SCIENZA E VITA PRATICA
 

Per lo scienziato di oggi è difficile spiegare a se stesso la propria posizione di individuo conoscente di fronte al mondo oggettivo. Nella misura in cui il suo io voglia mettere scrupolosamente in pratica la lezione morale einsteiniana che dice: “il vero valore di un uomo si determina esaminando in quale misura e in che senso egli è giunto a liberarsi dall’io” (A. Einstein, “Come io vedo il mondo”, Ed. Newton Compton, Roma 1999, p. 28), gli è precluso intuire cosa significhi per lui il possesso della conoscenza e della scienza. Cos’è dunque il sapere per lui? Cosa sono per lui le leggi di quel sapere?

Nel sapere dell’uomo si estrinseca il nocciolo più intimo del mondo. Le leggi regolano l’armonia che domina l’universo. Questa armonia si manifesta nella conoscenza. Fa dunque parte dell’impegno scientifico di chi si professa scienziato portare tali leggi fondamentali del mondo nel campo della REALTÀ MANIFESTA. Vi è perfino un primordiale fondamento biblico nel dare e nell’avere. In tale fondamento, il dare riguarda l’albero della vita, mentre l’avere quello della conoscenza. Ho parlato anni fa di questo fondamento - ma secondo un punto di vista di mera logica numerica - in un video che creai negli anni Novanta del secolo passato, che pubblicai e poi rimossi, e ancora ripubblicai nel 2012 e oggi (2017) col medesimo titolo “Numerologia biblica (1,4,40,400)”.

 

 

 

Quanto segue non vuole però avere carattere numerologico come nel video ma semplicemente logico. Infatti per attuare praticamente il dare o l’avere, occorre innanzitutto ESSERCI. Occorre, cioè, ESSERE INVIDUI: solo come individui o come “io”, l’uomo può intuire, per esempio, che chi sa davvero afferrare una cosa o un’idea, cioè averla, sperimenta che in realtà sta dando tutto. Allo stesso modo, può intuire che chi sa veramente dare, sperimenta che in realtà sta ricevendo tutto.

Se però il “religionismo” scientifico odierno continua ad insegnare che l’uomo vale nella misura in cui si libera dall’io (A. Einstein , op. cit.) - e ciò vale anche per il politicismo o il cattolicismo i quali concordano nell’insegnare il buonismo della trasformazione dell’“io” nel “noi” - ogni intuire è precluso. Oltretutto già nel titolo del libro citato emergerebbe, secondo la logica morale che lo formula, il narcisismo del suo autore, dunque il suo infimo valore come uomo.

Siamo già qui di fronte ad una vera e propria antilogica. Intuire le leggi di armonia dell’universo è impossibile senza l’io, cioè senza il soggetto di tale intuire. Perciò senza tale soggetto individuale è anche impossibile portare dette leggi nella realtà pratica.

D’altra parte, se tali leggi non fossero portate nel campo della realtà manifesta, sorgerebbero guai, dato che quelle leggi dominerebbero, sì, l’esistenza, ma senza svelarsi mai. Quindi l’uomo, per es. di fronte a un fulmine, dovrebbe ancora attribuire quella scarica elettrica a un dio, più o meno irato col mondo da lui creato…

Se ci si ferma a queste considerazioni moraleggianti del padre indiscusso della scienza, la scienza risulta essere una religione.

L’essenza del sapere è invece che nel sapere si SVELI - cioè SI MOSTRI - il fondamento del mondo nella sua realtà oggettiva.

In altre parole, oggi occorrerebbe almeno accorgersi, soprattutto in campo scientifico, che OGNI conoscere è un continuo penetrare nel fondamento del mondo. Questa convinzione rientra anche nel concetto di intuire (dal latino “intus ire”: andare dentro). Senza questo accorgersi si è destinati alla schiavitù del terzo millennio, cioè a sottomettersi all’astratto che domina il concreto, con grave danno per la vita pratica di tutti, nessuno escluso (neanche i burocrati di tale dominio). Solo questa consapevolezza può dunque - e deve - illuminare anche la nostra concezione pratica della vita. Gli scienziati del terzo millennio invece non lo intuiscono, a causa della concezione animale che hanno di se stessi. Questa concezione emerge perfino da titoli dei loro libri. Si prenda per esempio “Lo scimmione intelligente” di Giorello-Boncinelli (Ed. Rizzoli, Milano 2009). Ma ve ne sono molti altri, i cui autori si chiedono cosa sia questa o quella cosa ma solo per negarla. Come dire: cos’è quel colore, quel suono, quell’odore? E rispondersi che tutto ciò non esiste. Si prenda il libro “Che cosa è il tempo? Che cosa è lo spazio?” di Carlo Rovelli, sostenitore dell’universo senza tempo. In un’intervista comparsa su un quotidiano (“Libero” del 23/01/2008; cfr. ospi.it) una giornalista gli chiede tra l’altro: “Possiamo liberarci del tempo?”, e l’autore risponde: “Sì, nella teoria fisica fondamentale. Non nella nostra vita, evidentemente”. Ma se “evidentemente” NON possiamo liberarcene, perché l’autore risponde “sì”? Se quel “sì” è qualcosa di sano, con la stessa conseguenza logica si potrebbe allora anche dire che possiamo tranquillamente liberarci, “nella nostra vita”, della stessa “teoria fisica fondamentale”, la quale di fatto non ci serve a nulla. Oltretutto, bisognerebbe chiedere a Rovelli: se a noi che viviamo nel “macrosistema” non serve, a chi mai potrà servire allora una teoria “quantistica del microsistema” che, liberandosi del tempo, si libera del movimento, del divenire o della vita? È dunque evidente che non si può parlare di conoscenza se manca il pensare, l’accorgersi, la consapevolezza, l’intuire, ecc., i quali sono come il capo, cioè la testa, delle cose. Perfino nei numeri è così: se da un numero di più cifre si toglie la testa, per esempio se da 10 si toglie la prima cifra, si resta con lo zero; se da 1.500.000 si toglie la testa si rimane con 500.000 che è meno della sua metà...

