Vita spirituale e vita economica

 

Presentazione di Nereo Villa - È illusorio credere che possa esistere un’istituzione, o un ordinamento, o uno Stato che, di per sé, conferisca agli uomini una soddisfacente vita sociale, perché ci potranno sempre essere uomini o gruppi di uomini, il cui modo di agire e/o di amministrare è antisociale. Solo quando nell’organismo sociale sia possibile educare liberamente a sentimenti sociali, potranno esservi anche capacità amministrative a favore della collettività in modo che i beni prodotti siano fruibili da ognuno in modo equo. Socializzazione non è sinonimo di istituzione, o di “Sabato”, ma di “sabato PER l’uomo”, cioè di organismo sociale triarticolato in cui la vita spirituale non dipenda dalla vita economica. Così come nella fisiologia umana il consumo di ATP non dipende dal “vuoto” fra un assone e un altro, bensì da pienezza di contenuti e da feedback del volere umano in atto, allo stesso modo l’azione di forze che riportino le tendenze antisociali verso la socialità possono essere maieuticamente ritrovate e sviluppate NON per opera di istituzioni, ma solo per un’azione pienamente libera che un essere umano possa esercitare su un altro essere umano.

 

Rudolf Steiner

“Vita spirituale e vita economica”

(“I punti essenziali della questione sociale”,

Ed. Antroposofica, Milano 1980, cap. 11° de

“In margine alla triarticolazione dell’organismo sociale”, p. 167)

Traduzione Schwarz-Bavastro a cura di Nereo Villa

Ogni capoverso (§) è qui numerato in base alla 4ª ed. italiana del 1980

 

1. Molti parlano oggi di “socializzazione” come se, con questa parola, si dovesse intendere una somma di istituzioni, nello Stato o nella convivenza sociale, grazie alle quali dovrebbero trovare appagamento certe esigenze dell’umanità moderna. Si pensa che il malcontento e il disordine sociale siano causati dal fatto che quelle istituzioni non vi siano ancora, e che quando ci saranno, sorgeranno senz’altro un’ordinata convivenza e collaborazione sociale. Molti si abbandonano a questa credenza in modo più o meno cosciente, ed è questa la ragione per cui tante idee deleterie si sviluppano intorno alla “questione sociale”, perché non è possibile istituire ordinamenti che di per sé conferiscano agli uomini una vita sociale soddisfacente [il grassetto è mio - ndc]. Simili ordinamenti sono tecnicamente buoni se grazie ad essi sia possibile produrre beni e poi distribuirli nel modo più adatto per poterne fruire. Ma saranno socialmente buoni solo se, nel loro ambito, uomini di sentimenti sociali amministreranno a favore della collettività i beni prodotti. In qualsiasi ordinamento ci possono sempre essere uomini o gruppi di uomini che vi agiscano in un modo che abbia carattere antisociale.

 

2. Non ci si illuda che sia possibile introdurre una condizione di vita soddisfacente senza che vi operino uomini di sentimenti sociali, perché un’illusione simile è un ostacolo alle idee sociali veramente pratiche. L’idea della triarticolazione dell’organismo sociale aspira a una completa liberazione da una simile illusione. Perciò si può capire che sia violentemente combattuta da tutti coloro che vivono ancora oggi nelle opache nebbie di questa illusione. In una delle tre sfere dell’organismo sociale quest’idea mira a una collaborazione tra uomini, totalmente fondata sui liberi rapporti e sul libero consorzio umano tra un’individualità e l’altra. Le individualità non vengono costrette entro alcun ordinamento prestabilito. Il modo in cui si aiutano e sostengono reciprocamente, dipende solo da ciò che l’uno può essere per l’altro, grazie alle sue facoltà e prestazioni. Non è da meravigliare che oggi molti non possano pensare altro che anarchia, come conseguenza di un’eventuale libera configurazione dei rapporti umani nella sfera spirituale dell’organismo sociale. Ma chi pensa così, non sa quali forze dell’intima natura umana siano impedite nel loro sviluppo per il fatto che l’uomo sia plasmato nelle rigide forme impostegli dallo Stato o dalla vita economica. Quelle forze dell’intima natura umana non possono svilupparsi per opera delle istituzioni, ma solo per un’azione pienamente libera che un essere umano eserciti su un altro essere umano. E ciò che così si sviluppa, non agisce in modo antisociale, ma sociale. Si atrofizza invece l’interiorità umana che agisce socialmente, se sia per eredità sia per educazione si trasmettono istinti provenienti da privilegi d’origine statale o da predominio economico.

