti, non essendo a conoscenza della terza copia, depositata
a Roma, agiscono in più tempi impunemente sulle prime due, cambiando a
più riprese i colori che identificano la destinazione delle varie aree
della città. Il verde delle zone agricole diventa così il giallo delle
zone edificatorie. Un caso emblematico è costituito dai terreni dove
sorgerà il secondo Policlinico, che, comprati per tre soldi, frutteranno
cifre iperboliche agli speculatori.
I mandanti di queste continue manomissioni, ai limiti
dell'incredulità, si procacciano preventivamente a prezzo vile i terreni
agricoli e poi, dopo il colpo di bacchetta magica, anzi di pastello,
scaricano milioni di metri cubi di palazzi sui suoli rigenerati,
guadagnando cifre da capogiro.
L'intrallazzo andò avanti a lungo, fino a quando, fortuitamente, venne
scoperta l'esistenza della terza copia. Fu quindi aperto un procedimento
penale, ma naturalmente i colpevoli non furono mai identificati, rimanendo
perciò impuniti, anche se tutti sapevano chi fossero.
Una vicenda assolutamente irripetibile nella storia urbanistica di
qualunque città.
Don Alfredo creò allora un'arma ancora più micidiale, che dava tra
l'altro un'etichetta di legalità al comportamento degli speculatori
edilizi.
Diede infatti luogo ad un numero imprecisato di deroghe al piano
regolatore da lui stesso proposto. Erano le famigerate e troppo presto
dimenticate "varianti Correra" che legalizzeranno ogni tipo di
scempio, perpetrato dai costruttori.
Il commissario prefettizio si serviva infatti di un escamotage che è
stato rivelato dall'urbanista Antonio Guizzi, il quale, per inciso, fu
consulente per la sceneggiatura del film "Le mani sulla città"
e da anni si batte, inascoltato dai mass media, per ripristinare la
verità storica su quegli anni difficili per la nostra città.
Le licenze venivano concesse in variazione al piano regolatore
cittadino e cominciavano tutte in tal guisa: "Visto il voto espresso
il 26 luglio 1958 dal Consiglio superiore dei lavori pubblici, si
rilascia...".
Bisogna precisare che le normative urbanistiche dell'epoca prevedevano
che, prima di presentare al Ministero una proposta di variante al piano
regolatore, i comuni dovessero ricevere un'apposita autorizzazione dal
Consiglio superiore dei lavori pubblici. Tale autorizzazione era
necessaria, ma non sufficiente, per l'approvazione; ma in quei tre anni la
sintonia... d'intenti fu completa (caso unico in Italia). Complicità che
proseguì anche con i successivi commissari prefettizi (D'Aiuto e
Matteucci), i quali continuarono a mettere a "ferro e cemento"
la città, con la regia beffarda del costruttore Ottieri e la spudorata
benedizione del Consiglio superiore dei lavori pubblici.
VOMERO: "la muraglia cinese"
A pagare un perpetuo tributo a questo scellerato comportamento sarà
tutta la città, che ancora oggi, dopo oltre quarant'anni, soffre per quei
lontani abusi. In particolare ne uscirono devastati i quartieri più
moderni: Posillipo, Vomero ,Arenella e Fuorigrotta.
Un esempio emblematico di cementificazione selvaggia, eseguita in
quegli anni, con deroga ministeriale e con indici di fabbricabilità da
Guiness dei primati( 22 metri cubi per metro quadrato) è rappresentato
dagli edifici sorti nella zona del Drizzagno, situata tra il corso
Vittorio Emanuele, via Schipa e la caserma dei carabinieri.
Il vuoto legislativo in materia urbanistica diventa un problema sempre
più assillante, perché dopo la bocciatura da parte del Consiglio
superiore dei lavori pubblici del piano regolatore proposto dai tecnici
laurini, il 30 novembre viene frettolosamente varato un nuovo piano,
preparato alla meno peggio dai nuovi padroni della città, i quali
assegnano il compito delle elaborazioni tecniche ad un ufficio diretto da
un volenteroso... geometra.
Sugli anni della reggenza Correra gli organi d'informazione hanno steso
da anni un'impenetrabile cortina di silenzio, non concedendo visibilità
ad insigni studiosi, come ad esempio l'ingegnere Antonio Guizzi, che si
sono interessati come tecnici alle edificazioni selvagge sorte in quel
periodo, cercando di ristabilire la verità storica.
