Sull’Avvento come EVENTO
COSMICO e SCIENTIFICO
Il tempo dell’avvento dell’anno zero fu scandito per i Re Magi all’inizio del ciclo precessionale nel punto gamma della costellazione dell’Ariete, che nella cosmogonia ebraica era quella dell’Agnello. Oggi siamo oramai nel ciclo dell’Acquario, eppure ogni anno continuiamo a commemorare quel grande EVENTO arietino, come se fosse un PROCESSO stagionale. Questa commemorazione manca di scienza, perché la scienza manca di logica. Ma andiamo per gradi.
La logica non incomincia né penetra mai nel linguaggio dall’esterno: i mezzi per
cogliere i rapporti logici si sviluppano solo a poco a poco nella lingua.
L’impostazione scientifica della cultura odierna non considera l’uomo né il suo
interno e quindi è contro l’uomo.
Ciò è un dramma in quanto in tale contesto il pensare umano è sparito. Il
moderno scienziato della natura è “spensierato” e porta avanti la sola
correlazione fra le parole, che scambia con il pensare e nella cui plausibilità
logica trova vie già tracciate, che sollecitano automatismi escludenti la sua
iniziativa, ed esigenti - anzi - la sua passività!
Il dramma sta nel fatto che questa passività non è palese, dato che si manifesta
in forme di attività, che possono dare l’idea di una dinamica, in realtà
inesistente. Perciò avviene che l’automatismo discorsivo raggiunge tanto
maggiore efficienza, quanto più si estrania al pensare: la “dynamis”, cioè la
forza del pensare è sottratta alla coscienza ed è usata da qualcosa che NON è il
principio cosciente capace di manifestarsi nel pensare autonomo dell’uomo. Nel
mito della scienza senza l’uomo o in cui l’uomo è senza pensiero, la logica è
contro l’uomo.
Ad esempio: per l’einsteinismo, il passato ed il futuro sono reali come il
presente. Dice Einstein: “Per noi che CREDIAMO nella fisica la divisione tra
passato, presente e futuro ha solo il valore di un’ostinata illusione” (E.
Bellone, “Albert Einstein. Opere scelte”, Ed. Bollati Boringhieri, Torino 1988,
pp. 706-07). Illusoria però è solo questa CREDENZA di Einstein, questa FEDE in
un mondo simile a una pellicola di un film di fantascienza in cui tutti gli
eventi sono come fotogrammi che coesistono tutti. Se coesistono tutti, perché
POI devono essere proiettati? Quel POI è indiscutibilmente in logico conflitto
con la coesistenza. E poiché in quella FEDE non esisterebbe solo il presente ma,
come il presente, SIMULTANEAMENTE anche il passato e il futuro, Einstein non
trova di meglio che derealizzare il concetto di simultaneità. L’uomo dunque come
un criceto in gabbia che girerebbe continuamente la sua ruota.
In merito alla “simultaneità”, la Teoria Stockmayer rivelerà poi come sia del
tutto sbagliato il famoso esempio del treno di Einstein, il quale, per
confrontare e relativizzare il contenuto concettuale di simultaneità nei due
osservatori, sostituiva, appunto, la luce al treno.
In base a questo errore (che potete apprendere nella Teoria Stockmayer
pubblicata nel mio blog “bastamonopolio”), per Einstein non ci sarebbe stato -
ripeto - un venir meno del passato che vada nel nulla, così come non ci sarebbe
stato un “ancor nulla” del futuro. Per la sua teoria della relatività, passato e
futuro dovevano esattamente essere come il presente. Ma cosa sarebbero?
Sarebbero l’“eterno”. In base a questa FEDE si derealizza il divenire, dato che
si può dire - ma senza dire niente - che il mondo non è quello che accade ma che
è quello che è. E allora cos’è? Cos’è l’eternità se non c’è futuro?
Assolutizzando il mondo col dire che è, significa dire che il mondo è
finalizzato a confermare l’eternità di tutte le cose. Ugualmente se si
assolutizza una trappola per topi, si può dire che essa è finalizzata a
confermare l’eternità del topo intrappolato. Ma è solo un film. Il topo vero
dov’è? La macchina del tempo dov’è?
