Proverbio extracomunitario sull'antilogica dell'odierna cosmologia:

 Si tu sa dice, si tu no sa, tace!

Si no sa e parla, tu pirla!

dedicato a crotali e a cobra...

 

Nel dimenticatoio della visualizzazione extragalattica, oggi possibile grazie ai più recenti telescopi, ristagna come un censurato pezzo di cielo su cui chiudere gli occhi, la catena di galassie VV 172, detta anche Arp 329. La "Scienza" - anzi la convenzione detta "scienza" - la descrive come configurazione rettilinea formata da quattro lontanissime spirali, dietro le quali si sarebbe capricciosamente incastrata la più grande galassia blu dell'universo!

 

 

Ma chi ci crede? Solo i promotori del "grande botto" o "big bang", detti "bigbangers"! (Cfr. Albert Bolognesi, "Lettera aperta ai bigbangers del XXI secolo", dalla quale traggo questa pagina, ed alla quale i sedicenti scienziati credenti nel big bang dovrebbero saper rispondere).

 


 

Almeno per l'oggetto b, l'eccesso di redshift ("redshift" significa letteralmente "spostamento verso il rosso") (1) non ha nulla a che fare con lo spazio che si espande. In realtà lo spostamento verso il rosso è ben visibile in tutta l'estensione dell'immagine della catena VV 172. Quindi come la mettiamo? Delle due l'una: o qualche altra cosa sposta la sua luce verso il rosso, oppure quella luce si trova GIÀ nella parte rossa dello spettro elettromagnetico. Che significato avrebbe allora la differenziazione fra spazio e tempo nello "spaziotempo einsteiniano" se quel "già" rimane ciò che fu da sempre, cioè un avverbio di tempo e non di luogo? A questo punto, mi sembra già di sentire le proteste del bigbanger di turno: "Non vorrai per caso confutare Einstein con l'analisi logica o con la grammatica"!? Ma qui più che di logica grammaticale si tratta di logica di realtà. La realtà è fatta di oggetti percepiti e di relativi concetti. Non è fatta di soli oggetti percepibili, né di soli concetti: l'immagine che gli antichi si facevano della relazione della terra col sole e con gli altri corpi celesti, dovette essere sostituita da Copernico con un'altra, perché non andava più d'accordo con certe percezioni che prima erano sconosciute. Dunque se certi concetti non vanno più d'accordo in merito al percepito - in questo caso alla percepibilità della catena VV 172 - significa che quei concetti vanno sostituiti in quanto non più adatti a caratterizzare tale percepito. Dunque vanno migliorati. Convivere con essi senza migliorarli significa bloccare ogni emancipazione. E l'emancipazione dovrebbe essere la cosa più importante per una vera scienza.

 

Dunque, anche se la cosiddetta Big Science dei palloni gonfiati o dei bosoni materializzanti la Creazione ha proclamato l'età dell'universo, cosa mi può importare di fronte a ciò che è in ballo?

 

Qui è in ballo la dicotomia fra il vero e il falso.

 

La fisica teorica NON può bastarmi.

 

Infatti di fronte all'evidenza telescopica dovrei chiedermi: la catena di galassie VV 172 riguarda un allineamento prospettico o una statistica a posteriori?

 

Se non si sa rispondere scientificamente a questa domanda, c'è poco da dire. Ricordo un proverbio extracomunitario che mi insegnò un comico: SI TU SA, DICE, SI TU NO SA, TACE; SI TU NO SA E PARLA, TU PIRLA!

 

Dopo avere approfondito "Seeing Red" di Halton Arp si può solo dire una cosa: la cosmologia è ancora tutta da scrivere.

Invece no: nonostante le restrizioni e gli equivoci che continuano ad affliggere la cosmologia, imposta alle scuole di Stato dai programmi ministeriali di tutto il pianeta, la sedicente scienza odierna (la "Big Science" del XXI secolo) consegna all'uomo della strada il trionfo scientifico della BIG FRAUD o grande frode, secondo cui l'universo deriverebbe da un punto esploso dal nulla meno di 14 miliardi di anni fa.