La connivenza tra il commissario prefettizio e gli organi di controllo
centrale si evidenzia da più circostanze. Per capirne di più
ripercorriamo la storia da principio.
Appena insediatosi a palazzo San Giacomo, il commissario straordinario
fu costretto a confrontarsi con il piano regolatore del 1939, risuscitato
dalla sentenza del Consiglio di Stato. Ebbe come consulente l'ingegnere
Giuseppe Virno, ispettore generale del Ministero dei Lavori pubblici, il
quale fu nominato sub commissario all'Edilizia e all'Urbanistica. Egli
consigliò a Correra di adottare il piano regolatore fascista che, pur
vecchio di un ventennio..., risultava assolutamente rivoluzionario e di
porre un argine alla concessione di licenze in contrasto con esso,
circostanza che si era fino ad allora realizzata più volte, perché esse
erano state rilasciate in base ad un vecchio regolamento edilizio del
1935.
Nello stesso tempo per non bloccare il motore dell'economia napoletana
s'intraprese la politica di adozione delle famose "varianti Correra"
e si agevolò lo sviluppo dell'edilizia sovvenzionata con norme spesso
stabilite volta per volta a secondo lo stato dei luoghi.
Trascorsi ben quattro anni, il 12 aprile del 1962, il Consiglio
superiore dei lavori pubblici, mentre rigettava, per insufficienza
dell'inquadramento urbanistico, il piano regolatore adottato dal
commissario straordinario Correra alla fine del 1958, ne recepiva
assurdamente il massiccio contenuto edilizio, attraverso quelle varianti
su cui lo stesso Consiglio aveva espresso il proprio voto favorevole,
legittimando così la "colombarizzazione" del Vomero e dell'Arenella,
con indici (18,2) di metri cubi per metro quadrato da medioevo edilizio
(per questa puntuale ricostruzione storica siamo riconoscenti
all'ingegnere Guizzi, che ci ha reso partecipi dei suoi studi).
E dieci anni dopo lo stesso Consiglio superiore cercò,
truffaldinamente, di cancellare questa brutta pagina della sua storia.
Mentre nelle fertili campagne di Soccavo si mette mano ai primi lavori
per la nascita del rione Traiano e la speculazione edilizia si rafforza
sempre più, la situazione generale della città precipita nel baratro,
con un aumento della disoccupazione e con i più elementari servizi
pubblici spesso interrotti per settimane al primo piccolo incidente. E con
una città di cartone, costruita sul vuoto, crolli e voragini sono eventi
quanto mai frequenti.
Il Paese vive nel 1960 il difficile periodo legato ai governi Tambroni
(nei quali Lauro e i monarchici giocheranno la loro partita), trascorso il
quale troveremo Napoli ancora saldamente nelle mani del prefetto Correra,
che nel mese di ottobre rinnova una convenzione con la Speme, una società
nata per urbanizzare la collina di Posillipo, non senza averla dotata
preliminarmente della quarta funicolare.
Il sodalizio doveva costruire palazzine popolari per dare una casa ai
pescatori e ai contadini e a tale scopo godeva anche di esenzioni fiscali
e di sovvenzioni pubbliche, ma, strada facendo, realizzò parchi
residenziali con rifiniture di lusso e prezzi di vendita che raggiungevano
i dieci milioni a vano, fuori dalla portata dei ceti meno abbienti.
La Speme riesce anche ad ottenere il permesso di raddoppiare quasi
l'altezza degli edifici e in pochi anni completa sulla collina, cara agli
ozi degli antichi Romani, oltre quindicimila vani.
Finalmente si riesce a definire la data delle nuove consultazioni
elettorali: il 6 novembre, dopo quasi tre anni di commissariamento.
Un vero scandalo!
La riabilitazione della figura di Achille Lauro ed una più precisa
delineazione delle responsabilità nelle scelte urbanistiche dell'epoca
sono ancora di là da venire, anche se già nel 1992, a dieci anni dalla
scomparsa del Comandante, un primo tentativo di ricostruire la verità
storica fu eseguito con onestà da tre ex avversari implacabili di don
Achille: Carlo Fermariello, Massimo Caprara e Luigi Compagna, figlio di
Francesco. Essi, nella Sala dei Baroni, in occasione della sua
commemorazione, chiarirono i limiti delle sue responsabilità nel sacco
della città ed evidenziarono chiaramente che la maggior parte delle
licenze edilizie, rilasciate in quegli anni, erano state concesse dai vari
commissari prefettizi, inviati periodicamente da Roma per punire i
successi del Partito monarchico.
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