E nella teoria di Einstein tutto ciò è detto “scientificamente”, cioè
illusoriamente, dato che la scienza è pur sempre un sapere ipotetico.
Da qui nasce l’istanza di che cosa siano le necessità degli uomini e il destino
stesso di queste necessità.
Il destino delle necessità non intende MAI essere un sapere ipotetico: se in
auto vedo la curva devo sterzare se non voglio sfracellarmi e, dunque il sapere
ipotetico di quella necessità è semplicemente vano.
Lo stesso va detto per il desiderio di cambiamento di ogni uomo, il desiderio
delle riforme, la volontà umana di stare sempre meglio, ogni anelito umano, e
perfino per la morte. Morire è necessario per il novantenne curato in ospizio
come mera fisiologia priva di vita interiore. Se potesse pensare saprebbe che
morire è meglio. Invece si gira in tondo come criceti.
Einstein invece pretese affermare, ed affermò, un’eternità astratta, cioè avulsa
dall’uomo, in quanto riferita alla mera dimensione spaziale delle cose
materiali, cioè limitata al cosiddetto cronotopo quadridimensionale. Prefigurava
così un’“eternità” antilogica, cioè costituita dal logismo ipotetico-deduttivo
della fisica moderna.
Questo tipo di “logica” non può che condurre alla follia che imprigiona l’uomo
nella relatività. Perché se il mondo uscisse veramente dal nulla (creazione dal
nulla) e andasse veramente nel nulla (in base al 2° principio della
termodinamica, tendente a condurre a rovina ogni cosa organizzata, vedi la morte
per calore, vedi anche la teoria di Kant-Laplace, ecc.), tutto ciò sarebbe
scientificamente in contraddizione col principio di progressione di Darwin delle
cose organizzate. E ciò confermerebbe la follia: per la scienza del fisico il
mondo tenderebbe apparentemente alla decadenza, mentre per la scienza del
biologo, al progresso (evoluzione). E cos’altro è la follia se non l’assoluta
contraddizione del pensiero che le cose escano dal nulla e vadano nel nulla?
Ecco dunque perché la follia della scienza odierna escludente l’uomo è diventata
una FEDE in questa stessa esclusione.
Oltretutto, proprio per il carattere ipotetico del suo sapere, lo scienziato è
da secoli limitato ad essere un mero FEDELE.
Si tratta allora di incominciare a comprendere che l’uomo può essere qualcosa di
ben più grande, infinitamente più grande, di un fedele.
Ciò porta a considerare che ogni volontà “scientifica” - si pensi a quella di
voler creare una macchina del tempo come si vede nei film di fantascienza - è
una follia.
Ogni volontà umana è una follia, se in nome della scienza, il kantiano “dover
essere” acquista legittimità nel caso in cui l’uomo debba schopenhauerianamente
volere di non volere. Insomma escludere l’esperienza umana dalla scienza è
essenziale follia, così come è follia negare la possibilità di conoscenza
epistemica, o incontrovertibile, in base al dato di fatto che siamo tutti in via
di divenire e quindi di evolvere sempre più in noi la nostra esperienza mai
esaustiva di concetti e idee.
D’altra parte è follia negare il divenire.
Follia è insomma la concezione di leggi assolute, come ad esempio quella della
costanza della velocità della luce (“c²”), in un universo ritenuto relativo.
Bisognerebbe chiedersi: questa luce appartiene o non appartiene a questo
universo? Se rispondessimo “no”, sprofonderemmo nella “luce” metafisica del
dogmatismo; se rispondessimo “sì”, saremmo costretti ad accettare un universo
simultaneamente relativo ed assoluto. E ciò equivarrebbe ad accettare che il
bianco sia nero, o che l’acqua sia vino, o che la pasta asciutta sia un
budino... Impererebbe non più la logica ma la schizofrenia.
