cfr. in questa pagina anche
"Il redshift dell'Ammasso della Vergine
e la costante di Hubble", fonte: Halton Arp,
"Seeing Red. L'Universo non si espande - Redshift,
Cosmologia e Scienza accademica",
pp. 91-92, Jaka Book, Milano 2009
Ciao
fisici della luce, ciao fisicacci, fisicacci teorici, ciao scienziatoni delle
scienziaggini, io sono Nereo e mi presento oggi come studioso serio e diligente.
Perciò, se qualcuno di voi mi dimostrerà che in un campo o in un altro io abbia
agito in questi anni in modo dilettantesco o illogico, o in genere poco
scientifico, o non scientifico, farò seriamente il necessario riesame, e se
risulterà effettivamente che sia stato illogico o dilettante, introdurrò le
vostre modifiche appropriate, tutte, parola per parola, puntualmente, senza di
certo offendermi (con tanto di nick o di nome vostro). Perciò vi prego di
scrutare quanto ho detto e scritto fino ad oggi (o anche solo quello che dirò
adesso). Non nego di certo, non è nella mia natura negare di certo il principio
del progresso circa eventuali discussioni sulla scientificità o meno dei miei
lavori.
Certo, che una cosa sia o no scientifica non dovrebbe però esaurirsi in
sterili diatribe teoriche su
incongruenze credute dogmaticamente buone e giuste, o su altre contraddizioni
del genere, cioè fideistiche (1). Si
dovrebbe, anzi, esigere da entrambe le parti che si esamini la realtà stessa di
ciò a cui si dovrebbe tendere come verità, senza ovviamente dare nulla per
scontato, cioè senza alcun dogma da credere.
"Solo ciò che è fecondo è vero", diceva Goethe (Goethe in Lucio Russo, "Amor,
che ne la mente mi ragiona", 2013, p. 123, ospi.it; "Was
fruchtbar ist, allein ist wahr",
J. W. von Goethe, Berliner Ausgabe. Poetische Werke, Band 1-16, Band 1, Berlin
1960 ff, S. 541-542).
Infatti per l'umana attività interiore, detta "anima", è vero solo ciò che le dà
vita, luce, calore, cioè solo ciò che le permette di essere appunto un'attività,
un'anima, e non soltanto una psiche vincolata al corpo materiale e svincolata
dall'io, cioè dallo spirito, o dall'elemento immateriale più importante. Questo
diceva sostanzialmente Goethe.
I falsi profeti - diceva invece Cristo - dovevano essere riconosciuti dai frutti
(Matteo 7,15-16).
Infatti se si osservano i frutti, anche chi è lontano da ogni filosofia o da
ogni scienza dovrebbe essere in grado di riconoscere la verità dalla sua
fecondità. La verità... dalla sua fecondità.
Ma "cos'è la verità?", diceva Pilato (Pilatone!). Oggi bisognerebbe sapergli
rispondere: Pilato, insomma, se hai due frutti e ne mangi uno, puoi osservare
che in verità resti con un solo frutto, proprio perché due meno uno fa uno.
Pilato fa' il bravo! Questa è la verità circa ciò che osservi e pensi di fronte
ai due frutti, di cui poi ne mangi uno. E questa verità non è data da alcuna
convenzione di precedenti UNITÀ DI MISURA, ma solo dalla realtà delle UNITÀ
ARITMETICHE, le quali non sono ancora unità di misura, ma ritmo: la vita stessa
è ritmo: mangio e osservo quello che mangio. Questo lo faccio più volte al
giorno, secondo ritmo, dunque secondo aritmetica vivente, e non condizionato/a
da alcuna convenzione. Mangiare non è convenzionale; è casomai rituale. Ma il
ritmo e il e il rito provengono dalla natura delle cose, necessitano dalla
natura delle cose anche quando le cose non sono ancora misurate. Anzi, se le
misuriamo, significa che prima devono esserci. Se no cosa misuri? Quindi le
unità aritmetiche generano le unità di misura, e non viceversa. Questa è la
realtà percepibile e intuibile, se per realtà si intende l'oggetto di percezione
accompagnato dal suo concetto.
Solo ciò che è fecondo prova veramente la sua verità di fronte alla realtà,
specialmente quando si tratta di verità sociali: se continuo a mangiare e non
vado al mercato a comprare quello che ritmicamente mangio non posso più
mangiare, anche se continuo a dire che tutto ciò è relativo. Posso dirlo finché
voglio però se ho fame, rimango con la fame. La fame è una realtà non relativa,
così come non è relativo ogni oggetto di percezione di fronte al suo concetto.
