Roberto Monti (1986)

Storia delle misure elettromagnetiche

della velocità della luce

 

Fonte: R. Monti "Scritti di critica alla Teoria della

Relatività (1984-1987)" Ed. Andromeda, Roma 2018

 

A cura di Nereo Villa

 

Introduzione
 

Nel 1864 Maxwell fu in grado di dedurre dalle sue equazioni l'esistenza di onde elettromagnetiche con velocità di propagazione:

 

 

e nel corso dei quarant'anni successivi la misura della «velocità V" (misura elettromagnetica della velocità delle onde elettromagnetiche) ebbe un ruolo centrale nelle attività di ricerca sull'elettromagnetismo.

 
Nel 1900, a seguito di numerose misure della «velocità V», l'ipotesi avanzata da Maxwell nel 1864 sulla natura della luce poteva senz'altro ritenersi sperimentalmente fondata sulla base della sostanziale identità degli ordini di grandezza

 

della velocità cinematica della luce

 

 

e della «velocità elettromagnetica

 

  

 

cM = (2,998 ± 0,003) ∙ 108 m/s;

V = (3,001 ± 0,003) ∙ 108 m/s.

 

Nel 1905 Einstein formulò l'ipotesi (secondo postulato della teoria della Relatività Ristretta) secondo la quale le due velocità non avevano solamente lo stesso ordine di grandezza, ma erano identiche.

 
Ipotesi che, sulla base dei dati disponibili, non poteva in alcun modo ritenersi sperimentalmente fondata, specie tenendo conto del fatto che il moto della Terra fornisce una ragione fisica per una discrepanza tra V e cM [12].
 

Essa poteva considerarsi, tutt'al più, usando le parole di Maxwell, non contraddetta dal confronto di questi risultati così come sono.
 

È mancata tuttavia, all'ipotesi di Einstein, una verifica sperimentale così accurata come quella che fece seguito all'ipotesi di Maxwell, poiché dal 1905 fino ad oggi non sono state più effettuate misure elettromagnetiche della velocità della luce. Ho ritenuto opportuno, con questo lavoro, ripercorrerne la storia.

 
La velocità V
 

Come è noto a partire dalle leggi di Coulomb:

 

F = QQ'/qr²; F = mm'/μr²

 

che descrivono quantitativamente le interazioni elettrostatica e magnetostatica sono stati definiti due diversi sistemi di unità di misura, denominati rispettivamente: «elettrostatico» ed «elettromagnetico» .

 

In entrambi questi sistemi di unità le dimensioni della grandezza: 1/√ sono [LT-1], cioè quelle di una velocità che risulta essere funzione delle proprietà k e μ del mezzo che occupa lo spazio tra i corpi che interagiscono elettricamente e magneticamente.


Il mezzo che occupa lo spazio vuoto fu chiamato etere, la velocità 1/√ fu denominata velocità V e le proprietà k e μ, rispettivamente, elasticità e densità dell'etere.

 
Le dimensioni delle più significative grandezze elettriche e magnetiche nei due sistemi sono:


Sistema elettrostatico              Sistema elettromagnetico

 

 

 

Conseguentemente le relazioni:

 

 

 

fornivano 5 modi diversi per misurare la velocità V [1], [2].


 

Nel 1856 Weber e Kohlrausch [3] effettuarono la prima misura di questa velocità, con il seguente risultato:


V = 3,1074 ∙ 108 m/s (incertezza non indicata).


 

A partire dal 1864 [4] Maxwell fu in grado di dedurre dalle sue equazioni l'esistenza di onde elettromagnetiche con velocità di propagazione V = 1/√.

Nel 1868 e nel 1869 la misura della velocità V fu ripetuta, rispettivamente, da Maxwell e da Thompson [1] con i seguenti risultati:


 

V = 2,88 ∙ 108 m/s; V = 2,82 ∙ 108 m/s m/s (incertezze non indicate).

 

Maxwell confrontò questi valori con quelli della velocità della luce disponibili (Fìzeau: cM = 3,14 ∙ 108 m/s; Misure astronomiche varie:

 

cM = 3,08 ∙ 108 m/s; Foucault: cM = 2,9836 ∙ 108 m/s [1].

E, trattandosi di misure metodologicamente distinte, si sentì autorizzato, sulla base del sostanziale accordo dei loro ordini di grandezza, ad avanzare la sua teoria elettromagnetica della luce:

«È chiaro che la velocità della luce e il rapporto delle unità sono quantità dello stesso ordine di grandezza. Nessuna di esse può dirsi determinata, oggi, con un grado di accuratezza tale da consentirci di affermare che una è maggiore o minore dell'altra. È sperabile che, in seguito ad ulteriori esperimenti la relazione tra le grandezze delle due quantità possa essere determinata più accuratamente. Nel frattempo la nostra teoria che asserisce che queste due quantità sono eguali, e assegna una ragione fisica per questa uguaglianza, è certamente non contraddetta dal confronto di questi risultati cosi come sono» [1].