In rapporto all’uomo, la scienza odierna non prende sul serio la parola
“evoluzione”, che confonde con l’evoluzionismo. Non sa sperimentare che, essendo
un essere autocosciente, dotato di un’attività interiore che scaturisce dal suo
centro, l’uomo non può limitarsi a comprendere l’evoluzione guardando il mero
mondo esterno dicendo: “Lì, l’imperfetto si evolve verso il perfetto”. Questo è
l’evoluzionismo insegnato nelle scuole di Stato, che conduce l’uomo a credersi
discendente dalle scimmie.
Non stanno così le cose. L’evoluzione dell’uomo è ben altra. È l’esperimento o
l’esperienza interiore IMMATERIALE di coloro che, per il fatto di essere posti
nel mondo come esseri attivi, devono ESSI STESSI compiere l’evoluzione. Invece
col concetto di evoluzione studiato a scuola possiamo solo fermarci, bloccarci a
quello che già si è sviluppato. Questo è l’evoluzionismo degli scimmioni
intelligenti che crediamo di essere (Boncinelli docet).
E come ogni “ISMO” l’evoluzionismo è la degenerazione dell’evoluzione che
dovremmo sperimentare attraverso la cultura di UR, la luce, quella vera,
attraverso il comprendere che spetta all’uomo evolversi. LO STESSO DICASI PER IL
LOGISMO RISPETTO ALLA LOGICA. Perché l’uomo sa trascendere se stesso, procedendo
oltre il gradino di evoluzione a cui è già arrivato, svolgendo forze sempre
nuove allo scopo di diventare sempre più perfetto.
Solo attraverso questa evoluzione la scienza può essere scienza. Ecco perché la
scienza non è scienza se non giunge a un concetto di evoluzione idoneo all’uomo.
Invece in questo e in molti altri suoi campi, preferisce rimanere ancora agli
inizi del XVII secolo, quando non solo i profani, ma pure gli eruditi, credevano
che gli animali inferiori si sviluppassero dalla melma fluviale, perché sta
scritto che noi veniamo dalla polvere (Genesi 2,7). Questo è nozionismo
antievolutivo in quanto riguarda tutt’al più la materia del corpo fisico. Poi si
dissero altre cose. Ricordate il fatto di Nicodemo? “Quello che è nato dalla
carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spirito”.
Oggi bisognerebbe dire: “Quello che è nato dall’elemento materiale, è materia; e
quello che è nato dall’immateriale è antimateria”. Fu il grande naturalista
italiano Francesco Redi il primo a dire che il vivente può aver origine solo dal
vivente.
Ovviamente oggi nessuno crede più che un animale inferiore, un verme, un
lombrico possano nascere dalla melma fluviale. Ma anticamente non crederlo era
fonte di guai, anche se chi affermava che l’uomo viene dalla polvere dipendeva
da osservazioni inesatte.
Perché nasca un verme, bisogna che esista il germe di quel verme. Eppure, nel
secolo XVII, quando il medico naturalista Francesco Redi (1626 -1697) lo
affermò, sfuggì a mala pena alla sorte di Giordano Bruno, dato che per tale sua
affermazione lo si riguardò come un grande eretico.
Oggi non si mettono più al rogo gli eretici, ma si considera sognatore, o
esaltato, se non peggio, chi ritiene di aver conseguito una conoscenza che lì
per lì contraddice le opinioni di coloro che nella propria alterigia pensano di
aver raggiunto il vertice di ogni sapere scientifico.
Oggi chi non crede all’einsteinismo fa la fine di Louis Essen (il padre
dell’orologio atomico che si oppose ad Einstein): perde il lavoro, è insultato,
ed attaccato da tutta la “comunità scientifica”. Questa è l’Inquisizione d’oggi.
Come il Redi affermò che “il vivente può aver origine soltanto dal vivente”,
così la scienza odierna dovrebbe affermare che l’io può nascere soltanto
dall’io. E la legge della apocatàstasi o del “ciclo” (“ghilgàl” in ebraico)
delle ripetute vite terrene, di cui oggi spesso si sorride come di una folle
fantasia, non è altro che una conseguenza di tale affermazione.