Questo dualismo (di oggetto percepibile e suo concetto) è generato dalla nostra
fisiologia e ciò vale perfino per Dio (se ovviamente si crede in Dio): «Nei
primi sei giorni della creazione Dio fa sorgere il mondo, e soltanto quando
questo esiste vi è la possibilità di guardarlo: "E Dio guardò tutto quel che
aveva fatto, e vide che era buono". Così è anche per il nostro pensare. Deve
prima esistere, se vogliamo osservarlo» (Rudol Steiner, "La scienza della
libertà": "Il pensare a servizio della comprensione del mondo", § 15, cap. 3° di
"La filosofia della libertà. Linee fondamentali di una moderna concezione del
mondo. Risultati di osservazione animica secondo il metodo delle scienze
naturali", p. 33, Ed. Antroposofica, Milano 2007).
Se tutto ciò che scaturisce come vivente dalla scienza può permeare di vita il
mio essere qui ora mentre sto facendo questo video per esempio, mentre sto
registrando, cioè la mia esistenza, e se questa mia esistenza può dimostrare che
ciò che avviene per influsso della verità, conosciuta o presunta, mi porta a
vivere con più voglia di fare, di creare, ad una maggiore industriosità, o a una
maggiore sicurezza interiore, a un maggior piacere e voglia di stare al mondo
per lavorare (attenzione: il contrario, cioè lavorare per stare al mondo, o
lavorare per mangiare, che è il contrario, è una schiavitù; invece se la scienza
mi porta alla gioia di stare al mondo per creare, per lavorare, ecc.), questa è
per me una prova reale della giustezza della scienza e della verità a cui tendo.
Ora, il cosiddetto Big Bang è diventato il capolinea di tutta la fisica teorica,
ma le osservazioni di molti hanno dimostrato (le osservazioni, quindi non le
teorie) che non sta in piedi. Ma poniamo pure che stia in piedi il Big Bang.
Potrei dire che è qualcosa di fecondo? La risposta è "No", perché ci sarebbe
sempre da chiedersi: cosa c'era prima del Big Bang. Infatti da dove proverrebbe
la materia esplosiva del Big Bang? Queste domande all'infinito e senza risposta
possono essere considerate fecondità di continue domande, le cui risposte non
sono mai soddisfacenti. Non mi soddisfano. E quindi la fisica teorica del Big
Bang non è feconda se non di altre domande a cui non si può rispondere.
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(1)
Un esempio pazzesco di queste incongruenze lo abbiamo in
Carlo Rubbia (sia però chiaro che questo è solo uno dei tanti esempi, dato
che tutti i fisici teorici procedono nello stesso modo cioè astratto, cioè
secondo concetti privi di connessioni con concreti oggetti di osservazione, del
mondo reale, della realtà). Rubbia si rivolgeva agli utenti della TV ricordando
che "l'universo ha 14-15 miliardi di anni", con massima certezza, e che a giorni
l'uomo sarebbe stato in grado di emulare Dio riproducendo in uno scantinato le
pesantissime particelle della creazione del mondo, tecnicamente riproducendo "il
Big Bang caldo". Però nessuno si ricorda che proprio già quando diceva queste
parole, la tecnologia vuole che in base a misurazioni più avanzate ottenute col
telescopio spaziale, l'età dell'universo predicata da Rubbia letteralmente era
già franata. La costante di espansione
dell'universo o costante di Hubble (H0) (oggi confutata da Halton Arp
nel suo libro intitolato "Seeing Red. L'universo NON si
espande") invocata da tutti sotto i 50 km al secondo per Mpc
(megaparsec, ennesima unità di misura per distanze celesti, pari a 106 parsec,
altra unità di misura, che significa "parallasse di un secondo d'arco" e che
equivale a circa 3,26 anni-luce; l'anno-luce è ancora un'altra unità di misura),
fu fissata a non meno di 80 Km e più probabilmente vicina ai 90 km al secondo
per Mpc.
Con "comprensibile imbarazzo dei cosmologi" Duccio Macchetto (direttore all'HST
Institute, Istituto dell'"Hubble Space Telescope") ammetteva che questi
cosmologi non sapevano più cosa dire, perché erano chiamati ad assemblare
galassie che adesso non potevano avere più di sette o otto miliardi di anni, per
con ammassi stellari che però ne avevano almeno venti (miliardi di anni).
Allora io chiedo: c'è da qualche parte un fratello di Crozza o una Iena disposti
a telefonare al professor Rubbia (anche se sono passati molti anni) al CERN (lui
lavora al CERN, o fa il capetto al CERN, non mi interessa) chiedendogli
candidamente: "Ma lei non aveva detto che l'universo aveva 15 miliardi di
anni?", oppure: "Come si fa a dire che le galassie non possono avere più di 7 o
8 miliardi di anni pur contenendo ammassi stellari di 20 miliardi di anni? Non
fa ridere? Io rido. Non fa ridere. Mi fa ridere e mi diverte. Cioè in fisica
teorica oggi la comicità della realtà dogmaticamente creduta, supera di gran
lunga la fantasia di qualsiasi comico.