Se non si comprende questo, cioè che ogni conoscere è un penetrare continuo nel fondamento del mondo, illuminandolo, non potrà mai darsi alcuna reale praticità.

Nella scienza moderna che ha rimosso da sé l’uomo per averlo come mondo fuori di sé, questa armonia si è frantumata e L’ASTRATTO (formule e modelli matematici, atomici, economici, sociali, giuridici, ecc.) HA INCOMINCIATO ad essere creduto come concreto, e A DOMINARE IL CONCRETO.

Perciò se non si cambieranno i paradigmi di questa impostazione così deficiente di logica, gli Stati moderni continueranno a generare carestie, lotte per il potere, facendo prevalere il prendere, il catturare, l’appropriarsi, il rubare. Ecco perché l’odierna mano che prende - quella del fisco ad es. - risulta massimamente corrotta, mentre la mano che da’ risulta spremuta e gabellata.

Dire esatta una teoria “scientifica” o un dato “scientifico”, di cui si sa che è impossibile la sperimentazione, come ad esempio la velocità di 300.000 km al secondo, è come dire una menzogna, perché tale velocità è, a mio parere, impossibile da sperimentare. A me almeno pare impossibile perfino come ipotesi. Le ipotesi delle cosiddette teorie non possono assomigliare all’erba voglio. Io posso anche ipotizzare di allungare la mia mano per afferrare la luna, come fanno gli infanti. Però gli scienziati non dovrebbero condurre la loro vita come gli infanti. Una teoria è una visione di insieme (dal greco “theorein”) non un’ipotesi demenziale. L’ipotesi è parte della teoria nella misura in cui non sia demenziale.

 

Domanda: può essere morale una vita teorica demenziale, o poggiante su ipotesi non verificabili? Bisognerebbe anche chiedersi: che tipo di vita umana intelligente può condurre chi crede di essere una scimmia senza tempo e spazio (dato che, per le scimmie, spazio e tempo non esistono)?

La condotta della vita umana è determinata in tutto il suo carattere dagli IDEALI MORALI. Questi ideali sono le idee che gli uomini colgono - come compiti - per fare ciò che fanno mediante il loro fare.

Rispetto agli avvenimenti generali del cosmo, il nostro fare ne è una parte. Perciò anche il nostro fare sta sotto la legge generale di quelli.

Dovunque nell’universo vi siano avvenimenti, vanno distinti due loro aspetti: il loro decorso ESTERIORE nello spazio e nel tempo, e la loro legge INTERIORE.

Se la conoscenza della legge del nostro agire è un caso del conoscere, la natura della conoscenza va applicata anche qui. Riconoscere noi stessi come individui operanti, significa dunque avere come sapere, le leggi corrispondenti per la nostra azione, vale a dire i concetti e gli ideali morali. Se riconosciamo queste leggi, la nostra azione è opera nostra, perché in tal caso la legge non è qualcosa di dato che sta fuori dell’oggetto in cui si svolge l’avvenimento, ma è il contenuto dello oggetto stesso, che sta operando l’azione viva. In tal caso l’oggetto è il nostro proprio io. Se il nostro io ha veramente intuito mediante la conoscenza l’essenza del suo fare, si sente in pari tempo il dominatore di quel fare. Finché ciò non è avvenuto, le leggi dell’azione stanno di fronte a noi come qualcosa di estraneo; cioè sono loro a dominare noi; ciò che noi facciamo è infatti sotto la coercizione che esse esercitano su di noi. Se invece, da estranee che sono, diventano attività primigenia del nostro io, questa coercizione cessa. L’elemento coercitivo è diventato il nostro stesso essere. La legge non domina più SOPRA di noi, ma IN noi, sopra l’avvenimento che parte dal nostro io. L’attuazione di un fatto per mezzo di una legge, esterna all’essere che lo fa, è dunque un atto NON libero; invece l’attuazione per forza propria di chi compie quel fatto è un atto libero. RICONOSCERE LA LEGGE DEL PROPRIO FARE VUOL DIRE RENDERSI COSCIENTI DELLA PROPRIA LIBERTÀ. Pertanto il processo conoscitivo non può che essere il processo evolutivo verso la libertà.

Non tutto il fare umano porta questo carattere. In molti casi non abbiamo la conoscenza delle leggi per la nostra azione. Allora questa parte della nostra azione è quella non libera. Di fronte a questa parte sta l’altra parte, quella nelle cui leggi noi penetriamo interamente. Questa è la sfera LIBERA. La nostra vita può chiamarsi MORALE solo in quanto fa parte di QUESTA SFERA. La trasmutazione della prima sfera in un’altra che porti il carattere della seconda, è compito dell’evoluzione di ogni singolo individuo, e di tutta l’umanità.

Il problema più importante di tutto il pensare umano è dunque: COMPRENDERE L’UOMO COME INDIVIDUO LIBERO FONDATO SU SE STESSO.

 

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Bibliografia essenziale:

R. Steiner, “Verità e scienza”, Conclusione pratica, Ed. Antroposofica, Milano 2012.