 

Oremus!

Oggi assistiamo perciò a grandi esaltazioni nel web di ragazzini che credono di avere capito tutto nella misura in cui credono a tutto, studiando a memoria tutto, e che perciò in quattro e quattr'otto ti spiegano con video-animazioni perfino gli ulteriori "avanzamenti" di Stephen Hawking e Martin Rees, per i quali l'intera struttura cosmica potrebbe perfino scaturire da "brane" (2) di un sovrastante "Multiverso" (se non addirittura da ipotetiche extra-dimensioni sottocutanee di un gerarca nazista che opera in mondi paralleli in cui Hitler avrebbe vinto la guerra e io... passerei la vita in qualche lager a strappar bambole dalle mani di orfanelle in lacrime).

Ma anche senza scomodare questa brodaglia di informatori sedicenti, "scientifici" in quanto laureati con tanto di carte alla mano, la "teoria" del Big Bang, o del Grande Colpo, o del Mega Petardo, poggia su dadaismo scientifico, cioè sul vincolo puerile e inderogabile che la materia e tutte le galassie abbiano la stessa età.

Altro grossolano requisito per sostenere questo dadaismo neo-fideistico della neo-metafisica è che un dio buono abbia riservato ai super-scienziati una vista panoramica sufficientemente estesa e rappresentativa dell'"intero" cosmo.

Senza queste inviolabili precondizioni sarebbe infatti impensabile un "istante zero", o un "fireball" (meteora), o un'"era di Planck", o una qualsiasi radiazione "fossile".

 

Pertanto, a meno che si proceda per fede nei bigbangers, è del tutto impensabile far convergere su un punto geometrico della lavagna, punto che precedentemente non sarebbe esistito, un arsenale di equazioni sulla creazione del mondo e sull'esplosione dello spazio-tempo di Minkowski che si incurva e contemporaneamente cresce con la distanza, di tanto in tanto accelerando.

Accettando tutto ciò per fede potremmo allora - senza alcuna paura di essere considerati cinici - consegnarci alla fede nei rotoli del Mar Morto, per mio conto attendibili come i rotoloni Regina!

In verità, dietro l'ingiunzione propinataci dalle scuole dell'obbligo circa le galassie "coetanee" e la vista panoramica, c'è tutta la frode dell'imbroglio deduttivistico che sostiene "l'età del Mondo" come nuovo mito dell'Inizio.

 

Dunque guardare più lontano ha, sì, l'effetto salutare di farci costruire telescopi sempre più grandi. Ciò però ci avvicina al mito dell'Inizio nella misura in cui si crede che le galassie siano nate tutte insieme.

 

La cosiddetta odierna scienza accademica si comporta sostanzialmente come chi di fronte ad una sequoia o un abete rosso di diecimila anni, crede di poter dedurre che prima di diecimila anni fa non esisteva il regno vegetale: «Di recente - scrive Alberto Bolognesi, traduttore in italiano di "Seeing Red..." (op. cit.) - mi è capitato di leggere la raccomandazione di un professionista che lavora "all'interfaccia tra la fisica fondamentale e l'universo primordiale" a non votare quei politici che per una ragione o per l'altra ignorano che l'universo abbia "un'età di 13,7 miliardi di anni". Naturalmente non posso impedire che la Palla di Fuoco venga rappresentata come una scoperta, ma almeno gli astronomi di osservazione dovrebbero convenire che "la cosmologia dell'Inizio" è estrapolata da parametri ad hoc palesemente arbitrari. Per inciso "l'età dell'universo" - perlomeno di QUESTO universo - è ricavata da misurazioni di sezioni d'urto di interazioni atomiche effettuate in laboratori di fisica a terra, in coppia con teorie astrofisiche sulla struttura stellare e calibrate da estese misure della temperatura e della luminosità delle stelle più antiche all'interno degli ammassi globulari che riusciamo a vedere. Se una sequoia o un abete rosso hanno diecimila anni, un astronomo di credo convenzionale potrebbe dedurre che non c'erano alberi prima di diecimila anni fa» (Alberto Bolognesi, "Lettera aparta ai bigbangers...", op. cit.).