Nei trent'anni successivi furono effettuate numerose altre misure elettromagnetiche della velocità V, unitamente a numerose misure cinematiche (rapporto tra la lunghezza di un percorso di andata e ritorno ed il tempo impiegato dalla luce a percorrerlo), sia della velocità della luce che della velocità delle onde elettromagnetiche millimetriche prodotte a partire dal 1890 (Hertz), con i seguenti risultati:

V = 3,001 ∙ 108 m/s; cM = 2,998 ∙ 108 m/s; cW = 2,976 ∙ 108 m/s; con incertezze dell'ordine di 10-3 [2].

Nel 1900, durante il Congresso Internazionale di Fisica, tenutosi a Parigi, H. Abraham [5] presentò una relazione intitolata "Le misure della velocità V", che si concludeva con una tabella riassuntiva delle 7 misure che egli riteneva le più corrette tra quelle effettuate:

 

 


 

 

Nel compilare questa tabella Abraham compie un errore di trascrizione. Come risultato finale della misura di Fabry e Perot riporta infatti il valore [5,267] V = 2,9973 ∙ 108 m/s. Mentre Fabry e Perot [6] considerano come risultato finale della propria esperienza il valore: V = 2,9999 ∙ 108 m/s, che Abraham cita correttamente, del resto, nella pagina a fronte [5,266].


 

Questo errore di trascrizione non altera il valor medio di V, che risulta essere (corretto per il vuoto): V = 3,001 ∙ 108 m/s, ma altera l'equilibrio della tabella. Infatti, ove si corregga l'errore di Abraham e si confrontino i dati con le più recenti misure (cinematiche) della velocità della luce: c = 2,99792458 ∙ 108 m/s [7], si può notare che per 5 di essi risulta V > c, mentre per i rimanenti due si ha: V < c (contro il 4 - 3 della tabella di Abraham).


 

Nello stesso congresso Cornù [5,24,267) presentò una relazione sulle misure cinematiche della velocità della luce. Rispetto all'insieme delle misure elettromagnetiche esse erano meno numerose ed attendibili. Per questo motivo, probabilmente, Cornù le manipolò in modo tale da far risultare un valor medio: cM = 3,001 ∙ 108 m/s, che risultava coincidente con quello delle misure elettromagnetiche.

 
Tale manipolazione era però così grossolana che nessuno dei fisici contemporanei prese sul serio il 3,001 di Cornù e si continuò ad adottare per cM il valore:
cM = 2,998 ∙ 108 m/s:

«Una tale media aritmetica di valori, dei quali la precisione varia così vistosamente, sembra indifendibile, come d'altra parte l'omissione da parte di Cornù di due determinazioni già pubblicate di Michelson, per le quali l'incertezza, sebbene fosse più alta di quella dell'esperienza di Newcomb, era tuttavia più bassa di quella di Cornù. È verosimilmente per questi motivi che il valore definitivo ammesso da Cornù nel suo rapporto non è mai stato di uso generale. Il valore più frequentemente ammesso tra il 1882 e il 1924 è stato quello di Newcomb, 299860 km/s, in ottimo accordo con il valore preliminare trovato da Perrotin (1902) con il metodo della ruota dentata su un percorso di 92 km» [8].
 

La conclusione finale di Abraham fu tuttavia sostanzialmente corretta:

«Dato l'interesse legato alla determinazione della velocità v, sembra desiderabile che siano intrapresi nuovi esperimenti. La precisione delle vecchie misure può essere superata: tutti i metodi si prestano. Si tratta di ridurre qualche correzione ancora troppo incerta; di semplificare qualche misura ausiliare troppo complessa, e attraverso questo nuovo sforzo sarà possibile, senza alcun dubbio, raggiungere nella misura di v una precisione superiore a quella acquisita per la velocità della luce» [5].

Questo invito fu raccolto nel 1905-1907 da Rosa e Dorsey, del neonato National Bureau of Standards [9].

Le misure che essi effettuarono nel corso di questi due anni su un insieme di condensatori piani, sferici e cilindrici risultarono tuttavia erronee. Solo dai condensatori cilindrici essi furono in grado di ottenere un valore in qualche modo attendibile, che risultava essere: V = 2,9971 ∙ 108 m/s, accreditato di una incertezza dell'ordine di 10-4 decisamente troppo ottimistica.
 

Nel 1929 H. L. Curtis [10] pubblicò un addendum di Rosa e Dorsey preparato nel 1916 nel quale, tenendo conto dei risultati di una nuova serie di misure assolute dell'Ohm internazionale, il valore della velocità V ottenuto nel 1907 era rivalutato in: V = 2,9979 ∙ 108 m/s, con un'incertezza stimata (da Rosa e Dorsey) in 1∙10-4. Curtis concludeva la Sua nota osservando che: «Non ci si può attendere un miglioramento di questo valore fino a quando non sarà effettuata una misura interamente nuova».

