Sull'esperienza perfettibile

e mai esaustiva del concetto

Il contenuto concettuale non è incomprensibile

ma perfettibile e mai esaustivo


Secondo la scienza, nell'istante in cui dico qualcosa a qualcuno, il mio cervello, guidando con algoritmi super sofisticati il mio apparato fonatorio, trasformerebbe i miei pensieri ancora inespressi in suoni appartenenti al mondo fisico, i quali percuoterebbero i timpani dell'apparato uditivo di chi ascolta. Nell'orecchio la vibrazione del timpano si trasformerebbe in messaggio bioelettrico nel nervo. I messaggi percorrendo il nervo, raggiungerebbero parti del suo cervello, cioè parti di quel piccolo cavolfiore di carne speciale che ognuno di noi porta custodito nella teca ossea del cranio. Raggiungendo parti di questa carne matura, così come la raggiunge il sangue, che attraverserebbe il cervello, come fa quando attraversa il fegato, entrando con ossigeno e uscendo senza ossigeno. Entra sangue ed esce sangue. Nel caso dialettico invece, entrerebbe biologia molecolare, cioè entrerebbe biochimica ed uscirebbero concetti, concetti coscienti. Infatti per la scienza, la materia è un'estensione avente una forma e una composizione chimica. Invece la mente cosciente non ha estensione, non ha forma e non ha composizione chimica. Qual è infatti la composizione di un ricordo? La frase che dico (la mia dialettica) farebbe dunque un percorso reale dal mio cervello a quello di qualcuno. Io la dico e qualcuno l'ascolta. Come ciò avvenga possiamo spiegarlo scientificamente ma il significato di quelle parole - afferma ancora la scienza - nessuno può spiegarlo con la scienza.

Ecco, la scienza arriva onestamente a dire questo.

 

Però sbaglia anche qui, e sbaglia là, dove dice che il cervello, guidando con algoritmi super sofisticati l'apparato fonatorio, trasforma i pensieri ancora inespressi in suoni. Le cose però non stanno così. Il cervello non guida né trasforma alcunché. Il cervello è come uno specchio riflettente grazie al quale si percepisce il nostro fare, in questo caso il nostro dire o il nostro ascoltare, permettendoci così il feedback dialettico. Non esistono infatti nervi motori. I nervi creduti motori sono nervi sensori esattamente come ogni altro tessuto nervoso.

Dicendo che nel cervello dell'ascoltatore entra biologia molecolare, biochimica, ecc., e che ne escono concetti, ci si inganna, perché la biologia molecolare, la biochimica, la bioelettricità, e così via, sono le medesime realtà presenti anche fuori. Nello spazio interno delle sinapsi, cioè tra un assone e un altro, vive e prosegue in noi - almeno come ipotesi - la medesima realtà che appare fuori di noi, solo che nel quotidiano le cose dello spazio esterno generalmente non sono analizzate al microscopio come invece si fa per lo spazio interno delle sinapsi.

 

Se lo si vuol vedere, ciò è pertinente col famoso detto di Goethe (che era un poeta ma anche uno scienziato), secondo cui non i sensi ci ingannano, ma è il giudizio ad ingannarci. Oltretutto il contenuto del cosiddetto spazio sinaptico, costituito da molecole e/o da elettricità, è fino a prova contraria una fede, dato che le relative verifiche sperimentali sembrano mancare ancora alla letteratura fisiologica. Il termine "sinapsi", dal greco "synapsis" (συνάψεις), deriva da "synaptein", "collegare", composto da "syn" ("con") e da "haptein" ("attaccare",  "congiungere",  "saldare",  "serrare", "toccare", "far combaciare", "connettersi", ecc.). Mi pare che si tratti dunque di spazio fisico interno, polare a quello fisico esterno. Quando emergeranno prove sperimentali di quanto qui è ipotizzabile, si avrà maggiore certezza di ciò.

 

L'onda sonora, cioè lo stimolo uditivo è, sì, un fenomeno fisico che si svolge nell'ambiente; quando però l'onda incontra i recettori dell'apparato uditivo non è più onda ma bioelettricità lungo le conduzioni nervose e biochimica nelle sinapsi. Lo stimolo iniziale è quindi scomparso e ciò che alla fine il cervello trasmette all'attività interiore, detta anima o coscienza, non è il processo esterno né il processo negli organi di senso, né il processo nell'interno del cervello, ma SENSAZIONE. La sensazione è però presente dappertutto: dallo stimolo fino al cervello, anche se non si presenta esplicitamente come sensazione ma come connessione corrispondente alla natura di quell'onda.

Il significato delle parole non è altro che il contenuto dei concetti da esse evocato, sempre perfettibile e mai esaustivo.

 

Dicendo che la scienza non può spiegare tale contenuto si afferma solo l'impossibilità per la scienza della loro conoscenza. E allora scatta come da una molla di energia oscura e di materia oscura il fallimento stesso della scienza, che per quanto onesta, essendo fallimentare, non è più scienza, perché la scienza oscura o la conoscenza oscura, o l'inconscio stesso per la psicanalisi, è una contraddizione in termini. Come si può conoscere o studiare qualcosa che per definizione inconoscibile o oscuro?

Nell'orecchio la vibrazione del timpano che si trasforma nel nervo in messaggio bioelettrico non esiste. Non c'è un mago che con un gioco di prestigio trasforma ciò che è materiale come l'onda sonora, in messaggio immateriale. Messaggio e carne sono già la stessa realtà: il primo è immateriale, la seconda no. Ecco perché in ebraico "bessàr" e "bessuràh", rispettivamente "carne" e "messaggio", si scrivono con la stessa radice "bsr":

 

Perfino nel fare l'amore si parla allora di questa realtà, detta conoscenza biblica, in cui si sperimenta la "carne-messaggio": allora vi è "una" sola carne, che è il messaggio del nostro corpo vivente (cfr. "Alla base dell'erotismo").

 

Ed ecco perché in ebraico (ma foneticamente anche in italiano) il "raccontare" ha a che fare col "contare" numerico nella concezione quantitativa del linguaggio.

 

Per comprendere questa realtà linguistica la scienza deve però imparare a distinguersi dalla convenzione, distinguendo l'unità di misura dall'unità aritmetica, dato che solo quest'ultima comprende in sé il ritmo, cioè il tempo. Invece oggi la scienza è bloccata nella convenzione dello spaziotempo, la quale ne impedisce la crescita. Occorre quindi allo scienziato una maggiore positività, cioè l'empiria concreta di saper distinguere il ritmo dallo spazio, dato che il ritmo ha a che fare col trascorrere del tempo mentre lo spazio no. Che spazio e tempo siano realtà immateriali non è una condizione sufficiente per dichiararli "spaziotempo": uno spazio io posso ripercorrerlo in lungo e in largo, sopra e sotto, avanti e indietro. Il tempo no. Il tempo va avanti e basta. Quindi ho a che fare con due cose essenzialmente DIFFERENTI. Metterle insieme come se fossero un'unica realtà sarebbe come mettere insieme mele con occhiali. Ciò non sarebbe ordine. E la vera scienza è anche vero ordine.