Dunque esiste o non esiste una correlazione fra quasar e galassie? La consueta risposta degli einsteiniani è che si tratterebbe di mera "statistica a posteriori". Il loro ragionamento - che però è intrinsecamente ANTILOGICO - è che «cercando cose strane e curiose a posteriori si finisce facilmente per trovare qualcosa di apparentemente incredibile, tipo un paio di galassie a guscio (con redshift discrepanti) in mezzo a due quasar 3C" (Coelum 162). "Dovremmo dunque conformarci - prosegue Bolognesi - all'idea che proprio i due ulteriori radioquasar trovati al centro dell'intera configurazione (Coelum 165) ci forniscono la spettacolare convalida del "post hoc propter hoc"? L'occasione per evidenziare ciò che a tutti gli effetti funziona come una giustificazione a priori, mi è fornita dalla straripante casistica degli spostamenti verso il rosso discordi (o REDSHIFT ANOMALI - nota di Nereo Villa). A rigore ne basterebbe UNO SOLO. Per esempio: l'ormai dimenticata catena di galassie VV 172 in Draco (dal nome dell'astronomo russo Vorontsov Velyaminov che al riparo dalle statistiche a posteriori la incluse nel suo catalogo di galassie interagenti del 1959) sfoggia in uno dei suoi cinque componenti un eccesso di redshift equivalente a 21.000 chilometri al secondo, nel caso che lo spostamento verso il rosso rappresenti comunque una velocità. I primi spettri furono ottenuti dai coniugi Burbidge nel 1962 e poi da Wallace Sargent - recentemente scomparso - che completò le misure dei redshift di tutti i membri del gruppo nel 1968. Arp studiò estesamente e a più riprese la spettacolare catena, la inserì al n. 329 del suo Atlas del 1966 (cfr. la figura precedente - nota di Nereo Villa) e, se mi si perdona il riferimento, io la segnalai con amatoriale entusiasmo pochi mesi dopo ai professionisti italiani Paolo Maffei e Livio Gratton. Vale la pena ricordare che questa formazione colpì anche l'attenzione di Fred Hoyle (1963), perché una struttura così ben allineata, a causa dei singoli moti peculiari, non avrebbe potuto conservarsi a lungo nell'ipotesi convenzionale che tutte le galassie abbiano la stessa età e il medesimo luogo d'origine. Nelle immagini che traggo dallo studio di Sulentic e Lorre (Astron.Astrophys. 120, 36-52-1983) - continua Bolognesi - bisogna davvero duellare col ridicolo - e lo dico con rispetto - per sostenere che la seconda galassia da destra (b) (cfr. ancora la figura precedente - nota di Nereo Villa), che emana fortemente nel blu, vada a incastrarsi dietro la catena per mera "chance prospettica" o perché si son cercate successivamente "cose strane e curiose" nei paraggi» (A. Bolognesi, "Lettera aperta ai bigbangers...", op. cit.).

 

Io dico (invece senza alcun rispetto per questi buffoni della scienziaggine cosmologica odierna) che la loro fede è veramente una cialtroneria. Abbasso i coglionazzi del sapere strisciante (allusione alla coca, ovviamente)!

 