 

Durante il Congresso Internazionale di Elettricità, tenutosi a Parigi nel 1932, N. E. Dorsey [8] stabilì come definitivo il valore: V = 2,99789 ∙ 108 m/s, ma l'ultima cifra (il 9) non ha chiaramente significato (come giustamente rileva Curtis), dal momento che l'incertezza cm ritenuta «non superiore a 40 km/s e probabilmente inferiore», ossia: 1,3 ∙ 10-4, che è ben lungi, tuttavia, dall'essere affidabile (Rosa e Dorsey, ad esempio, non presero in considerazione l'influenza dell'umidità atmosferica sulla permittività elettrica dell'aria. È inoltre discutibile l'attendibilità di una correzione fatta a 25 anni di distanza dalla realizzazione di un esperimento effettuato, come sottolinea lo stesso Dorsey, in un laboratorio che «non esisteva che da cinque anni ed era ancora all'inizio delle sue ricerche sulle idiosincrasie dei suoi campioni di resistenza». Dorsey intitolo la sua relazione La misura di c, argomentando questa presa di posizione come segue:

 
«Rapporto n. 10 (Stati Uniti)

 La misura di C

Riassunto
In base alla teoria elettromagnetica della luce esistono tre metodi distinti per determinare la velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche nel vuoto: l°) determinazione diretta della velocità della luce, 2°) determinazione del rapporto delle unità di elettricità elettrostatica ed elettromagnetica; 3°) determinazione diretta della velocità delle onde elettromagnetiche generate con metodi elettrici... Ciascuna di queste velocità - la velocità della luce, il rapporto tra l'unità elettromagnetica e quella elettrostatica di elettricità, e la velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche - è stata considerata come un oggetto speciale di indagine. Era evidente, ovviamente, che esse erano in diretta relazione tra di loro. Ma sembrava improbabile che sarebbero risultate identiche, ciò era comprensibile per via del fatto che queste relazioni erano distinte, e Michelson lo afferma chiaramente in una pubblicazione di due anni dopo (1902). In questo lavoro, dopo aver discusso la determinazione di υ (rapporto delle unità elettriche) e della velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche, egli scrive (la sottolineatura è mia): "Sembra dunque chiaro che nel prossimo futuro queste delle determinazioni dovranno essere effettuate con lo stesso alto grado di precisione con il quale si ottiene la velocità della luce. In tal caso, un'eventuale discrepanza tra i valori risultanti non ci indurrà a dubitare della teoria elettromagnetica, ma sarà certamente attribuibile all'enorme differenza delle condizioni sperimentali nelle quali si determinano la velocità delle onde luminose da un lato, e le oscillazioni elettriche o le cariche statiche dall'altra. Al contrario, tale discrepanza si può sicuramente predire, ed essa getterà probabilmente una notevole luce sul problema della struttura dei dielettrici". Sembrava di fatto improbabile che la velocità fosse invariante entro un intervallo di 45 ottavi. Questo punto di vista era del tutto generale. È vero che nell'anno in cui apparve il rapporto di Michelson, dopo aver parlato della teoria elettromagnetica di Maxwell e ricordato i risultati degli esperimenti di Rowland (sull'effetto magnetico di una carica elettrica in movimento) e delle esperienze di Hertz (sulle onde elettriche) D. B. Brace scriveva: "Se accettiamo questi fatti come conferma dell'ipotesi che la luce è un fenomeno elettrico, noi possiamo considerare i risultati ottenuti come dati forniti da metodi differenti per la soluzione di questo problema: la velocità della luce". Ma io mi chiedo se egli intendeva dire con ciò che i tre metodi avrebbero dovuto fornire risultati numericamente identici. Comunque la tendenza cambiò a poco a poco, in larga misura grazie all'influenza di Einstein e delle teorie della Relatività, al punto che oggi molti fisici - probabilmente la grande maggioranza - sono giunti a considerare queste velocità come necessariamente identiche, e come Brace previde trent'anni fa, noi discutiamo la determinazione di tutte e tre in un solo rapporto intitolato: la misura di c. Questo cambiamento non è stato dovuto all'influenza dei dati sperimentali, poiché questi, lungi dall'essere trascurabili, sono stati completamente lasciati da parte, ma a considerazioni di natura filosofica».


 

L'influenza di A. Einstein e delle teorie della relatività era, evidentemente, tanto forte da indurre Dorsey, che pure aveva criticato Cornù, a commettere per un analogo eccesso di zelo un nuovo arbitrio.