Ora che è Natale, bisognerebbe pensare alla nascita dell’io nell’umanità. Quello
e solo quello è il Cristo. Perché l’avvento dell’io è un EVENTO, non un
PROCESSO. Il procedere delle stagioni è un processo. Ma la festa di Natale è la
festa per un avvento che ha cambiato il modo dell’uomo di indicare se stesso.
Prima, indicava se stesso in terza persona. Anche questo è insegnato dalla
coscienza (e potrebbe farlo anche la scienza) in grado di osservare come
l’umanità antica si esprimeva con frasi come: “L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta...” (vedi il Magnificat), ecc. Questo molto spesso è
preso superficialmente come espressione poetica. Invece è connesso con
l’espressione normale di un’umanità più antica che sentiva la propria
interiorità come mondo spirituale ma ancora in uno stato di sogno. La vita
terrena del Cristo sta in mezzo, tra il passato in cui l’uomo non poteva trovare
il Cristo in sé, l’io in sé, ed il presente in cui è invece possibile trovarlo.
L’odierna credenza scientifica, subordinata ai sensi fisici, non è più in grado
di risalire all’elemento immateriale o all’io. Ma potrebbe farlo. Basterebbe
studiare la precessione solare rilevabile nell’anno zero, cioè nel periodo in
cui la posizione delle dodici costellazioni della fascia zodiacale coincideva
con quella dei dodici segni astrologici del circolo zodiacale! Basterebbe
accorgersi che l’anno zero fu quello di un evento: tale periodo è evento e non
processo, perché come processo ha ben poche probabilità di ripetersi: la sua
durata è quella dell’anno cosmico o platonico (o PRECESSIONE SOLARE):
ventiseimila anni, e precisamente di 25920 anni, da calcolare a partire
dall’anno zero.
Dunque è improbabile che tale corrispondenza fra costellazioni e segni si
verifichi ancora su questo pianeta, perché tutto è in moto e cambia
costantemente secondo cosmica evoluzione. L’avvento dell’io in quanto avvento
del portatore del nome “Io sono” (“eié esher eié”) è dunque l’avvento di un’entita
cosmica.
Invece la scienza ufficiale ritiene che l’io sia una sovrastruttura proveniente
da leggi fisiche d’ereditarietà emergente dagli oscuri substrati del fisico.
La scienza potrebbe essere in grado di pervenire all’io, all’immateriale. Invece
arriva all’antimateria senza fare il passo ulteriore: l’antimateria è appunto
l’immateriale vita dell’io, o dello spirito. Questo la scienza non lo dice,
credendolo superstizione, mentre essa stessa è superstizione (quod “super-stat”
sine ratio). Se si liberasse da questo antico “non possumus” conoscerebbe come
l’uomo ha posto i germi delle facoltà che si manifestano ora, nella sua vita
attuale. E la vita attuale fra la nascita e la morte potrebbe essere considerata
come NUOVA causa di future vite terrene. L’animico-spirituale non può aver
origine che dall’animico-spirituale. E non è lontano il tempo in cui
quest’affermazione sarà una verità altrettanto ovvia quanto quella di Francesco
Redi: “Il vivente non può nascere che dal vivente”. Verità che è divenuta ovvia
solo dal XVII secolo in poi.
Certamente l’asserzione del Redi poté suscitare un interesse limitato. Invece
quanto potrebbe affermare oggi la scienza - e cioè che l’io si sviluppa dall’io,
perché l’uomo non vive una volta sola, ma vive ripetute vite terrene, e che ogni
vita sulla terra è l’effetto delle vite terrene antecedenti e insieme il punto
di partenza di numerose vite susseguenti - avrebbe interesse per ogni uomo, dato
che dal riconoscimento di questa verità dipende ogni fiducia nella vita, ogni
sicurezza nel nostro lavoro, e soprattutto la soluzione di tutto ciò che si
presenta a noi come problema.
Da questa conoscenza l’uomo attingerà forze sempre maggiori per tutta
l’esistenza, fiducia e speranza per tutto ciò che deve agire nel futuro. Ecco
perché tali cognizioni hanno interesse per ogni uomo.