 

3. L’organismo sociale triarticolato, mediante il suo organo spirituale, presenterà sempre nuove sorgenti d’impulsi sociali. Questi imbeveranno di spirito sociale le relazioni giuridiche degli uomini che devono essere regolate nello Stato democratico, e introdurranno questo spirito anche nella direzione della vita economica.

 

4. Nell’ambito della vita economica non si potrà evitare la tendenza antisociale, a causa delle forme di vita invalse nei tempi moderni, perché la collettività è servita nel modo migliore quando il singolo può impiegare senza ostacoli le proprie facoltà a beneficio della collettività. Ma allo scopo occorre che il singolo possa accumulare capitale, e che possa anche unirsi liberamente con altri per economicamente sfruttarlo. L’illusione socialistica ha ritenuto possibile che queste masse di capitale sempre più accumulate potessero alla fine passare semplicemente dalle mani dei loro possessori privati alla collettività, e che ne potesse risultare la realizzazione d’una collettività socialistica. In realtà, con questo trapasso andrebbe perduta la redditività economica del capitale, poiché essa poggia sulle facoltà individuali del singolo. Si deve ammettere senza riserve che l’economia avrà la massima vitalità, se non le sarà tolta dalla propria sfera la tendenza antisociale, ma in cambio le verranno addotte continuamente da un’altra sfera, da quella spirituale, le forze che riportino le tendenze antisociali verso la socialità.

 

5. Nei miei “Punti essenziali della questione sociale” ho cercato di mostrare che un modo di pensare veramente sociale non può voler instaurare il trapasso dell’amministrazione del capitale dalle mani del singolo o di gruppi di singoli, a quelle della collettività; ma che al contrario il singolo deve avere la possibilità di porre le proprie facoltà al servizio della collettività, senza alcun ostacolo mediante l’impiego del capitale; e che quando egli non possa o non voglia più esercitare in questo modo le sue facoltà, l’impiego del capitale debba passare ad altra persona avente facoltà analoghe. Questo trapasso non deve avvenire per opera di privilegi statali o di potenza economica, ma il successore dovrà essere designato da chi, per l’educazione ricevuta nella libera sfera spirituale, abbia conseguito l’idoneità a scoprire la persona più adatta dal punto di vista sociale.

 

6. Chi parla in questo modo del risanamento delle nostre condizioni sociali, può ben vedere con gli occhi dello spirito lo scherno con cui accoglieranno le sue indicazioni coloro che si ritengono uomini pratici. Bisognerà che per ora sopporti questo scherno, sebbene sappia che proprio esso ha provocato negli ultimi anni la spaventosa catastrofe dell’umanità. Quel loro atteggiamento potrà durare ancora per qualche tempo; ma poi anche i più ostinati non potranno più tener testa a ciò che insegneranno i fatti sociali stessi. Allora dovrà tacere la frase fatta che proposte come quella della triarticolazione possono essere bene intenzionate, ma che per realizzarle “mancano gli uomini adatti”. Chi dice e ripete questa frase fatta non è certo “adatto”. Si ritiri dunque, o non impedisca con la sua potenza brutale, nel loro lavoro fecondo, coloro che vorrebbero provvedere affinché possano dispiegarsi in una libera vita spirituale gli impulsi sociali degli esseri umani.