 

In altri termini: così come nel momento in cui sembrava più attendibile il valore c0 = 3,001 ∙ 108 m/s delle misure elettromagnetiche Cornù aveva manipolato dati relativi alle misure cinematiche fino a ricavarne un valor medio identico, Dorsey trascurò arbitrariamente tutte le misure elettromagnetiche tranne la propria, che pure si era rivelata erronea, perché - dopo una correzione decisamente opportunistica messa a punto a 25 anni di distanza - il suo valore coincideva con il nuovo valor medio delle misure cinematiche effettuate dal 1900 al 1928:

 


 

Probabilmente Dorsey si sentiva autorizzato a una forzatura così grossolana dal fatto che una nuova misura elettromagnetica era in corso di realizzazione presso il P.T.R., e i suoi risultati avrebbero chiarito definitivamente e correttamente la questione.
 

Senonché questa misura non solo non fu portata a termine, ma non ne resta traccia [11].


Così il valore medio che Dorsey calcolò mescolando alla rinfusa le misure cinematiche esistenti con la sua unica misura elettromagnetica: c = 2,99792·10" m/s ha finito col «far testo» tanto più in quanto, per una singolare coincidenza, risulta esattamente uguale al valore c = 2,99792458 ∙ 108 m/s, misurato di recente:

 

 

 

Dorsey concluse la sua relazione come segue:
 

«Conclusione
Se ci limitiamo alle misure di precisione effettuate dopo l'inizio di questo secolo (1900), è sufficiente considerare i valori dati nella Tavola V, nella quale il primo, che differisce molto dagli altri, è stato trascurato nel calcolo della media pesata. Questi valori non forniscono nessuna indicazione che nel vuoto la velocità della luce, il rapporto tra le unità, e la velocità delle onde elettromagnetiche differiscano di un trentamillesimo. Nei limiti così definiti, le tre possono essere considerate come determinazioni, attraverso tre metodi indipendenti, della stessa quantità c, il cui valore più probabile è: c = 299792 km/s».

E tale conclusione, insieme alle difficoltà tecniche connesse alla misura, contribuì senz'altro pesantemente a determinare l'accantonamento di altri progetti di determinazione sperimentale della velocità elettromagnetica delle onde elettromagnetiche.

Conclusione


L'invenzione dei condensatori calcolabili (Lampard, Thompson 1964, [12]) ha rimosso una delle principali difficoltà che impedivano, fino a pochi anni fa, di effettuare nuove misure elettromagnetiche con incertezze decisamente inferiori a quelle ottenibili all'inizio del secolo

(10-3).

 

La misura della grandezza può oggi essere effettuata con incertezze dell'ordine di 10-6 [12].


Ma il fatto che tale incertezza è superiore a quella connessa alle odierne misure cinematiche (che è dell'ordine di 10-9) ha indotto i metrologi ad accantonare l'idea di nuove misure della «velocità V».


Tenendo conto tuttavia del fatto che la questione non ha unicamente rilevanza metrologica proprio in quanto una nuova misura elettromagnetica, a partire da un livello di incertezza dell'ordine di 10-6 diviene un test cruciale per stabilire se il secondo postulato della teoria della Relatività einsteiniana sia o meno sperimentalmente fondato [12], è evidentemente indispensabile procedere, dopo ottanta anni, a nuove determinazioni sperimentali della grandezza.
 

BOLOGNA, 27/6/85
 

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Bibliografia


[1] J. C. Maxwell A treatise on electricity and magnetism 1891 (Dover 1954, Vol. II, p. 266).
[2] M. Hurmuzescu Ann. de Chim. et de Phys. 7ª serie T. X aprile 1897, p. 433.

[3] Weber e Kohlrausch Elektrodynamische Maasbestimmungen 1856.
[4] A. Sommerfeld Elettrodinamica Sansoni 1961, p. 4.
[5] H. Abraham Le misure della velocità V. Congresso Internazionale di Fisica Parigi 1900 Rendiconti Vol. II, p. 247.
[6] Fabry e Perot Ann. de Chim. et de Phys.
serie T. XIII Marzo 1898, p. 404.

 

[7] J. F. Mulligan Am. J. of Physics, Vol. 44, n. 10, Ottobre 1976, p. 960.
[8] N. E. Dorsey La misura di c. Rendiconti del Congresso Internazionale di Elettricità, Parigi 1932, Seconda Sezione Relazione n. 10, p. 189.
[9] E. B. Rosa, N. E. Dorsey Bulletin of Bureau of Standards 1907, 3, p. 433-605.

[10] H. L. Curtis Bureau of Standards Journal of Research III 1929, p. 63.
[11] V. Kose Abteilung Elektrizitat P.T.B. Comunicazione privata.
[12] R. Monti Fondamenti teorici e sperimentali della Relatività Ristretta. Seagreen Novembre 1984, n. 1, p. 67
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