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(1) Dal glossario di Halton Arp, "Seeing red. L'universo non si espande. Redshift, cosmologia e scienza accademica", Ed. Jaka Book, Milano 2009, p. 377: "REDSHIFT: spostamento delle righe dello spettro di un corpo celeste verso le lunghezze d'onda più lunghe. REDSHIFT ANOMALO: Redshift diverso da quello che ci si aspetterebbe di misurare tenendo conto della distanza di un oggetto. REDSHIFT INTRINSECO: Redshift non dovuto alla velocità di recessione. REDSHIFT NON COSMOLOGICO: Redshift non dovuto all'espansione dell'universo". Halton Christian "Chip" Arp (New York, 21 marzo 1927 - Monaco di Baviera, 28 dicembre 2013) fu uno dei più noti astronomi di osservazione del nostro tempo. Laureatosi "cum laude" in astronomia ad Harvard nel 1949, ottenne "cum laude" il dottorato al California Institute of Technology nel 1953. Ricevette il suo primo incarico di ricerca da Edwin Hubble e per ventinove anni fu astronomo di ruolo agli Osservatori di Monte Wilson e Monte Palomar. Lasciò poi gli Stati Uniti e lavorò presso l'Istituto di Astrofisica Max Planck e di Garching (Monaco di Baviera). Fra i massimi esperti di astronomia extragalattica e di osservazione di galassie e quasar, Arp è autore, fra l'altro, dell'"Atlas of Peculiar Galaxies" (Pasadena 1966), del libro "La contesa sulle distanze cosmiche e le quasar" (Jaca Book, Milano 1989), del recente "Catalogue of Discordant Redshift Associations" (Apeiron, Montreal 2003) e di un gran numero di articoli scientifici pubblicati su giornali professionali. Gli furono assegnati vari premi, fra cui il premio "Helen Warner" della Società Astronomica Americana, il "Newcombe Cleveland" dell'Associazione Americana per l'Avanzamento della Scienza, ed il prestigioso "Alexander von Humboldt" del 1984. Arp fu inoltre presidente della Società Astronomica del Pacifico dal 1980 al 1983. "Seeing Red..." (op. cit.) costituisce il risultato più compiuto della sua ricerca. A partire dal 1966, dopo la compilazione del suo famoso "Atlas of Peculiar Galaxies", Arp cominciò a raccogliere un'impressionante mole di evidenze osservative che lo indussero a rigettare l'ipotesi di espansione dell'universo e a concludere che i "redshift" degli oggetti cosmici (galassie e quasar) riflettevano essenzialmente non la loro distanza - come attualmente crede ancora la fisica teorica - bensì la loro età. La ricerca empirica di Arp trova poi un potente alleato nella teoria gravitazionale elaborata da Fred Hoyle negli anni Sessanta, poi perfezionata da Jayant Narlikar nel 1977, e più nota come "teoria della massa variabile e della gravità conforme" basata sul principio di Mach. La teoria machiana della "massa variabile" prevede infatti che gli oggetti cosmici più giovani abbiano un "redshift" piu alto ed è una conferma su base teorica della validità della ricerca empirica di Arp. Mentre il suo precedente testo, "La contesa sulle distanze cosmiche e le quasar", pubblicato da Jaca Book nel 1989, compendiava la ricerca da lui svolta presso l'osservatorio di Monte Palomar in California, "Seeing Red" (op. cit.) espone i risultati della ricerca europea condotta al Max-Planck-Institut für Astrophysik di Monaco di Baviera mediante i nuovi telescopi orbitanti che operano nei raggi X e nei raggi gamma. L'importanza dei dati raccolti in questo libro dovrebbe coinvolgere non solo i ricercatori, ma anche i non specialisti che si pongono domande circa la struttura e l'evoluzione dell'universo. Infatti l'individuazione da parte di Arp di un gran numero di connessioni e di legami fisici tra oggetti cosmici di alto e di basso spostamento verso il rosso, che talvolta hanno probabilità di proiezione accidentale inferiore a una su dieci miliardi, mina alle fondamenta l'interpretazione canonica del "redshift" che reggerebbe l'espansione dell'universo e tutta la cosmologia contemporanea. In questo senso "Seeing Red" (op. cit.) può essere certamente considerato come il passaggio cruciale nel percorso di confutazione su base empirica della teoria del Big Bang. L'edizione italiana, curata da Enrico Biava e Alberto Bolognesi, è completata da un Poscritto dell'autore.

 

(2) La teoria della "brana", rientrando nella neolingua orwelliana dei non pensanti, riguarda la teoria del tutto e ipotizza che il tutto, cioè il cosmo, sarebbe immerso in un iperspazio ad 11 dimensioni le cui "brane" costituirebbero le relative "membrane" n-dimensionali, :D :D :D!