Halton Arp
Il redshift dell'Ammasso della Vergine
Presentazione di Nereo
«H0 = Costante di Hubble definita come il rapporto tra il redshift di una galassia e la sua distanza (spesso stimata a partire dalla luminosità apparente); ha un valore generalmente compreso tra 50 e 100 km s-1 Mpc-1». Questa è la definizione della "costante di espansione" che Halton Arp dà nel suo libro "Seeing Red..." (op. cit, p. 374). Credo abbia sofferto un po' nel formularla, dato che si tratta una costante fasulla, in quanto equivarrebbe per una massaia a ritenere giusto comprare un chilo di mele sapendo che quel chilo può essere anche mezzo chilo. Buona lettura.
Nereo,
Castell'Arquato, 20 aprile 2018
«Qualche volta penso che l'astronomia più che una scienza sia una successione di scandali. Uno dei più rimarchevoli è la derivazione della costante di Hubble da misure condotte sull'Ammasso della Vergine. In passato ci sono stati innumerevoli titoli da prima pagina dedicati alle nuove determinazioni della distanza dell'ammasso e più recentemente sono stati emessi molti comunicati stampa sulla base dei risultati del telescopio spaziale. Il dibattito oscilla tra una scala delle distanze "lunga" (un po' più di 20 Mpc) e una scala "corta" (circa 16-17 Mpc). La distanza più grande è adottata da coloro che credono in H0 = 50 km/sec/Mpc, mentre per chi crede in H0 = 80 km/sec/Mpc la distanza giusta è invece quella più piccola con la conseguenza che l'universo è più giovane di alcune delle stelle più vecchie che esso contiene. (A meno che si tiri fuori la costante cosmologica... ).
Sebbene entrambe le parti adottino valori diversi per il redshift medio
dell'Ammasso della ergine (ciascuna delle fazioni ha il suo valore preferito,
come si può vedere in "Astronomy and Astropbysics", 202, 70, 1988), nessuna di
esse si è mai accorta di aver commesso un errore elementare nel calcolarlo. In
fisica impariamo a calcolare il centro di massa di un sistema di particelle
tenendo conto della massa delle singole particelle. Ma come possiamo calcolare
il redshift medio del centro di massa di un ammasso di galassie senza tener
conto della massa delle singole galassie? Naturalmente, gli astronomi insistono
nell'assumere che le galassie di piccola massa e quelle di grande massa hanno lo
stesso redshift medio. Se le cose stessero veramente così essi otterrebbero la
risposta che si aspettano di trovare e quindi non dovrebbero avere alcuna
obiezione contro la richiesta di un calcolo più rigoroso. Infatti, definendo
come centro dinamico dell'ammasso quello delle galassie più luminose e massicce
(che non si allontanano dal resto dell'ammasso), il redshift medio dell'ammasso
non cambierebbe se si includono nel conto anche le galassie più piccole, cioè
quelle galassie per cui è ovvio che vi sia disaccordo sul fatto che appartengano
o meno al sistema.
Un altro "aggiustamento", che spinge la determinazione della costante di Hubble
verso valori più alti, è l'idea che la massa dell'Ammasso della Vergine attragga
il nostro Gruppo Locale. Di conseguenza si deve tenere conto della "velocità di
caduta" del Gruppo Locale per ottenere la vera velocità di recessione cosmica
dell'Ammasso della Vergine. La "velocità di caduta" dovrebbe essere il risultato
dell'attrazione gravitazionale del Gruppo Locale da parte dell'Ammasso della
Vergine. Ma se le masse delle singole galassie o se le velocità peculiari
all'interno dei gruppi sono sovrastimate (come si vedrà in seguito) allora non
si può adottare questa correzione per aumentare il valore della costante di
Hubble, come invece si fa abitualmente. Inoltre, se le galassie che stanno sul
lato a noi più vicino dell'Ammasso della Vergine cadessero verso il centro del
sistema, allora le galassie più luminose dovrebbero avere dei redshift ancor più
positivi, mentre in realtà accade proprio il contrario. Perciò il redshift medio
di 1400 km/sec, che viene convenzionalmente usato per calcolare la costante di
Hubble, è ben lontano dal valore misurato di 863 km/sec, che a sua volta è
sovrastimato perché si dovrebbero usare per luminosità delle galassie quelle
misurate nelle lunghezze d'onda più rosse (dove il contributo delle spirali
sarebbe meno cospicuo)» (Halton Arp, "Seeing Red. L'Universo non si espande -
Redshift, Cosmologia e Scienza accademica", pp. 91-92, Jaka Book, Milano 2009).